Effettivamente era lecito aspettarsi qualcosa di più dal discorso di domenica di Renzi, qualcosa di meno generico delle solite idee di cui il sindaco di Firenze infarcisce i suoi discorsi.
Meno frasi fatte, meno slogan, da una parte e, dall’altra, qualche proposta concreta, qualche esempio pratico in più, che indicassero alcune cose da fare: non temi generici sui quali discutere in modo generico, ma progetti utili alla comunità da mettere in esecuzione da qui a sei mesi, un anno, e le modalità per finanziarli (dove andare a prendere i soldi necessari).
Meno retorica (anche se quella di Renzi è ancora nettamente inferiore a quella, irraggiungibile, di Veltroni), meno ricerca del colpo ad effetto (come nel caso del riferimento al caso di Silvio Scaglia, trovata tipica del mondo dello spettacolo), e più riferimenti a cose concrete da fare, con indicazione di costi e tempi.
Per esempio, per rendere più concreto il suo discorso, sarebbe stato utile conoscere il punto di vista di Renzi su un argomento che occupa un posto centrale nel dibattito politico di questo Paese, quello della crescita economica.
A tale riguardo, sarebbe stato utile che Renzi si fosse pronunciato su un tema di cui si discute tanto in questi anni (anche se il più delle volte a sproposito), quello della cosiddetta “decrescita felice” (mai termine fu così sbagliato dal punto di vista della sua capacità comunicativa).
Sarebbe stato utile, a questo proposito, che Renzi avesse indicato i settori sui quali, secondo lui, si deve puntare (quelli da far crescere, sui quali concentrare gli investimenti), e quali settori vanno invece abbandonati.
E invece, dopo neanche 48 ore dalla chiusura dell’ultima “Leopolda”, ci troviamo a commentare le incredibili battute di D’Alema (“Mi ricorda un po’ quella pubblicità con Virna Lisi, con quella bocca può dire ciò che vuole ”) e di Grillo ( “Io non penso nulla di Renzi, non si può pensare qualcosa di Renzi”), a conferma del fatto che quello che blocca questo Paese è la predominanza di quelli che hanno interesse a mantenere lo “status quo” (per motivi anche non coincidenti) su quelli che cercano, anche magari commettendo qualche errore, di migliorare le cose, di non rassegnarsi all’esistente.
Tornando a quello che Renzi ha detto nel suo intervento conclusivo alla “Leopolda”, ho notato come il riferimento all’esigenza di migliorare la macchina della giustizia di questo Paese, di renderla più vicina al concetto di “giustizia”, abbia suscitato una serie di reazioni nell’area politica alla quale il sindaco di Firenze appartiene.
Quello che trovo singolare è il fatto che in certi ambienti si continui a pensare che questa richiesta possa essere considerata espressione di interessi solo di una parte politica e non invece, come sarebbe logico aspettarsi, espressione di un’esigenza di tutto il Parlamento.
Ma poter contare su una macchina della giustizia efficiente non dovrebbe essere uno dei diritti fondamentali di una comunità?