Magazine Diario personale

A RIPOSO. Forzato.

Da Nina
Uscire dal primo trimestre significa ritrovare le energie e la voglia di fare, sentirsi bene nel proprio corpo, dire addio a molti dei fastidi che ti hanno accompagnata fin lì. Significa anche svegliarsi un giorno e scoprire che il tuo sogno proibito, quello che coltivi dall'adolescenza e nutri con impegno e dedizione, come fosse un animaletto domestico, si è avverato: hai una taglia in più di reggiseno, le tette ti sono cresciute davvero. Miracolo! E per la gioia gridi a Lui di venire a farti da testimone, che ora il reggiseno ti sta stretto e non te lo stai sognando!  Per me ha significato anche il primo martedì del corso di accompagnamento al parto, la full- immersion nelle letture a tema, i primi negozi per bebè, lo yoga da iniziare questa settimana, l'incontro con l'ostetrica che mi seguirà per tutto il percorso. Ma anche la ripresa dei contatti con la realtà di fuori, la necessità di rivedere amici, parenti, la gioia di poter condividere Panza e Inquilino col resto del mondo, non più solo con le pareti di casa mia e con Lui. Poi da un paio di settimane qualcosa si è insinuato in me, silenzioso: un vago sentore non mi faceva più dormire serena e mi toglieva la tranquillità anche nelle attività quotidiane.  L'utero si è indurito, così all'improvviso.
Soprattutto la sera, nel letto, quando ci poggiavo la mano sopra potevo avvogerlo con il palmo, come poggiare la mano sulla suprficie tonda di un piccolo meloncino. Solo che, invece di sentirlo morbido, io lo percepivo duro, appunto. Non mi restituiva la spinta, pareva di marmo. La mia testa parlava la solita lingua, quella dell'ottimismo: 'Ma vedrai che è normale, in fondo in questo mese l'utero sale e esce dalla sua sede, ovvio che lo senti. Le pance delle donne farcite mica sono morbidose, no?'. Ma il cuore non si lasciava convincere così facilmente, quelle spiegazioni non gli bastavano. Ed è stato qui che ho sbagliato, peccato di superficilità, perché avrei dovuto seguire l'istinto, non la ragione, fidarmi del mio sesto senso, chiamare Woody e poi lasciar decidere a lui l'interpretazione del fenomeno in atto. 'Non è nulla, non si preoccupi', oppure 'Diamo una controllatina, per sicurezza'.  Invece io, vuoi per eccesso di discrezione (non è che posso stressarlo per una sciocchezza così), vuoi per un errore di valutazione dettato dalla mia buona fede e dal mio animo sornione e fiducioso, ho fatto pippa (che a Roma significa 'me lo sono tenuto dentro, per me'). Nell'illusione di poter interpretare i segnali del mio corpo come facevo un tempo, di poterli tradurre, fedelmente. Convinta di conoscerlo ancora, quando invece nulla è più come prima.  Anche Lui ha iniziato ad agitarsi un pochino, da qualche giorno mi chiedeva con una certa insistenza di prendere un appuntamento per un'eco, che voleva vedere il pupo, gli mancava, aveva bisogno di sapere come stava. Neanche il CosoSound è riuscito nel suo sporco lavoro di sedare i nostri animi, visto che l'utero restava lì, ogni sera come la sera prima: rigido e contratto. Ma io tenevo dentro, non volevo fare la parte di quella che si anima per un nonnulla, non volevo diventare preda di ansie, non ora. Così ho acconsentito per l'eco, ma senza ammettere che ne avevo bisogno anche io. Non chiedetemi perché ho rifiutato quella parte insicura di me, perché non le ho voluto dare ascolto. Forse mi sembrava che così facendo avrei mostrato una mancanza di fiducia in me, nelle mie risorse, un calo dell'autostima. Boh, vattelapesca. Fatto sta che ieri, nel pomeriggio a casa, vado al bagno, mi asciugo e trovo sangue. Rosso. Vivo. Chiamo Lui e sento che qualcosa dentro sta cedendo, si sta per rompere.  Lui cerca di tranquillizzarmi, ci prova, resta calmo e fermo, ma io voglio solo una cosa: il Pronto Soccorso.
Mi vesto con calma, non perdo il contatto con la realtà, nè il controllo di me e andiamo. Fortuna che qui sotto casa abbiamo un ospedale con il Pronto Soccorso Ginecologico. Mi fanno entrare subito, a me, che l'uomo resta fuori. Povero Cristo, io lo trovo di un disumano. E sto ginecologo mi comincia a fare domande per compilare la cartella e io vorrei solo urlargli di farmi prima l'eco, che ho bisogno di rassicurazioni. Sti cazzi dei loro report, per quello c'è tempo dopo no? Invece vado avanti, ormai addomesticata da anni di incontri con medici e strutture ospedaliere, ormai ammansita, un perfetto animale sociale. Poi arriva il momento del lettino.  Mi spoglio e mi sento come un animaletto ferito, percepisco il mio sguardo spaurito, disorientato. Cerco gli occhi dell'infermiera, un po' di calore in quella stanzetta sterile e fredda ma nulla: lei mi restuisce il vuoto. Mi sdraio. Ho paura. Ora la sento montarmi allo stomaco, fino alle tempie. Voglio Lui, lo voglio accanto a me, come è stato sempre, perché ora, in un momento così delicato per noi, ci devono separare? Lui è la mia quercia, Lui sa come fare. Respiro, mi faccio forza, ormai ci siamo. 'Celafaicelafaicelafai, andrà tutto bene', mi ripeto. E invce col caiser, il doc si lancia nell'esplorazione delle mie cicatrici e mi chiede, vuole sapere che tipo di interventi ho fatto, quando e come e dove e perchè e porcatroia! Ma vuoi farmi sta cazzo d'eco? Io DEVO sapere come sta mio figlio! Poi ci arriva, coi suoi tempi ma ci arriva: poggia la sonda sul ventre e io trattengo il fiato.  Tumtumtumtum.  Un paio di secondi e leva l'audio. Sono stordita ma lo riconosco: è il suo cuoricino. Oddio è vivo!  Le lacrime trattenute finalmente escono. Guardo di nuovo l'infemiera Occhidighiaccio (la mia stronza ostinazione) e le sorrido. Stavolta sente qualcosa anche lei, perché risponde a sua volta. Dopo solo silenzio.  Monitor girato, il doc che spia le immagini e io che cerco di rubare informazioni dalle sue espressioni.  Quante volte ho vissuto momenti così in attesa di un responso che poteva cambiarmi la vita in meglio o in peggio? Ho perso il conto. Lo trovo crudele, questo si e il deja-vù mi logora dentro. Aspetto, minuti infiniti, poi mi decido:  - Il bimbo come sta? Sta bene? -   Non mi fido di me, è evidente, voglio il parere di un esperto, non mi basta aver sentito il suo cuore. Devo sapere. - Sissì, si muove, è attivo, ora sto cercando di misurare i paramentri. Eddai fammi vedere sta gambetta!'. E quando pensavi di dirmelo, coglione? Lo sai che sto morendo qui, pian piano? Non mi ha fatto vedere nemmeno uno straccio d'immagine nel durante, nada. Mi ha detto di rivestirmi che mi avrebbe spiagato e siamo tornati davanti alla scrivania. Ha iniziato di nuovo a battere sui tasti, per compilare il referto e giù altre domande. Nel mentre accenni al mio utero contratto e duro, al fatto che sarebbe il caso io mi ricoverassi così mi tengono sotto controllo loro... Io penso solo una cosa:  'Sta bene. Minuscolo è vivo. Devo dirlo a Lui che non c'è di che preoccuparsi'.  Lo immagino lì fuori da solo, su quelle seggioline fredde, mi si stringe il cuore. Dico che vado ad avvisare il padre, perché sta in pena in sala d'aspetto, da solo. Il doc magnanimo dice di andarlo a chiamare, che può entrare e io mi alzo e lo faccio con tanta urgenza e distrazione che la sedia cade all'indietro e io non sento neanche il tonfo. Apro la porta e vedo Lui, provo una tenerezza infinita. Riesco solo a dirgli:  - Sta bene, vieni dentro -  poi non so come spiegargli il resto. A Lui non interessa, il resto, in quel momento. Mi segue, entriamo e io mi siedo alla scrivania, lo guardo ancora, cerco l'appiglio dei suoi occhi e balbetto, farfuglio. Lui mi carezza, è in piedi davanti a me e mi carezza la testa, le spalle senza dire una parola. 'Sta bene'. Questo ci basta a gente provata dalla vita, come noi, questo avevamo bisogno di sapere, di sentirci dire. Riesco a convincere il doc che non mi serve di essere ricoverata, che poi starei peggio e lui mi fa promettere che passerò i prossimi 2/3 giorni al letto immobile, come se ci fosse bisogno di giurare. Roba che se mi avesse detto che dovevo appendermi a testa in giù io lo avrei fatto senza battere ciglio, per il mio Amore Minuscolo.  Qualsiasi cosa, per lui. Il doc ci spiega che la placenta è attaccata bene, non ci sono tracce ematiche, il piccolo ha tutto nella norma ed è vitale. Ma l'utero è troppo contratto. Morale: Vasosuprina e riposo. Mi fa firmare un foglio dove mi assumo la responsabilità tornando a casa, mi lascia un paio di compresse di Vasosuprina e ce ne torniamo a casa. Stretti stretti. Minaccia d'aborto. Ho i brividi. Da ieri sera sono orizzontale, a chiedermi come sia possibile, a cercare delle ragioni, a scoprire nuove inutili emozioni, come il senso di colpa, la paura di far male al bimbo senza volerlo, la mia incapacità di comprendere il mio corpo e i suoi segnali, maledicendo la mia ingenua fiducia, la mia superficialità. Lo so, non serve a nessuno, aumenta solo lo stato d'ansia e preoccupazione ma giuro, io non so gestire queste nuove onde emotive che mi travolgono. Perché non si tratta più di me, ma di un cucciolo indifeso.  E io dovrei proteggerlo, sempre e comunque.  Anche a costo di stressare il gine, anche a costo di sembrare esagerata e rompipalle. Perché ora è diverso e lui dipende da me e con questa nuova consapevolezza io ci sto facendo i conti. Tutto quello che vorrei è che il mio corpo fosse il luogo più accogliente del mondo per lui e sapere che invece il mio utero ora è un posto inospitale, mi strazia il cuore. Perché lui potrebbe sentirsi rifiutato e respinto, non voluto (l'ho pensato davvero, lo confesso).  Perchè mi viene da concludere che dipende da me, da quel che faccio, che penso, che sento.  Ho lavorato anni su me stessa, per riuscire a liberarmi di questo infido e meschino sentimento e ora eccolo che si riaffaccia, proprio quando non dovrebbe. Lui continua a ripetermi che non c'entro nulla io, che non possiamo controllare tutto, che è una fase troppo delicata e nuova per me, che il pupo è un combattente e ha dimostrato di star bene qui dentro da subito.  Ma a me non basta. E' evidente che ho la mia parte di responsabilità, che ho agito in modo sconsiderato, che ho tirato troppo la corda. Devo sapere come evitare che accada di nuovo. Come posso accelerare il processo di rilassamento. So di poter essere parte attiva in questo percorso che è la gravidanza, mi serve solo capire come farlo, nella giusta direzione, quella sana. Sono responsabile di quel che accade nel mio corpo. Perciò ho chiamato subito l'ostetrica, il mio nuovo Angelo Necessario. Le ho spiegato l'accaduto e alla parola Vasosuprina le si sono rizzati i capelli. Mi ha spiegato che è preistoria, che in molti paesi avanzati più del nostro è stata addirittura tolta dal commercio a causa degli innumerevoli effetti collaterali, sembra essere più dannosa che benefica (problemi cardiaci per mamma e bimbo, tachicardia e altro) e soprattutto che a poche settimane di gravidanza non ho neanche i ricettori per poterla assimilare. Sono sconvolta, se non l'avessi chiamata avrei continuato una cura inutile, pregando il cielo di sentire l'utero ammorbidirsi? Fanculo ai medici che non si aggiornano, che seguono le strade vecchie, senza rimettere in discussione le loro conoscenze vetuste. Meglio il Buscopan, il caro vecchio amico Buscopan. E così sia. Domani verrà a casa, per una visita a domicilio, per cercare di capire cosa ha attivato questo irrigidimento, che certamente ha una causa emotiva e psicologica, non certo organica visto che è tutto nella norma. E lo dicevo io! Ma soprattutto mi farà un trattamento, per rilassare l'utero. Io non vedo l'ora e ringrazio il cielo di avere una risorsa così dalla mia, di averla cercata.  Perciò ora sono nel letto, Lui mi ha organizzato lo spazio in modo che debba alzarmi solo in caso di reale bisogno, poi è andato al lavoro, mentre io trattenevo a stento le lacrime, manco stesse partendo per la guerra. A pranzo verrà mia cognata a cucinarmi qualcosa.  Mi sento un po' spaesata, ho avuto tanta paura. Mi sento anche sola, che mai come adesso avrei bisogno di una mamma. Ma voglio essere forte, perché mio figlio ha bisogno di me e io di lui. Perché adesso sono io La Mamma. Perché in fondo ora sto meglio e le perdite è da ieri sera che sono sparite. Volevo inziare un po' di cose questa settimana, vorrà dire che rimanderò, prolungando questa fase di lentezza e ritiro. Me ne resto a riposo, evidentemente ho qualcosa che mi crea dei blocchi dentro, che mi chiede di fermarmi e di essere accolto e ascoltato ed è quel che ho intenzione di fare.  La vita è piena di sorprese, manco il tempo di rilassarsi che... zac! Avrei preferito tornare, dopo una settimana, con altri racconti e aggiornamenti, ma così non è. E intanto il vento è tornato a soffiare forte, agitandomi il cuore, spettinando i miei pensieri. Fin qui tutto bene.
postilla: giovedì faremo l'eco, il giorno di San Valentino. Che non si dica che non siamo Innamorati!
A RIPOSO. Forzato.

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