Anche gli anfibi rischiano di scomparire
La scomparsa di alcune specie di mammiferi attira di più l’attenzione dell’opinione pubblica mondiale. Tigri, rinoceronti, elefanti, leopardi sono infatti oggetto di campagne di recupero e sensibilizzazione su larga scala. A loro ogni anno sono dedicate giornate internazionali e conferenze per discutere della salvezza e delle misure di tutela. Non è un caso: animali come le tigri o i rinoceronti necessitano di provvedimenti internazionali per salvarsi, dal momento che hanno habitat molto estesi e risentono della deforestazione perpetrata nei loro territori naturali dalle multinazionali della carta e dell’olio di palma così come dei conflitti e del bracconaggio.
Tuttavia la lista rossa dell’Unione mondiale per la Conservazione della Natura, aggiornata di recente, ci parla non solo di mammiferi a rischio estinzione ma anche di tante piante (ad esempio la Taxus contorta, sovrasfruttata dalla medicina tradizionale cinese), rettili e anfibi in declino.
Parliamo proprio di anfibi in riferimento ad un recente studio effettuato dall’Università di Copenhagen. I ricercatori danesi hanno scoperto che gli anfibi sono vittime di un declino più grave di quanto ci si aspettasse. Rospi, rane, tritoni, salamandre stanno subendo, infatti, non solo gli effetti dei cambiamenti climatici e della perdita di habitat ma anche l’attacco della chitridiomicosi, una malattia fungina mortale.
La metà degli anfibi è in rapido declino mentre un terzo è già seriamente minacciato d’estinzione. Tra gli anfibi più a rischio si annoverano la rana malgascia arcobaleno, che vive nelle foreste del Madagascar, e la salamandra gigante cinese. Oltre la metà delle rane d’Europa potrebbe estinguersi nei prossimi 40 anni. Non va meglio nelle regioni tropicali: due terzi delle specie di anfibi potrebbero scomparire da qui al 2080.
Sugli anfibi mancano dati esaurienti per almeno un quarto delle specie. Si stima che due terzi delle aree più ricche di biodiversità verranno interessate da minacce fatali per gli anfibi da qui al 2080. Il declino, ha spiegato Christian Hof, autore dello studio, potrebbe dunque essere più veloce del previsto.
44.302267 8.471084