La legge Levi ha avuto il merito di porre un freno allo sconto selvaggio che ha messo in ginocchio la piccola editoria e le librerie indipendenti; ma non tutela queste realtà, non abbastanza. In verità, le considerazioni emerse dal congresso tenutosi alla Camera dimostrano come non sia possibile effettuare una vera e propria valutazione tranchant della legge Levi sul mercato, proprio perché siamo in una fase di estrema instabilità economica e culturale. In altre parole: i dati sono falsati dal profondo mutamento delle abitudini di spesa di lettori medi e forti.
Assistiamo a una crisi economica globale che impone una redistribuzione del reddito nel portafoglio di spesa del singolo consumatore. Si tratta di adattare il proprio vincolo di bilancio, il tetto di spesa, lo stipendio insomma, in modo tale da soddisfare i bisogni primari. Ovvio che una persona con un reddito medio (e magari con una famiglia) taglierà per prima cosa le spese voluttuarie (tra cui libri e cinema) o ridurrà molto la quota a disposizione per questi beni, per esempio ricorrendo a supporti digitali e agli ebook (pirata e non). Da qui, anche, la maggiore oculatezza nella spesa e i cambiamenti nei gusti dei lettori: per esempio scegliendo i classici o le riedizioni di grandi successi in paperback. Perché, è bene riconoscerlo, il consumatore/lettore è diventato assai guardingo nei confronti dei c.d. casi editoriali (specie quando ha pochi soldi in tasca) che le case editrici sfornano a getto continuo, creando aspettative che poi vengono puntualmente disattese, così come sono stanchi dei romanzi-cloni. Un esempio: dopo le famigerate 50 sfumature, il mercato è stato invaso da erotici o pseudo tali che non hanno nemmeno lontanamente il successo del capostipite ma che vengono lanciati come successi epocali… finendo per prendere polvere sugli scaffali. Lo dimostrano gli stand delle librerie di catena: gli scaffali dinanzi l’ingresso – quelli dove trovano posto novità e best-seller – sono spesso pieni di pile di libri strapubblicizzati e malinconicamente invenduti.
Di questo ha parlato anche Loredana Lipperini, (qui per l’intervista) che ha commentato acutamente come gli editori stiano puntando alla scrittura su commissione, cercando di intercettare quanto più possibile il gusto dei lettori, facendo sì che l’autore scriva secondo i (presunti) gusti del pubblico… ed evitando, di fatto, di sperimentare, esplorare, innovare, quelle sfide che uno scrittore affronta ogni giorno. Purtroppo si tratta di una necessità, specie per chi fa questo come mestiere. Infatti, la congiuntura economica che sta asfissiando l’editoria ha portato come conseguenza la restrizione di posti di lavoro a ogni livello della filiera. Così, non solo librerie che chiudono, ma anche operatori di settore messi in cassa integrazione. Mi riferisco, ad esempio, ai lavoratori della Giunti, che sono stati collocati in c.i.g. o alla progressiva esternalizzazione delle attività tipiche di una redazione di una casa editrice, come traduzioni, correzione di bozze e editing.
Perché? Semplice. Un lavoratore – dipendente – costa molto più di un collaboratore esterno o a progetto. Questo si traduce altresì in una perdita in termini di professionalizzazione degli addetti ai lavori. Un esempio concreto: affidare la traduzione dei volumi di una saga a diversi traduttori significa non curarsi della qualità del testo, né della continuità stilistica tipica dei romanzi articolati su più volumi. Ovvio che i lettori (e le lettrici) si ribellino per la scarsa qualità dei testi. Così, l’interesse prioritario della casa editrice è di far cassa: pochi maledetti e subito, per garantire dei ricavi immediati. Non vi è progettualità perché questa impone accantonamenti, progettualità in termini di crescita e di investimenti economici. E in questa fase, investire è rischioso. Tuttavia, l’audacia e la qualità potrebbero essere i punti di partenza fondamentali per far ripartire un mercato asfittico qual è quello dell’editoria italiana. Siamo ormai all’anno zero della produzione letteraria italiana: dopo vampiri scoparecci, libri cloni, frustini e cucine, adolescenti inquieti e libri segreti, il mercato editoriale ha bisogno di autentiche novità. È una necessità più che un desiderio: rischiamo di perdere generazioni di lettori e lettrici che, dopo l’orgia di libri per adolescenti, si trovano dinanzi il nulla. Bisogna investire sul futuro per educare i giovani lettori e soprattutto le giovani lettrici, creare scuderie di talenti italiani, lavorare su squadre di editor e traduttori. Forse questa potrebbe essere una strada per uscire dalla crisi. Forse.