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Abelardo ed Eloisa, storia d’amore e di filosofia

Creato il 21 marzo 2015 da Retrò Online Magazine @retr_online

La storia di un filosofo, Abelardo, della sua amata, Eloisa, e di come un secolo attento all'amore e alla filosofia abbia segnato per sempre la vita delle donne e degli uomini europei

"Avevi due cose in particolare che ti rendevano subito caro: la grazia della tua poesia e il fascino delle tue canzoni, talenti davvero rari per un filosofo quale tu eri [...] Eri giovane, bello, intelligente."

-Eloisa, dalla Lettera ad Abelardo

Nell'immaginario collettivo della nostra società alcune storie, alcune figure sono rimaste impresse in maniera molto vivida, spesso a causa di qualche grande poeta, come Dante, o a causa del Romanticismo e dei suoi passionali errori. Le storie d'amore in particolare sono molto conosciute: basta pensare alla tragica vicenda di Paolo e Francesca, oppure all'amore adultero del cavaliere Lancelot du Lac per Guenièvre alla corte di Re Arthur per capire quanto siano famose le loro vicende. La vicenda più curiosa e affascinante è di sicuro quella del filosofo Pietro Abelardo ed Eloisa, sua amata.

Abelardo, un affascinante intellettuale del Medioevo

Pietro Abelardo nasce in Bretagna, a Le Pallet, Anno Domini 1079. Non nasce povero, vista l'appartenenza della famiglia alla piccola nobiltà, ma rinuncia comunque alla primogenitura per dedicarsi agli studi, per "educarsi nel grembo di Minerva". Le sue disponibilità finanziarie devono comunque agevolarlo, poiché studia dai migliori maestri di logica del tempo, mostrando una spiccata abilità e sensibilità per questa disciplina filosofica, portandosi spesso allo scontro con il suo maestro Guglielmo di Champeaux. Abbandonato Guglielmo, non riesce ad aprire una sua scuola a Parigi, dove probabilmente fatica a trovare impiego come insegnante di logica per via del rapporto con il maestro, ma, in breve, la sua fama cresce, permettendogli di aprire una scuola tutta sua a Melun. Desideroso, però, di approfondire le sue conoscenze filosofiche decide di intraprendere lo studio della teologia, viaggiando fino a Laone da Anselmo, celeberrimo maestro dell'epoca: il suo carattere vivace e le sue idee lo portano a scontrarsi in diversi momenti col maestro e con i suoi allievi. Dopo l'ennesimo scontro viene espulso dalla scuola e deve tornare a Parigi, dove decide di insegnare anche teologia interpretando da solo le Sacre Scritture, aprendo di nuovo una scuola sul colle dove ora sorge la Sorbona. Pochi anni dopo, nel 1116, viene assunto dal canonico di Notre-Dame di Parigi come precettore della nipote, Eloisa.

Abelardo è ora sulla bocca di tutti gli studenti e i nobili parigini, ecclesiastici compresi. Le sue capacità come filosofo, come insegnante e come poeta sono già leggenda e gli studenti si affollano per seguire le sue lezioni: Eloisa cade presto vittima del fascino magnetico di Abelardo, che ricambia passionalmente la bellissima fanciulla.

Il loro è un amore raccontato attraverso i secoli, passionale, erotico e che divenne un esempio di libertà e totale dedizione all'altra persona. Un amore che fa riflettere, così come tutta la vita di Abelardo, sulla concezione che oggi abbiamo del Medioevo come epoca buia e incatenata al volere della Chiesa romana. Spendono le ore di lezione assieme, dimenticando i testi e dedicandosi esclusivamente ai loro giochi, all'oscuro dello zio di lei, Fulberto, e del mondo intero, per via della condizione di Abelardo, monaco degli ordini minori.

La breve vita dell'idillio

Questo amore segreto è destinato a non rimanere tale. Le poesie meravigliose composte da lui circolano a Parigi, rendendo Fulberto lo zimbello della nobiltà cittadina, fino al giorno fatale in cui i due amanti vengono sorpresi assieme. Fulberto non può tollerare questo amore adulterino e va su tutte le furie provocando la fuga di Alberto ed Eloisa che scappano, lontano, nel paese natale di lui, Le Pallet, cercando riparo nella distanza sia dallo scandalo che dall' ira del canonico di Notre-Dame, costretto a piangere la fuga della sua pupilla. Le cose si complicano quando Eloisa partorisce un figlio, Astrolabio, e Abelardo si dichiara pronto a prendere Eloisa in moglie. Lei però, contraria, cerca di fermare il matrimonio per non danneggiare l'amato e la sua carriera, finendo con sposarlo comunque, alla presenza dello zio. Il matrimonio, come prevedibile, viene scoperto, probabilmente rivelato dallo stesso Fulberto. Di nuovo Abelardo ed Eloisa sono coinvolti in uno scandalo e devono correre ai ripari: lei viene mandata da lui in convento, per tentare di calmare le acque, senza riuscire però a prevedere la reazione irata dello zio, convinto che Abelardo abbia costretto Eloisa a diventare monaca. Nella notte, invia i suoi uomini nella stanza di Abelardo, rimasto a Parigi, e lo fa castrare come vendetta per il torto subito. Questa è la fine della vita di coppia di Abelardo e Eloisa, almeno da parte di lui. Forse per via del trauma subito, forse per una scelta precisa o per semplice soppressione dei sensi, il filosofo bretone decide di mettere da parte il suo amore per Eloisa che, con ogni probabilità, non era all'improvviso cessato. Certo, Eloisa non si arrende e compone delle lettere all'amato, oggi tramandateci, forse false, che riassumono la sua vita e ci danno informazioni su entrambe le vite degli amanti. In particolare ci regalano il pensiero sull'amore di Eloisa, che permeò tutta la sua vita e che la iscrive come una delle pensatrici più originali di tutto il XII secolo.

Importanti studi, amore per la logica e rivalità con la Chiesa Romana

Abelardo ritorna presto agli studi, ritirandosi a St. Denis nell'omonima abbazia, sede di un importante centro benedettino. Ovviamente non riesce a stare tranquillo e dopo poco tempo litiga con i monaci dell'abbazia che lo cacciano e lo costringono a ripiegare, dopo un processo, in un luogo disabitato, lontano e al sicuro dalla prigionia impostagli dai benedettini. Lentamente le voci sulla sua posizione si spargono e Abelardo assiste a un numero sempre maggiore di tende comporsi intorno a lui, tende di studenti venuti per sentire le sue meravigliose lezioni: è costretto a costruire un oratorio, chiamato Paracleto, che in seguito abbandonerà per stabilirsi in un'abbazia sulle coste della Bretagna. Il nuovo abate di St.Denis, nel frattempo lo ha perdonato e gli concede di nuovo i voti da monaco.

Il suo nome è Suger, una figura così importante per la storia dell'Occidente che risulta bizzarro quanto poco sia conosciuta. Egli fu infatti il responsabile della nuova edificazione di St.Denis, con uno stile architettonico diverso che noi oggi chiamiamo Gotico. Una personaggio lungimirante, che, nell'aiutare la carriera di Abelardo dimostra ancora quanto vivace fosse il dibattito in quei secoli e quanto le grandi figure siano vicine spiritualmente. Abelardo è dunque di nuovo sulla cresta dell'onda, tiene a lezione alcuni di quelli che saranno i maggiori filosofi della generazione successiva e la sua fama si sparge ancora più lontano, così come le sue teorie eterodosse e, in particolare, il suo desiderio di utilizzare la logica per parlare di Dio, per fare teologia:

" Nihili credendum nisi prius intellectum"

"Niente va creduto se prima non lo si è compreso"

Arriva addirittura a rivalutare i filosofi pagani, in un testo meraviglioso che interpreta allegoricamente i testi di pensatori come Platone, convinto del fatto che con le armi della logica e della Ragione si possa raggiungere sempre lo stesso significato, la stessa Verità assoluta che, però, solo i veri credenti possono comprendere appieno.

Lo scontro con Bernardo di Clairvaux e la morte

Furono questi pensieri a tirargli contro le ire di un personaggio, fondatore di un nuovo ordine monastico legato a Cistercium ( i Cistercensi), Bernardo. Costui lo attacca frontalmente, accusandolo di essere tre volte eretico e facendolo condannare come eretico in un concilio sapientemente orchestrato al quale Abelardo praticamente non partecipa. Non che Abelardo si dia per vinto, certo. Intraprende un viaggio a Roma, il suo ultimo viaggio, per difendersi direttamente alla corte papale dalle accuse di eresia, per difendere il valore della logica contro quello dell'estasi mistica, propugnato dai monaci, per raggiungere la Verità e la gloria di Dio. Non arriverà mai a Roma. Una lettera di Bernardo raggiunge il soglio pontificio prima di lui e, quando è solo all'altezza di Cluny, la risposta di Innocenzo III che ratifica la sua condanna lo costringe a fermarsi.

Stanco, probabilmente già malato, Abelardo si stabilisce a Cluny, dove l'intercessione del potentissimo abate Pietro il Venerabile lo protegge dalle intemperie e gli permette di indossare il vestito dei monaci cluniacensi. Nell'atmosfera magica e mistica della Grande Abbazia, Abelardo trova, infine, la pace e la tranquillità che aveva cercato tutta la vita, dal burrascoso amore con Eloisa e attraverso tutto il regno capetingio. I monaci lo accolgono pacificamente, per amore di quella ratio che che Abelardo propugnava e per astio nei confronti dei cistercensi, così lontani dai canti sfarzosi cluniacensi e dall'ideale di perfezione e di rassicurante sicurezza che le note e l'aspetto dei cantori erano incaricati di trasmettere, notte dopo notte, ai pellegrini stanchi e ai fedeli timorosi della morte. Muore un anno dopo la condanna, nel 1142, dopo la stesura di una lettera che racconta le sue sventure, l' Historia mearum calamitarum, e una lettera a Eloisa, nella quale la esorta a convertire e tendere il suo amore nei confronti di Dio, ultimo insegnamento di un maestro filosofo all'amata e allieva, con una nota di rimpianto, forse, rintracciabile nella delicatezza degli aggettivi dedicati a lei e nel tono intero della missiva.

Eloisa e l'amore immoderatus

Se Abelardo diviene rapidamente il simbolo di una filosofia più o meno libera, in grado di segnare il corso della Storia e di riaprire le porte all'indagine razionale del Cosmo, Eloisa ci parla invece della società in cui viveva, una società molto diversa da quella che ci immaginiamo e in grado di esprimersi più o meno liberamente in ambiti vari, dalla poesia alla filosofia alla musica. Non bisogna pensare, ad esempio, alle strade di Parigi e delle altre città d'Europa a luoghi silenziosi e colmi di paura. Erano luoghi, certo, violenti e molto meno sicuri di oggi. Ma anche ricolmi di canzoni, poesie, pensieri originali che traboccavano dalle scuole e dalle teste degli studenti, i quali crescevano sempre in numero, attenti in particolar modo a parlare di amore, centrale nel pensiero cristiano e, dunque, anche nella vita comune di chi era in grado di leggere, scrivere o anche solo ascoltare. Amore che poteva essere divino o terreno, ma che comunque dominava incontrastato i discorsi letterari del tempo. Eloisa è interprete di questo microcosmo, racconta e teorizza un amore immoderatus, con lo stesso termine che S. Agostino usava per descrivere l'amore perfetto di Dio, ora trasportato in mezzo ai comuni mortali, anch'essi in grado di amare senza limiti un altro mortale. L'amore vero è pari a quello che l'uomo deve avere per Dio, illimitato e senza interesse, così come Abelardo aveva teorizzato la vita-modello di un santo, esule dal peccato che può essere tale solo se coscientemente commesso per intendere il Male.

Non si deve neanche dimenticare che questo è quel clima culturale, cavalleresco e mistico, che presuppone allo sviluppo dell'amor cortese e dei romanzi cavallereschi più noti, come alla poesia trobadorica provenzale e italiana: la culla della letteratura europea moderna.

Una società diversa da quella che immaginiamo

Senza Abelardo e senza la cultura che animava i secoli dopo l'anno Mille non sarebbe mai stato possibile anche solo teorizzare un secolo come quello dei Lumi, e noi oggi, definitivamente, saremmo ancora convinti dell'inferiorità della logica e restii a usare la Ragione per risolvere le controversie più spinose, come le questioni etiche e politiche di tutti i giorni. Il nostro debito, dunque, nei confronti di questi pensatori è immenso e va riconosciuto.

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