Un tuffo nei ricordi. Nello stesso raccoglitore del racconto precedente ne ho trovato uno che scrissi alle superiori, seconda classe, e non solo di anno. Sentite qua:
Abissi Assassini
Classica giornata invernale e i pensieri affogano giù. Giù… sì! Da qualche parte, giù. Infondo. Negli abissi di un silenzio inspiegabile… di un dolore implacabile.
Irrefrenabile è la voglia di alzarmi da questa sedia e smetterla di scrivere pagine e pagine di storie – le mie storie senza fine – e sperare che qualcuno mi venga a salvare. Non ho bisogno di aiuto. Dimostrazione vivente che senza un uomo si può vivere! È logico e banale che dentro una bottiglia, al posto di una pergamena, io non possa entrarci, per farmi trasportare dalle onde e dalla corrente di un fiume e andare lontano. Trasportata via.
Un giorno successe.
Classica giornata invernale e i pensieri affogano giù…
Ero sulla riva di un fiume, vicino al ponte dal quale sono scesa piangendo fino a strappare ciuffi di lacrime e a confessare a dei piccioni viaggiatori che avevo voglia di scappare. Lo feci. Sul punto di fuga, notai una barca abbandonata. Stavo commettendo un furto, ma non ero io la ladra. Ladro è chi ruba una vita! Tra le mani avevo “Il cacciatore di Aquiloni” aperto a pagina 24. E continuai a leggere… “Se uccidi un uomo, gli rubi la vita. Rubi il diritto di sua moglie ad avere un marito, derubi ai suoi figli del padre. Se dici una bugia a qualcuno, gli rubi il diritto alla verità. Se imbrogli, quello alla lealtà…“.
Parole che penetrarono nella mia testa come un treno quando entra in galleria, rapidamente, senza aspettare. Cosa dovevo aspettare ancora? Guardai nuovamente quella barca. Ne presi prima le distanze e poi mi precipitai come una pazza dimenticando tutto in riva al fiume. Non avevo bisogno di niente, infondo. Volevo solo andarmene.
Abbandonare ogni ricordo in questo posto. Ma perché? Non conoscevo risposta. Un noto filosofo, al posto mio, si sarebbe chiesto “perché” o “per cosa”. La mia amica si sarebbe domandata “Ma a che scopo?”. Il parroco si sarebbe messo a riflettere. La mia professoressa di latino, mi avrebbe detto “rifletti”. Oggi no. Non rifletto. Non ci penso e spingo la barca a largo.
Adesso però, da questa nuova prospettiva, una domanda da porre ce l’ho anch’io “In quale direzione?”, Francesco Renga avrebbe risposto “Cambiare direzione e farsi una ragione, che quello che non sei, non diventerai. Fine della storia, e se non hai memoria, ora sai, non mi troverai. Cambio direzione“.
Indosso le cuffie, accendo l’iPod, e Gianni Morandi mi ricorda che solo “uno su mille ce la fa“: nessuna speranza se non sei quell’uno tra i mille. Anche Avril Lavigne mi chiede “When you’re gone?” – dove te ne sei andata? – ma cambio musica.
“Niente paura, niente paura, niente paura ci pensa la vita, mi han detto così“. Pensai che quel giorno qualunque cosa rappresentava il segno di una mancata speranza o qualcosa del genere. Non è poi così bello ascoltare qualcuno che ti dice “niente paura“, quando quel qualcuno, mito che sia, si accorge a quarant’anni che si vede la luna perfino da qui.
Esclamazione vincente, in risposta, “…la paura che, ho sperato provassi provandola io…” ovvero, qualcuno che ti augura la morte. Mi convinsi che fossi andata avanti così avrei potuto imbattermi in una di quelle cascate dei film hollywoodiani, sperando almeno di essere “io” la protagonista che è sempre l’unica a salvarsi. Alla fine però, cambiai davvero direzione.
È stato un grosso azzardo andarsene, e anche Vasco lo capì e ne rimase “senza parole” – e quando mai? I suoi testi sono coordinate di vita “e… vuoi da bere?“.
Aiuto! Cambio ancora canzone. “E fuori è buio” mentre qualcosa comincia a non funzionare, è veramente buio e quella fuori sono io. La barca comincia a bere acqua ed io mi sono tutta bagnata. A cosa servono tutte le canzoni in momenti come questi? Solo ad annegare.
“Salutandoti, affogo…“. E puoi dirlo forte!
Note d’autrice: pubblicando questo racconto non sono tutelata dal buon uso e consumo dei racconti, tuttavia sono consapevole della banalità del contenuto, e allo stesso tempo della nostalgia di un corso di scrittura creativa frequentato alle superiori, anno in cui scrissi tale composizione. Preciso che l’accaduto del racconto è interamente inventato e per niente personale. Infine ci tengo a esporre brevi motivazioni che mi hanno spinto a pubblicare “Abissi Assassini”:
1. Inserire nella mia Valigia di caffè un vecchio chicco stagionato può sempre servire. (Per approfondire il concetto di pensieri stagionati vai in questa pagina)
2. Condividere il mio vecchio stile di scrittura – messo che ne abbia mai avuto uno - e criticarlo in tal caso.
3. Trasmettere una morale: le canzoni sono buone all’ascolto ma non alla tua vita soltanto perché sembrano sempre descrivere la tua situazione emozionale. Possono aiutare, ma non vale per tutti i casi.
4. Ricordare il periodo in cui ho scritto il racconto, rendermi conto che sono trascorsi già un paio di anni, e capire cosa è cambiato nella mia esposizione e cosa no.