Come abbiamo già avuto modo di vedere, gli obiettori di coscienza, in tema di aborto, sono sempre più numerosi. Cresce, infatti, il numero dei medici che scelgono di non praticare interruzioni di gravidanza perché convinti che la vita sia tale fin dal concepimento. A tal proposito, un articolo comparso su “Il Corriere della Sera“, mostra come, anche nel nostro Paese, questa tendenza sia in aumento.
Il quotidiano nazionale, infatti, riporta alcune interessanti statistiche che confermano l’aumento dei medici obiettori: per i ginecologi, si è passati da un 58,7% del 2005 ad un 69,3% nel 2010, mentre per gli anestesisti la percentuale si è spostata dal 45,7% al 50,8%. Interessante, poi, notare un aumento degli obiettori anche tra il personale non medico, dove si è passati dal 38,6% del 2005 al 44,7% del 2010. In generale, i valori più alti sono stati registrati nel Sud Italia, con punte dell’85% dei ginecologi in Basilicata, del 78,1% degli anestesisti in Sicilia e del 79,4% del personale non medico in Calabria.
Questo dato, costituisce senza dubbio un duro colpo per tutti coloro che si battono contro la libertà dei medici, e che considerano l’obiezione di coscienza in tema di aborto “una malattia che va debellata“; per costoro, infatti, il buon medico non dovrebbe obiettare. Se questa tesi fosse corretta, è evidente che dovremmo rivedere, e rivalutare, completamente la figura del medico perché, in questa fantasiosa visione, egli non sarebbe altro che un “automa” programmato per eseguire gli ordini del paziente, e sarebbe costretto ad esercitare la sua professione dimenticandosi completamente della sua coscienza. E’ evidente, che la figura del medico si svuoterebbe completamente di qualsiasi tipo di competenza e professionalità, e non diventerebbe altro che una “scappatoia” per la risoluzione di tutti i problemi.
Un altro interessante dato riportato dal “Corriere”, è la diminuzione del numero di aborti; tra il 2010 e il 2011, le interruzioni di gravidanza sono scese del 5,6%.
Non si può certo ignorare, poi, la famosa pillola RU486, a lungo oggetto di una feroce battaglia ideologica che l’ha introdotta anche nel nostro Paese. Secondo “Avvenire” tuttavia, il ricorso all’aborto chimico non è stato così frequente come inizialmente ipotizzato; in Lombardia, ovvero in una delle regioni più popolose, le interruzioni di gravidanza tramite aborto chimico sono state “appena” 444, in Toscana i casi sono stati 760, in Piemonte 1.356 e in Emilia Romagna 2.271. Secondo i dati raccolti, è ipotizzabile che, a fine anno, gli aborti chimici saranno meno di 7.000, ovvero, indicativamente, solo il 6% del totale. Numeri, quindi, assolutamente modesti.
La strada è certamente ancora lunga e tortuosa, ma questi dati indicano che la diffusa mentalità che considera l’aborto come un diritto inalienabile, e non come un dramma esistenziale, comincia seriamente a mostrare tutti i suoi limiti e le sue contraddizioni.