Quando ero bambino ho visto un tornado nel Mago di Oz, ricordo le navette spaziali del programma Apollo, gli articoli degli scienziati sui buchi neri: erano cose gigantesche e paurose, non erano veramente concepibili e al tempo stesso incombevano sulla terra, su di me. Più potenti di mio padre, più grandi del mio mondo, niente avrebbe potuto salvarmi da loro. Questa consapevolezza era qualcosa che mi obbligava a cambiare prospettiva e a diventare umile. Io adesso nei miei quadri rappresento proprio questo: la mia vulnerabilità, la vulnerabilità di tutte le cose.
I tornado, in particolare, rappresentano lo sconvolgimento. Credo che i miei quadri più riusciti sui tornado mostrino l’ordine, la sicurezza delle cose di ogni giorno e il loro possibile scompiglio creando uno spettacolo di tensione. Una delle cose più strane del vivere a Los Angeles e in altre grandi città, è l’esistenza di due realtà adiacenti, quartieri sicuri separati da quartieri “pericolosi” soltanto da poche case. I miei quadri puntano il dito su questa strana coesistenza, in una città ritenuta tra le più moderne e civilizzate.Gli animali giganteschi esprimono una sorta di assurdità: c’è stato un periodo in cui sembrava che tutti volessero solo dipinti di tornado e io ero stanco di produrne. Stavo dipingendo un quadro che faticava a venire fuori, quando in un altro quadro cominciai a dipingere un uomo che rientrando a casa la trovava ricoperta da un polipo gigante. Questi animali nascevano dalla rassegnazione e dalla frustrazione: grossi, stupidi problemi senza luoghi in cui nascondersi. E quando mi fu ordinato l’ennesimo quadro sui tornado sentii di dover illustrare attivamente il fatto che non erano i tornado in sé a creare la dinamica, così li sostituii con dei polli giganti.Tecnicamente parlando nessuno di questi quadri funzionerebbe mai se non fosse concepito in modo esteticamente fondato: come ancorare soggetti ridicoli in un contesto che li legittimi? Come dare un peso artistico e non scadere nella semplice vignetta satirica? Ci sono molti strati di colore nei miei quadri, strati di vernice che danno una connotazione di “vissuto”, di elaborato e ripassato. C’è un processo pittorico di costruzione dello spessore e degli effetti di luce, affiancato alla negazione di certi dettagli.
Penso che un buon dipinto sia tale quando funziona sotto molti aspetti e su più fronti: ci possono essere dipinti che colpiscono al di là del loro soggetto, oppure che stimolano una narrazione, forti nell’arrangiamento dei loro colori, ben costruiti dal punto di vista della composizione, impressionanti nella loro costruzione spaziale. La riuscita nel realizzare almeno due di questi aspetti può indurre lo spettatore ad amare il quadro, senza necessariamente sapere il perché.