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Abusi di parole, compagni di letto e un altro desiderio per l’anno che viene

Creato il 29 dicembre 2012 da Unarosaverde

Negli ultimi anni si è imposta la tendenza di coniare una parola, o di darle una sfumatura di significato differente da quella originale, e di usarla e abusarne fino alla nausea. I tormentoni piacciono, servono a coalizzare le masse sotto insegne verbali prive di senso che regalano però sensazioni di appartenenza ad un gruppo e di riconoscimento.

Come in ogni cosa, il troppo stroppia. Alcune sono parole passeggere: il porcellum, l’agenda monti, il bipartisan letto all’inglese. Vanno e vengono nello spazio di due mesi. Altre invece sedimentano e ci seguono per molto tempo, occupano i giornali e infestano le conversazioni sui mezzi di trasporto e nei bar. “Assolutamente si”, “ma anche no”, parliamo tutti nello stesso modo senza neppure accorgerne e ci dimentichiamo dell’esistenza di innumerevoli altri vocaboli, più pertinenti, più coloriti, meno sciupati.

Di solito questi modi di dire ossessionanti entrano ed escono dalle mie orecchie senza che presti loro molta attenzione ma alcuni hanno il potere di innervosirmi e di causare una categorizzazione mentale, per un effetto pavloviano che non riesco a razionalizzare, con la quale inquadro senza possibilità di redenzione le persone in determinate categorie culturali.

Prima di essere accusata di essere snob o intellettualizzante, vi confesserò che adoro i registri linguistici. Quando scrivo cerco di esprimermi in modo corretto: ho il dizionario a portata di mano, a distanza di un giorno mi rileggo e spesso correggo errori che mi erano sfuggiti. Quando parlo invece calibro il mio lessico rispetto all’ambiente in cui mi trovo: spesso, sul lavoro, utilizzo il dialetto, con gli amici e nelle conversazioni rilassate mi piace pescare nel gergo, preferisco chi è in grado di esprimersi in maniera semplice e chiara, senza giri di parole, e, quando devo spiegare, cerco di farlo anche io. Mi fido infatti poco di chi si incarta in ipotassi e termini aulici  perché sospetto sempre che lo faccia come si fa quando si incarta e infiocchetta un regalo di poco spessore per farlo apparire più importante di quello che è o per nasconderne la poca essenza.

Rido quando sento neologismi e strafalcioni ma non mi inquieto: colleziono, di rado correggo e lo faccio solo se conosco bene la persona che mi sta parlando e so che non si offende, a volte riciclo perché l’effetto comico è assicurato.

Qualche tempo fa ho scritto un post sulla parola “lugubrazioni”: dato che da allora ho ricevuto 23 visite tramite ricerca di questo termine, comincio a pensare che sia più diffuso di quel che pensavo. Lasciatemelo scrivere allora, perchè pleonastico forse non è: si dice “elucubrazioni”. Elucubrare è una parola con una storia affascinante: deriva dal latino, dalla parola lucubrum, lucerna, e significa lavorare, comporre al lume di candela. Anche lugubrazione comunque, seppur inesistente, ha un fascino spettrale: io la passerei tra i neologismi con tutti gli onori. Sarebbe bello trovare il tempo per conoscere la storia delle parole che usiamo. Quindi, ecco, per me c’è posto quasi per tutti, anche, a volte, per i termini volgari.

Chi però utilizza determinate espressioni, non corrette, e persiste, perchè le sente dire, se ne appropria e non controlla mi infastidisce molto, specialmente se lo fa possedendo una laurea in materie umanistiche. Mi sembra, ecco, superficiale, pseudo-colto. Mi dispiace, sono fatta così. Dovrei desiderare di diventare una persona migliore per l’anno che viene, invece desidero che una di queste parole, quella che aborrisco sopra ogni altra, scompaia da ogni bocca per sempre.

Io vorrei non sentire più la frase “piuttosto che”, povere parole martoriate e annichilite, impropriamente utilizzate come sinonimo di oppure, tra scelte equivalenti.

Altrimenti finisce che poi sono io che scado e mi ritrovo, come già capitato anche in ambienti poco consoni, a ricorrere ad esempi grossolani, nella speranza che facciano breccia nei piuttostochettari più incalliti e li muovano a compassione.

Per chi fosse interessato, l’esempio che utilizzo è simile a questo ma il tono di voce fa la differenza e il soggetto dell’azione è un altro, vi lascio immaginare. Non ci faccio una bella figura.

La frase: “Tizia la dà a Caio piuttosto che a Pinco Pallo piuttosto che a Sempronio” non va bene. Sembra che per Tizia sia del tutto indifferente la scelta del destinatario dei suoi favori.

“Piuttosto che darla a Tizio, Pinco Pallo o Sempronio, Tizia si fa suora” invece è corretta. Esprime una scelta di Tizia ben precisa, a favore di una delle opzioni. Andrebbe bene anche “Tizia la dà a Pinco Pallo piuttosto che a Sempronio”, se Tizia, alle brutte, costretta dalle circostanze ad una scelta, preferisce far felice Pinco Pallo, data la sua particolare antipatia nei confronti di Sempronio.


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