Magazine Economia
Nella parte sinistra si evidenzia che le difficoltà di accesso al credito delle imprese italiane, in linea con quelle rilevate in Spagna, rimangono assai elevate nel confronto con le altre principali economie dell'area euro (soprattutto Germania). Più precisamente si evidenzia che, nonostante la quota di aziende che hanno domandato nuovi prestiti sia simile nei vari paesi, in Italia e Spagna l'incidenza di quante non riescono a ottenere i finanziamenti è ben superiore rispetto alla Germania e alla Francia Da evidenziare anche la divergenza esistente tra i tassi di interesse praticati alle imprese sui nuovi prestiti, nei vari paesi considerati. Come si osserva dall'immagine di destra, le imprese italiane e spagnole si finanziano a tassi ben più alti rispetto alle imprese tedesche e francesi. Questa tendenza si amplifica e sia aggrava nel 2011, proprio con lo scoppio della crisi dei debiti sovrani che ha colpito i paesi del Sud Europa. Ad accentuare questa dinamica ha senz'altro contribuito anche il maggior costo del debito sostenuto dall'Italia in quel periodo, che si è riflesso anche sul costo della raccolta bancaria e, conseguentemente, anche sulle condizioni praticate dalle banche nelle operazioni di credito. La fuga di capitali dai paesi più colpiti dalla crisi verso quei paesi considerati più solidi (Germania) ha altresì contribuito ha schiacciare i rendimenti offerti in quelle aree, con ovvia ripercussione nel settore di credito che ha potuto godere (sta godendo) di condizioni di estremo favore rispetto a quelle praticate alle imprese Italiane e Spagnole. C'è da aggiungere che le due operazioni di finanziamento (LTRO) poste in essere dalla BCE nel dicembre del 2012 e febbraio del 2012, hanno ulteriormente aggravato le divergenze. Come è noto, i soldi ricevuti dalle banche italiane sono stati pressoché totalmente impegnati per l'acquisto di titoli di stato governativi; mentre, in altri paesi (Germania) sono stati destinati a finanziare l'economia reale (che già godeva di condizioni eccellenti), determinando un ulteriore abbattimento del costo del debito delle imprese, facendo esplodere questa divergenza. Per coloro che lamentano che la BCE avrebbe peccato di scarso interventismo, semmai ce ne fosse bisogno, quanto sopra rappresentato costituisce l'ulteriore prova che una politica monetaria comune, in aree economiche strutturalmente divergenti, può fare ben poco per ricomporre e sanare tali divergenze. Anzi, non sarebbe da escludere il fatto che una politica monetaria centralizzata, addirittura, aggravi tali asimmetrie. A complicare il quadro sopra descritto, c'è da dire che contribuisce anche l'azione del governo italiano. Alla luce del recente inasprimento della pressione fiscale su quelle che vengono impropriamente chiamate "rendite finanziarie", come abbiamo già scritto in un precedente articolo, lo Stato, attribuendo un privilegio alle rendite derivanti dall'investimento in titoli di stato - che si sostanzia in un livello di tassazione più agevolato e discriminatorio- si pone in competizione con il mercato in modo arrogante, ingiusto e distruttivo. Ingiusto perché, in questo modo, è evidente che intenda attrarre i risparmiatori nell'investimento in titoli di Stato, grazie ad un abuso di posizione dominante e alla sua autorità che gli consente di attribuire ai titoli di Stato un trattamento fiscale di favore; distruttivo perché, ponendosi in concorrenza (sleale) con altre tipologie di investimento, non fa altro che distrarre masse di risparmio da quei soggetti deputati al finanziamento alle imprese e famiglie. Ecco che le banche, al fine di raccogliere denaro da prestare successivamente a famiglie ed imprese, dovranno arginare la concorrenza esercita dallo Stato offrendo rendimenti maggiori ai risparmiatori, al fine di riequilibrare la convenienza nell'investimento in obbligazioni bancarie, compressa da fattori fiscali discriminatori. Quindi un maggior costo della raccolta per il sistema bancario, che verrà ribaltato su imprese e famiglie. SEGUI VINCITORI E VINTI SU FACEBOOKE SUTWITTER
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