Da tempo non passavo per quelle strade di Bologna. Domenica mattina mi sono trovata a camminare nella zona universitaria sotto i portici di via Zamboni ad attraversare piazza Verdi. Lo squallore mi ha avvolto e aveva i colori dei muri devastati, l’odore dei rigagnoli di urina, e il rumore del silenzio interrotto dalle frasi sconnesse di un balordo che urlava la sua rabbia. Avrei voluto urlare anch’io mentre guardavo le macerie di quella che fu la più bella, la più viva piazza della città e forse non solo della mia città.
Quello che avevo intorno era la materializzazione del disprezzo, dell’odio per una comunità che a un certo punto della sua storia ha dimenticato le regole dell’accoglienza, quelle che l’avevano resa famosa, quelle che erano sintetizzate nei due aggettivi : la dotta e la grassa ovvero, l’amore per la cultura e l’amore per la vita.
Mi sono così trovata a meditare sulla perdita di significato della parola accoglienza.
Immediata l’associazione con le giornate di accoglienza nella scuola: due o tre giorni di attività imposte e appiccicaticce, che non favoriscono la nascita di alcun senso di appartenenza. Il disprezzo lo si legge sui muri delle aule, lo si tocca nelle gomme masticate e attaccate sotto i banchi, nell’atteggiamento sprezzante e arrogante di chi sventola la sua ignoranza come un trofeo di guerra.
Ho pensato poi agli studenti universitari accolti in case decrepite e costretti a pagare fior di quattrini, in nero, a parassiti che si arricchiscono dissanguandoli. I fuori sede erano il cuore di Bologna, la sua grande ricchezza in termini di cultura, e vitalità e amavano questa città al punto di sceglierla per sempre. Poi la città ha fatto mancare risorse e stimoli, gli studenti si sono trasformati in emarginati e quelle strade devastate sono il segno della non appartenza.
Mi sono venuti in mente i centri di accoglienza, quelli in cui vengono rinchiuse persone in cerca di una vita migliore e che dopo il buio del mare, si trovano a fare i conti con ospiti ringhiosi come cani idrofobi, pronti ad alzare sgangherate torri a difesa del loro terriritorio. Che amore e rispetto potranno mai avere per luoghi che ferocemente li respingono?
Ho riguardato infine quel pezzetto di meravigliosi portici di Bologna ricordando che l’UNESCO non li dichiarerà patrimonio dell’umanità se non verranno riportati all’antico decoro.
Spero sia chiaro che non basterà un po’ di vernice.
Rimettere in sesto quei portici significa accogliere davvero tutti gli abitanti della città, Raccoglierli e unirli attorno a questa grandiosa opera testimonianza della stupefacente creatività di tutto il genere Homo sapiens e quindi di diritto, patrimonio dell’intera umanità.