Sequestrato e dissequestrato, poi nuovamente sequestrato e processato, assolto e mutilato in molte scene; vituperato dai critici, accusato di razzismo e di apologia della violenza e i suoi autori messi all’indice e banditi in molti paesi.
Una storia tormentatissima, quella di Addio zio Tom, un documentario estremo e brutale che affronta di petto e senza mediazioni un tema assolutamente scottante come il razzismo e la storia dell’immigrazione forzata dei nativi africani in America, lo schiavismo.
Gualtiero Jacopetti e Franco Prosperi, la coppia di registi che diresse Addio zio Tom nel 1971, era al quinto lungometraggio; in passato aveva co-diretto La donna nel mondo (1963), Mondo cane 1 e 2 (1962 e 1963) e Africa addio (1966), suscitando scandalo e sopratutto attirandosi le ire di buona parte della critica per il contenuto delle loro opere accusate di essere un inno al razzismo. Così nel 1970 tra varie difficoltà e sostenuti solo dalla produzione il duo gira un documentario inframezzato da una serie di citazioni storiche con inserti in stile film storico che all’uscita fu accolto da una marea di critiche tali da suscitare l’effetto domino di portare in sala un nugolo di spettatori.
Un’asta in cui vengono vendute le schiave
Che così si trovarono di fronte ad un’opera assolutamente particolare, piena zeppa di violenza e di situazioni slasher simulate ma così ben fatte da sembrare reali, con in mezzo scene di follia quotidiana come la violenta rivolta dei primi anni sessanta contro l’apartheid e le successive lotte per l’integrazione di Martin Luther King, ma non solo.
C’è il movimento delle Black panther e di Malcom X, l’altra faccia di una violenza che si opponeva a quella dei bianchi con l’arma stessa della specularità, ovvero una violenza altrettanto cieca e brutale.
Un anziano schiavista decanta le virtù fisiche di una sua schiava
Addio zio Tom parte proprio in questo modo, con una voce fuori campo impersonale ma allo stesso tempo carica di sarcasmo, che sottolinea come le parole che la voce stessa sta pronunciando non sono affatto il sentire dei registi quanto piuttosto una maniera di vedere condivisa purtroppo da molti americani.
Così la gente di colore, che la voce chiama sprezzantemente “negri”, viene di volta in volta appellata con termini spregiativi: sono brutti, sporchi e cattivi, sono violenti e infidi, scansafatiche e buoni solo alla riproduzione. Questo quando va bene perchè alcuni dei personaggi che funzionano da trait d’union nel film/documentario spesso li paragonano a bestie, ad animali che di umano non hanno nulla e che su di loro esercita una violenza cieca quanto folle.
Schiave detenute in condizioni inumane
Uno dei motivi, se vogliamo la pietra dello scandalo principale in Addio zio Tom consiste nel racconto dei primi anni dell’immigrazione forzata sopratutto negli stati del sud degli Usa, incoraggiata se non favorita dai primi 14 presidenti degli Usa che furono proprietari di schiavi, con il racconto crudele delle parole di Andrew Jackson, presidente degli States che chiedeva di punire gli schiavi ribelli con 100 frustate per ogni tentativo di fuga.
Alla luce di questo, il film non fa altro che ripercorrere quella che fu la triste odissea degli schiavi deportati dalla terra di origine e trasportati attraverso l’oceano in condizioni assolutamente disumane.
“Posso sceglierne quanti ne voglio, 1,10,100…”
Le varie sequenze del film mostrano un carico umano trattato alla stessa stregua del bestiame, mostra stupri e crudeli torture inflitte a coloro che non si adeguavano alle dure leggi dello schiavismo.
Assistiamo così alla durissima vita nelle piantagioni di cotone e a tutta la serie di orrori di cui si resero responsabili i primi schiavisti, a cominciare dai latifondisti proprietari dei campi nei quali la gente di colore era costretta a lavorare.
“Sono umani? Ma allora perchè puzzano di bestia?” si chiede un dottore incaricato di studiare la “specie negra”, così come si chiede se “la gente del nord sa che la pelle di queste bestie ha il doppio delle ghiandole sudorifere di un bianco”. E’ solo una delle tante, tantissime sequenze che induce lo spettatore ad un brivido di orrore, perchè lo stesso spettatore non ha mai assistito in prima persona ad un racconto per immagini così brutale e per certi versi agghiacciante.
I cacciatori di schiavi fuggiaschi riportano indietro le teste
Quella che la coppia Gualtiero Jacopetti e Franco Prosperi raffigura e racconta è una verità scomoda per gli americani, quasi ignota per gli europei che fecero un uso estremamente limitato di schiavi.
Così le immagini choc che si susseguono passano attraverso castrazioni e stupri, bambini trattati di volta in volta come cuccioli di cane: “non date ossa di pollo ai cuccioli, l’altro giorno ne ho portati due dal veterinario” racconta una bagascia in ghingheri durante un pranzo di gala, testimoniando il livello bieco di mancanza di umanità oltre che di cultura raggiunta dai bianchi dominatori.
Addio zio Tom è sopratutto questo, una galleria di orrori gettata in faccia agli spettatori, senza alcun filtro.
Ad un certo punto del film la condizione della gente di colore viene messa a confronto con quella dei nativi americani, i cosidetti “indiani”; il solito dottore saccente e razzista parla delle differenze tra “negri” e indiani dicendo che “tra di loro c’è la stessa differenza tra un cane ed un coyote; il cane puoi coprirlo di bastonate e sarà li a leccarti i piedi mentre se levi la libertà ad un coyote gli levi l’aria”
Le schiave vengono “disinfettate” e inviate a lavarsi
Dopo un’ora di proiezione (il film dura 140 minuti), si ha l’impressione di essere stati proiettati in una dimensione terrena delle scene dantesche dell’inferno, e la pietà mista al disgusto permeano lo spettatore.
Alla fine del film si esce dalla sala distrutti e oppressi da un coacervo di sensazioni che vanno dalla umana pietà per la gente di colore al disgusto per quello che uomini come noi, che vivono solo ad un’altra latitudine, hanno saputo produrre.
In fondo tra loro e i nazisti, che raccoglieranno l’eredità dello spregio per la gente di colore, non esiste alcuna differenza se non quella dettata dall’utilizzo di questa povera gente, considerata dai primi “bestiame da lavoro” mentre dai secondi come una razza inferiore da sterminare.
Follie dell’uomo.
Addio zio Tom è un ‘operazione, come già detto, che scatenò una tempesta di critiche molte delle quali immotivate; non c’è razzismo in esso, c’è soltanto la rappresentazione esasperata di quella che per i registi è una verità storica, sulla quale non entro perchè poco documentato. Il sarcasmo facilmente intuibile nella voce del narratore spegne in anticipo qualsiasi valutazione di stampo razzistico; Jacopetti e Prosperi provacono con scene ed immagini choc, con un uso ossessivo del nudo del resto giustificato proprio dal trattamento bestiale riservato alla gente di colore.
Il linguaggio a tratti e crudo, così come alcune immagini sono in puro stile slasher: le più forti quelle del massacro della famiglia bianca ad opera dei soliti cattivi negri e l’infanticidio di uno di essi che scaraventa contro il muro una bambina oppure la caccia ai “negri” fuggiti dalle piantagioni con conseguente taglio della testa degli stessi.
Un mercante di morte
Il titolo del film, che riprende quello del romanzo di Harriet Beecher Stowe La capanna dello zio Tom in fondo è la rappresentazione visiva estremizzata di ciò che raccontò la stessa Stowe nel romanzo e che in qualche modo originò la guerra civile americana, sintetizzata dalle parole di Lincoln rivolte alla Stowe quando la incontrò : “Allora questa è la piccola signora che ha scatenato questa grande guerra”
Un film come non ne vengono più prodotti ormai da anni; discutibile fin quanto si vuole, ma anche scomodo e politicamente scorretto.
Segnalo la colonna sonora di Ortolani che mescola swing e altri generi musicali con sapienza e la splendida fotografia di Claudio Cirillo, Antonio Climati e Benito Frattari.
Addio zio Tom, un film/documentario di Franco Prosperi, Gualtiero Jacopetti. Documentario, durata 92 min. – Italia 1971
Una vendetta “nera”; l’infanticidio
I deportati dall’Africa Nascita di un futuro schiavoUna schiava selezionata geneticamente con “incroci”
Un dottore dalle idee naziste
Il pasto degli schiavi, trattati come il bestiame Il mercato delle schiaveRegia Gualtiero Jacopetti, Franco E. Prosperi
Produttore Angelo Rizzoli
Casa di produzione Euro International Films
Fotografia Claudio Cirillo, Antonio Climati, Benito Frattari
Montaggio Gualtiero Jacopetti
Musiche Riz Ortolani
Il nano venditore di schiave in una pausa del film
Soundtrack del film La lobby card italiana che ricorda l’iter processuale del film Flano del film