ROMA – I divieti a scuola, si sa, esistono da sempre e sono mutati con il passare del tempo a seconda dei periodi storici. Così, dal fumo ai cellulari in classe, dall’abbigliamento poco consono ai baci e le effusioni, ai comportamenti non adeguati, riuscire a mantenere la disciplina a scuola è da sempre una sfida per docenti e presidi, per cercare di essere prima educatori che insegnanti.
A tal proposito, poco prima dell’avvio dell’anno scolastico il Garante per la Privacy ha indicato alcune linee generali a tutela della riservatezza a professori, genitori e studenti. È bene però sottolineare che le singole scuole possono agire autonomamente indicando ulteriori paletti.
Uno degli argomenti “scottanti” degli ultimi anni è indubbiamente l’utilizzo a scuola dei cellulari, smartphone e tablet. La questione è ben regolata in autonomia da ogni istituto, ma in generale l’uso di questi apparecchi è consentito per fini strettamente personali, ad esempio per registrare le lezioni, e sempre nel rispetto delle persone.
E, benché gli istituti scolastici possono scegliere autonomamente se vietare del tutto l’uso dei cellulari, il Garante ha stabilito che non si possono diffondere immagini, video o foto sul web se non con il consenso delle persone riprese. La diffusione di filmati e foto che ledono la riservatezza e la dignità delle persone, poi, può far incorrere lo studente in sanzioni disciplinari e pecuniarie o perfino in veri e propri reati. Stesse cautele vanno previste per l’uso dei tablet, se usati a fini di registrazione e non soltanto per fini didattici o per consultare in classe libri elettronici e testi on line.
Per quanto riguarda invece i professori e il sequestro degli apparecchi cellulari e tablet, la questione è delicata. L’insegnante può infatti ricorrere al sequestro qualora verificasse un utilizzo illecito per impedire che questo possa essere reiterato, ma deve restituirlo al termine delle lezioni o affidarlo in custodia alla scuola per una successiva restituzione ai genitori. Importante, non può in nessun caso portarselo a casa o in borsa così come non può assolutamente perquisire gli studenti: tutti reati perseguibili penalmente.
Altra questione è invece quella dei temi a casa o in classe. Il professore che assegna ai propri alunni lo svolgimento di temi in classe riguardanti temi personali non lede la privacy dell’alunno ma sta nella sensibilità trovare un giusto equilibrio tra necessità didattiche e tutela della riservatezza, soprattutto nel caso in cui gli elaborati dovessero essere letti in classe.
Il fumo è invece un tabù in tutte le scuole, indipendentemente se ad accendersi la sigaretta sia uno studente o un professore: a stabilirlo è la legge che vieta il fumo nei luoghi pubblici e che, tra l’altro, prevede sanzioni in denaro. A volte i regolamenti di istituto possono essere più o meno tolleranti consentendo ad esempio il fumo all’aria aperta.
Effusioni in pubblico troppo spinte, baci ed abbracci eccessivi hanno visto alcuni presidi vietare questo tipo di atteggiamenti ma non sempre a causa di motivi “morale” ma spesso per esigenze “sanitarie”. A tal proposito, ha fatto scuola qualche anno fa la circolare del preside Rusconi del liceo “Newton” di Roma che vietò i baci all’interno della scuola per prevenire un’ epidemia di influenza aviaria.
L’abbigliamento da sempre è una questione molto sentita nei luoghi scolastici. Si vedono sempre più spesso a scuola pantaloni a vita troppo bassa e minigonne e t-shirt troppo corte. Tuttavia, attualmente non vi è una legge che disciplini l’argomento a livello nazionale lasciando il tutto alla tolleranza dei singoli insegnanti.
E, nel corso degli anni sono stati diversi gli interventi, a volte inconsueti, in tal senso. Piercing troppo evidenti, pantaloni a vita bassa, jeans strappati, bermuda e shorts troppo corti, magliette troppo “nude” sono sul banco degli imputati da anni.
E, oltre all’abbigliamento, a finire banditi sono spesso anche accessori e gadget colpevoli di essere fonte di distrazione per gli studenti, come per esempio la gomma da masticare.