Le favole non dicono ai bambini che i draghi esistono. Perché i bambini lo sanno già. Le favole dicono ai bambini che i draghi possono essere sconfitti. (G. K. Chesterton)
La letteratura in merito al tema delle adozioni, soprattutto quella in lingua italiana, è spesso deficitaria, in quanto nella maggior parte dei casi non tiene in conto dei diversi aspetti dell’adozione e di tutti i soggetti coinvolti: da un lato è troppo tecnica e difficile da interpretare (in special modo per i “non addetti ai lavori”), dall’altro pone genitori ed operatori in una posizione di contrasto, instillando sottilmente l’idea che gli uni debbano “guardarsi” dagli altri come fossero contendenti in una sfida, anziché collaboratori che tendono ad una meta comune (Crisma, 2004).
Dal punto di vista dei genitori entrano in gioco il fattore biologico, legato alla sterilità della coppia che adotta, con tutte le sue implicazioni psicologiche e morali ed i vissuti emotivi di uomini e donne che devono affrontare prima il lutto derivato dall’impossibilità di procreare, poi quello legato al fallimento di tutti i tentativi di procreazione assistita (Zurlo, 2002; Bowlby, 2000 e 1989).
Successivamente la coppia deve affrontare l’iter burocratico che accompagna il percorso adottivo, differente a seconda che si tratti di adozione nazionale o internazionale. Diversi sono i tempi d’attesa, i costi e le modalità.
E’ una strada non facile, che richiede molta tolleranza alle frustrazioni: c’è un’indagine psico – sociale cui la coppia che desidera adottare deve sottoporsi; bisogna sostenere il giudizio di famigliari, amici e conoscenti; si scatena l’ansia dovuta all’attesa; la preoccupazione di poter avere in adozione un bimbo che risponda alle caratteristiche desiderate dalla coppia, che sia sano fisicamente e psicologicamente; che non sia un bambino “troppo difficile”; c’è la mancanza di un legame di sangue; vi sono i dubbi e le paure legate ai possibili difetti genetici (soprattutto nel caso di adozione internazionale), malattie ereditarie di cui non si è a conoscenza o problemi derivanti dalla “storia educativa” del bambino, spesso conseguenti a possibili maltrattamenti subiti. Da non sottovalutare, inoltre, è tutto l’aspetto emotivo legato al timore che prima o poi i genitori biologici si rifacciano vivi, alla paura di dover restituire il bambino o di essere rifiutati dal bambino stesso.
Rispetto ai fattori di rischio, che possono influire più o meno pesantemente sulla dichiarazione di idoneità, gli operatori sono attenti alla sterilità non elaborata, alle aspettative spesso irrealistiche della coppia, alle dinamiche interne alla coppia stessa, pregiudizi riguardo l’etnia, la differenza biologica e culturale che possono ostacolare il compito dei futuri genitori (Bal, 2011; Crisma, 2004; Zurlo, 2002).
Dal punto di vista dei bambini adottivi altrettanto importanti sono gli aspetti da tenere in considerazione: presentano grandi problemi di adattamento, ma è interessante notare che i bambini adottivi non sono solo e sempre problematici ed hanno capacità eccezionali di recupero dal trauma, quella che tecnicamente viene definita resilience.
La capacità di resistenza allo stress è determinata da diversi fattori, intrinseci ed estrinseci al bambino, quali: il genere, il temperamento, le condizioni di salute al momento della nascita, l’intelligenza (fattori interni); la stabilità, la povertà, la presenza ed il numero di fratelli, eventuali psicopatologie dei genitori (fattori esterni); l’armonia famigliare, il tipo di attaccamento, gli stili genitoriali (Bal, 2011; Crisma, 2004; Bowlby, 2000 e 1989).
Un aspetto solitamente, poco tenuto in considerazione, è la somiglianza fisica con i genitori adottivi, in quanto fonte di frustrazione, di disagio o di imbarazzo principalmente per il bambino ma, non meno frequentemente, per i genitori.
E’ molto importante che i genitori adottivi forniscano informazioni sui genitori biologici al bambino (quando ne sono in possesso) e gli facciano rilevare eventuali somiglianze: ciò per favorire lo sviluppo dell’identità.
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