Le Amministrative hanno dimostrato il crollo definitivo subito dal partito di Berlusconi, troppo impegnato nelle gare di burlesque per rendersi conto dell’Italia che affondava. E che ancora non riesce a riemergere…
Diciamoci la verità: il PdL non è mai stato un vero partito politico, ma solo un’accozzaglia di formazioni coalizzate per un fine elettorale ultimo e supremo. Era un movimento che prendeva nettamente le distanze da qualsiasi ideologia, in modo da poter concretizzare al meglio il consenso da costruire attorno al leader, un gruppo umano eterogeneo, pronto a sedersi a tavola sia coi vescovi che con le puttane (a dire il vero, meglio con queste ultime) in modo da poter arraffare qualsiasi cosa capitasse a tiro. Serviva, in pratica, una struttura asettica non colorata politicamente (a parte l’avversione per tutto quel che è rosso) in cui far confluire qualsiasi rappresentante delle categorie, dal salumiere all’ex generale. Di ideologie (ed idee) neanche a parlarne: non si vuol mica contrariare un potenziale elettore!
Uomini e donne, uniti dall’unico grande bisogno di apparire e di sentirsi importanti, grazie a labbra e seni rifatti, auto blu, lauree ottenute con i punti della “Mulino Bianco”, rigorosamente lontani dalle ideologie che necessitano di fondamenti culturali. Perché il PdL non è stato erede di storie politiche pregresse degne di essere ricordate, ma solo un’esperienza elettorale, un operazione di facciata.
Adesso, la macchina elettorale che poteva contare anche sui cavalli vapore della Lega, si è accartocciata su sé stessa, è implosa . Non tanto perché il leader massimo (sì, lo so, si chiama Silvio e non Massimo) ha una passione per la più antica delle debolezze umane, ma per una forma di incapacità conclamata ed irreversibile, tanto dal punto di vista politico quanto da quello comunicativo, per giungere all’ormai annientato “contatto con la base”. Perché i berlusconiani non possono saperlo (non avendo una storia politica alle spalle), ma chi è confluito all’interno del PdL provenendo da altre formazioni (tipo A.N., ad esempio) dovrebbe sapere bene che la politica parte dalla base, non dai vertici come sarebbe piaciuto all’uomo di Arcore.
C’è una realtà fatta di persone che non credono più in quelli che leaders non sono mai stati: La Russa, Gasparri, la Santanché e tanti altre pedine della nomenklatura pidiellina, sono gli artefici della disfatta elettorale con conseguente disfacimento del partito di riferimento, insieme ad Alfano ed al Priapo fan club. Sono ormai espressione di una cultura politica perdente, basata sulle grida sguaiate e le laringoscopie ad occhio nudo di “pasionarie” ad alto gradimento siliconico.
La Santanché sbrocca a Omnibus (La7), arriva a sostenere che Grillo vince a Parma perché gli elettori del PdL hanno risposto all’appello. Peccato non ci avessero pensato un paio di settimane prima, magari nella città ducale non avremmo assistito all’affermazione di Pizzarotti…La signora Garnero non si è forse resa conto del vento che è cambiato, che l’elettorato non risponde più alle chiamate di quelli che dovrebbero esserne i leader.
Sbrocca anche La Russa, innervosito dalla sconfitta, alla quale ha contribuito con i modi della sua arroganza e quella simpatia da psicopatico, che lo fa inveire malamente contro Bianca Berlinguer, rea di interromperlo continuamente nel corso di una apparizione televisiva nella quale l’ex ministro della difesa sembra essere in grossa difficoltà, e non corre mai il rischio di riuscire a giustificare il cocente risultato negativo del PdL.
Facendo un po’ di zapping insomma, ci si rende conto della delusione che ispira le dichiarazioni dei gerarchi pidiellini. Lo avranno capito che con le Minetti, le Carfagna, le Gelmini non si può essere credibili? E che gli uomini nelle assemblee devono dar fondo a tutta la loro capacità propositiva ed elaborare progetti che siano di sostegno alla collettività?