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Al Cinema: recensione "Class Enemy"

Creato il 16 ottobre 2014 da Giuseppe Armellini
L'insegnante donna sta per partorire, deve forzatamente abbandonare i suoi ragazzi.
Arriva l'insegnante uomo.
La prima è buona, comprensiva, di manica larga,  capace di instaurare un rapporto praticamente alla pari con i suoi studenti un rapporto che riesce a superare, o annullare, quello istituzionale.
Il secondo è freddo, insensibile, autoritario, severo, distante e distaccato.
Facile vedere nelle due figure la metafora della madre comprensiva (e il pancione sta lì a rafforzarla) e del padre autoritario.
Ma poi piano piano Class Enemy sti contorni così apparentemente ben definiti li perde, la distinzione tra i buoni e i cattivi, i sensibili e gli insensibili, le vittime e i carnefici si fa sempre più labile per poi, forse, addirittura ribaltarsi,
Già qua avevamo brevemente affrontato la figura del professore, quella che io definisco come esempio di adulto notevole, ossia una di quelle figure capaci di influire pesantemente nella vita di un ragazzo.
Gli adulti notevoli hanno responsabilità, possono "salvare"vite come distruggerle, a volte senza saperlo non sanno quali aspettative, speranze, attenzioni e appigli un adolescente gli rivolge.
E guardando questi anni tutti sti (bellissimi) film sulla scuola, penso al francese La Classe, a Detachment, a L'Onda, a Les Choristes e a questo Class Enemy, senza andare a classici del recente passato come L'attimo fuggente e Will Hunting la conclusione a cui sono arrivato è che sempre, sempre, anche quando viene messa in secondo piano, la figura chiave non è quella della classe e degli studenti, ma quella del professore, dell'educatore.
E' sempre lui che in maniera più o meno invadente "condiziona" il film, non la classe che come materia grezza reagisce a quello che fanno le sue mani.
O.k, poi ogni film pone magari l'attenzione su uno studente in particolare, ma tutto parte sempre, più o meno evidentemente, dal professore.
Questo per ribadirne ancora l'importanza.
Ecco, il professor Zupan di Class Enemy è a mio parere la figura di insegnante più interessante, complessa e meglio scritta del cinema recente nel genere.
La prof di tedesco (siamo in Slovenia, il tedesco è assimilabile al nostro inglese) deve partorire.
Arriva come supplente il professor Zupan.
Sin dall'aspetto di Zupan è evidentissimo il cambiamento che dovrà affrontare la classe.
Basta cellulari, classe-famiglia e musica.
Zupan parla solo in tedesco, la lingua che deve insegnare ai ragazzi. Questo porta a una specie di ulteriore "controllo" su quegli studenti, incapaci e impossibilitati di interagire nella loro lingua naturale, la lingua delle liti, dei sentimenti, dell'immediatezza.
Zupan ha una chiacchierata privata con Sabina, una ragazza-tappezzeria (per citare il bellissimo Noi siamo infinito) bravissima nel suonare il pianoforte. Si parla di obbiettivi nella vita, di sapere cosa si vuol fare, di fallimenti.
Sabina pochi giorni dopo si uccide.
La classe inizia una rivolta a tratti subdola a tratti manifesta contro il professore, reo, secondo loro, di aver causato la morte di Sabina con i suoi metodi "nazisti".
E questo, forse, è quello che pare anche a noi all'inizio.
Zupan sembra non tradire mai un'emozione, nemmeno quando annuncia la morte di Sabina alla classe. Anzi, "sfida" gli studenti con una frase di Mann sulla morte (ah, tutto il film è praticamente accompagnato dalla monografia di Mann).
Eppure, eppure, piano piano lo spettatore comincia a pensare che i metodi apparentemente insensibili di Zupan nascondano invece una profonda conoscenza della vita, delle sue dinamiche e dei suoi valori, certo meglio della fantozziana psicologa della scuola, lei e le sue piovre.
Ed è qui, nella morte di Sabina, in quello che significa quella morte, tutto il senso di Class Enemy.
Per gli studenti è una tragedia (mmm, ci torneremo), per Zupan un metodo educativo.
No, forse più che metodo educativo il professore la vede come una gigantesca e irripetibile opportunità per i ragazzi di maturare, la possibilità di diventare "esseri umani".
Ma i ragazzi approfitteranno della morte di Sabina, una ragazza di cui a malapena sapevano il cognome e che nessuno era andato nemmeno una volta a trovare a casa, approfitteranno di questa morte per attaccare l'autorevolezza del professore e, non ultimo, il sistema-scuola.
Attraverso l'ipocrita e inattaccabile ricordo di Sabina (inattaccabile perchè chi avrebbe il coraggio di andare contro a ragazzi che ricordano una loro compagna morta?) la classe inizierà una ribellione che in realtà è soltanto un pensare a sè stessi, al proprio tornaconto, una "scusa" per colpire quei mostri (professori, scuola) di solito inattaccabili.
Che sia chiaro, la freddezza, il cinismo, l'eccessiva sincerità, quasi vicino all'arroganza, di Zupan certo non ne fanno un personaggio virtuoso (virtuoso è e sempre sarà quel professore che riuscirà al contempo ad essere insegnante, educatore e parte integrante di una classe) ma la sensazione che quello che dice ed i suoi metodi abbiano un maledetto senso e una loro incontestabile, seppur dolorosa, verità dentro, si fa sempre più strada.
"La morte di un uomo è meno affar suo di chi gli sopravvive" cita Zupan da Mann volendo ricordare ai ragazzi che chi non c'è più non c'è più, è successo, è un fatto, e per chi non c'è più di sè stesso più non interessa, bisogna andare avanti e raccogliere l'esperienza.
Ma ormai i ragazzi vedono in lui il colpevole.
Tralasciando sulla figura forse stereotipata del secchione che il giorno del funerale vorrebbe fare il tema o che segue sempre e comunque Zupan (finchè questi, dimostrando ancora una volta il suo essere integerrimo e "puro" nei suoi metodi non gli mette un votaccio) Class Enemy riesce anche a caratterizzare alla grande alcuni alunni.
Su tutti Luka, sconvolto dalla morte appena avvenuta della madre, un ragazzo che essendo ancora in fase di lutto ha tutta l'aggressività, la confusione e la non accettazione che tale lutto comporta.
E poi la bellissima Mojca , la migliore amica della scomparsa Sabina, l'unica che, a differenza dei compagni, in modo silenzioso e non plateale sembra veramente soffrire di quella morte e riflettere sulle parole di Zupan.
A questo proposito la lettera che legge nell'indimenticabile scena delle maschere (scena che rivela ancora una volta di più l'ipocrisia della classe e il tentativo di Zupan - mettendo anch'esso la maschera - di dimostrare, certo con i suoi metodi e la sua (non) sensibilità, la sua non indifferenza alla cosa), quella lettera è un urlo di odio e di amore di forza inaudita.
Ascoltiamo le parole di Mojca mentre nello schermo quelle maschere (inquietanti, specie quella del professore che ascolta la ragazza) si alternano a un flash back di Sabina che si aggira per i corridoi, magnifico.
Tu ci hai lasciato, tu non vivrai la nostra sofferenza nell'averti perso, per noi c'è la tragedia, per te non c'è più niente. Ti amo, ti odio.
(tutto rimanda alla frase citata prima di Mann, non a caso "titolo" della lettera).
Un film quasi perfetto di un regista 28enne.
Capace di scrivere personaggi a tutto tondo.
Zupan ha le sue colpe e i suoi meriti, i ragazzi i propri meriti e le loro colpe.
Nessuno vince, nessuno perde.
Ma per tutti, per i ragazzi, per Zupan, per noi spettatori, c'è una morte che fa riflettere.
E c'è una gita scolastica in cui una ragazza si aggira sulla barca senza che nessuno la veda.
E che sia morta non è importante, non l'avrebbero vista nemmeno da viva.
E c'è un mare finale, un orizzonte.
E l'orizzonte è qualcosa di grande e lontano.
Come i pensieri sulla vita e sulla morte.

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