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Al Cinema: recensione "Diaz"

Creato il 27 aprile 2012 da Giuseppe Armellini
Sarà banale dirlo ma ci sono strumenti per misurare una vergogna, per quantificare una sconfitta.
Uno di questi strumenti può essere un manganello.
Il manganello va giù.
Non importa cosa colpisce, se sia un viso, la testa, le spalle, le gambe o la schiena.
Più che altro non importa nemmeno chi colpisce, se sia un uomo, un ragazzo, una donna o un vecchio.
Mica lo sappiamo quante volte è andato giù quel manganello, e chi lo sa.
Centinaia, certo, ma magari 564 e 485 non sono la stessa cosa.
Perchè ogni volta che ha colpito la vergogna è stata sempre più grande, ogni volta che è stato calato la sconfitta, di noi tutti, sempre più devastante.
Quindi anche una sola manganellata inflitta così, a casaccio, a chi non sapeva nemmeno perchè gli arrivasse contro, basterebbe di per sè. Ma sarebbe giusto contarle tutte, quantificare l'umano disastro commesso, vedere non se siamo stati stronzi, ma quanto lo siamo stati.
Ecco, io c'ho sta fissa. Perchè gli errori commessi nella nostra vita molte volte sappiamo contarli.
Ma se io avessi dato 27 manganellate nel corpo di una ragazza io non ho sbagliato una volta, io sono stato lontano dall'essere un Uomo 27 volte, su questo ci tengo particolarmente.
Perchè a me poi della politica frega nulla e non per disinteresse ma per non conoscenza di tante cose.
Io giudico gli uomini.
E non me ne frega nulla, non vedo differenza tra un poliziotto che mena selvaggiamente in nome dello Stato e un  delinquentello che mette a ferro e fuoco la città. A me delle giustificazioni, dei perchè o dei percome in linea di massima interessa poco, io credo nell'uomo e quando fa una cazzata fa una cazzata, stop.
Ah, ma loro dovrebbero proteggerci, come fanno a trattarci come bestie?
Certo caro ragazzo, hai perfettamente ragione, ma te, invece, sentiamo, guardami negli occhi, come ti comporti?
Ah, non sei al servizio dello Stato, per te la violenza è sì una cosa grave ma non hai quell'aggravante vero?
La trave e la pagliuzza, la pagliuzza e la trave, sempre lì il discorso.
E siccome io voglio credere a Vicari e in ogni scena che ci mostra (la maggior parte documentate alla stragrande) non posso che constatare una cocente sconfitta del genere a cui apparteniamo, l'umano, e una pagina vergognosa della nostra polizia di stato (ognuno di loro ricordi il numero di manganellate inflitte, le deve espiare una per volta lo ripeto. Alle ragazze valgono due).
E vedere come ancora una volta il Cinema Italiano porti la docufiction a livelli strepitosi, abbia il coraggio, la rabbia e la forza di raccontare il proprio marcio in una maniera così prepotente.
L'uso alternato della fiction e delle immagini di repertorio portano a un montaggio pauroso, così ben calibrato quasi da non vederne i confini.
L'atmosfera è tesa, che qualcosa stia per esplodere è sicuro.
La narrazione non lineare è gestita in maniera straordinaria, la mattanza alla Diaz che precede i perchè di quella mattanza sono una scelta cinematograficamente perfetta.
Quali perchè poi? Ovvio che ci fossero in giro per Genova dei ragazzi che forse qualche manganellata (da non espiare poi) l'avrebbero meritata. Ma sto giochino del capro espiatorio, della massa inerme utilizzata come pretesto per dimostrar qualcosa, che siamo forti e controlliamo tutto, che forse lì in mezzo qualche stronzo c'era, che se siamo attaccati dobbiamo rispondere, è aberrante. E aberrante anche il post, le giustificazioni, le bugie.
E aberrante soprattutto che tali operazioni siano state pianificate, non esplose in mano.
Non so se credere a Vicari in ogni fotogramma, non so se VOGLIO credere a Vicari in ogni fotogramma ma vedere certe cose, vedere ragazze brutalmente picchiate in quel modo da uomini che sotto un caschetto dovrebbero avere un briciolo di coscienza mi sembra dannatamente impossibile.
E la ragazza umiliata in quel modo in Centrale mi pare una cosa fuori dal mondo, da un mondo civilizzato quanto meno.
Forse Vicari voleva portarci alla scena del bagno e con violenza e stile allo stesso momento rendere ancora più estrema la metafora che il sottotitolo del film denuncia.
La ragazza ha le mestruazioni, non può nemmeno pulirsi.
E così quel sangue che non deve essere lavato è anche questo, naturale e puro, di questa ragazza.
Forse è un contrappasso, la polizia non permette di pulire questo sangue ma, fortunatamente, non sarà pulito nemmeno quello che ha fatto versare.
E così arriviamo allo splendido finale dopo l'altrettanto splendida scena dei 4 francesi (se ho capito bene veri e propri Black Block) rifugiati nel bar e poi andati alla Diaz.
I ragazzi escono dalla caserma, i familiari li guardano.
Non c'è una sola parola.
Non ce n'è bisogno.
Perchè è tutto lì evidente.
La vergogna di quello che è successo, la violenza, la paura, l'assurdità, l'innocenza, la voglia d'aiuto, la stanchezza, la rassegnazione.
E il pianto della madre è il pianto di una nazione.
( voto 8,5 )

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