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Al Cinema: recensione "Stoker"

Creato il 16 luglio 2013 da Giuseppe Armellini
Ho sentito parlare di passo falso di Park, di essersi venduto al mercato americano perdendo la sua identità, di film mediocre. Ora, dico la verità, la sera che sono andato a vederlo avevo un immenso bisogno di lui. Appena il giorno prima avevo rivisto Mr Vendetta e l'idea che il mio regista (vabbeh, il mio nickname sapete da dove viene) fosse lì a 20 minuti di auto con un suo film era un salva-serata davvero fantastico. Quindi sarà stato il mio amore sconfinato per il maestro coreano ma io reputo Stoker un'altra grande perla di questo magnifico regista e probabilmente le troppe critiche piovutegli addosso sono dovute al solito fastidio che provano tanti quando un regista di certi cinema "poveri" (europeo e asiatico su tutti) sbarca -finalmente per lui- a Los Angeles.
Film complessissimo -elemento raro per Park che pur firmando sceneggiature granitiche e allo stesso tempo ricche di intuizioni non ha mai fatto della complessità di lettura un suo marchio di fabbrica- Stoker è un film che andrebbe visto almeno due volte.
Ed è per questo che rimango basito a sentir parlare di esercizio di stile quando, al contrario, nella filmografia di Park Stoker è forse il film più autoriale e pieno di cose, ancora più di quell'immenso capolavoro che è OldBoy. Se qua si parla di esercizio di stile allora Lady Vendetta cos'è?
Eppure non si raggiunge il livello della trilogia perchè per quanto buono e desideroso di volare alto, Stoker è un film imperfetto, su questo non ci piove.
Un prologo magnifico,poetico e vagamente vontrierano fa da apertura a un thriller psicologico torbido, sfuggente, misterioso e un pò disturbante nel suo incedere.
La scoperta dei propri istinti e della propria natura, la ribellione allo status quo, il sesso visto come chiave di apertura di sè al mondo, l'indissolubilità di alcuni legami e l'evanescenza di altri, la cronica infelicità (ma c'è un film di Park nel quale un personaggio sia, anche per poco, veramente felice?), la ricerca di una propria identità (India) o la ricerca di un'identità uguale a sè (Charlie), quale è il tema portante del film?
Difficile dirlo.
Film che, non nascondiamolo, a livello di regia è la solita parkiana meraviglia, con quei titoli di testa che svaniscono nelle immagini, con quei piani sequenza così magistrali, con quelle scarpe intorno ad India, con un triplo montaggio alternato di folle bravura e massima tensione, con quella sonata a due che ricorda quasi l'indimenticato incesto di Oh dae-soo, con quell'impressionante dissolvenza dai capelli all'erba, roba da restarci secchi all'istante, con quell'uso degli sguardi privi di parola.
Davvero pazzeschi due punti di contatto con Oldboy, non evidenti ma davvero sorprendenti se colti. Il primo è il regalo del padre.In entrambi i film la figlia solo alla fine aprirà la scatola regalo per il compleanno che il padre aveva preparato ad inizio film.
Il secondo è la scelta precisa di Charlie, dopo anni e anni, del giorno in cui uscire dalla prigione-manicomio come fece Woo-Jin con Oh dae-soo.
E la motivazione è praticamente identica, in quegli anni qualcuno cresceva e diventava donna...
Purtroppo nel finale ci sono troppi twist e lo spettatore rischia uno stato confusionale in tempi troppo brevi, resta perplesso di alcune scelte o situazioni.
India si scopre donna e killer, il ricordo di quell'anatra col padre si sovrappone finalmente alla nuova preda.
Ma la sua nuova natura arriva in maniera troppo debordante ed eccessiva,vedi la scena col poliziotto.
Bravissimi tutti gli attori, la Wasikowska ha un viso così poco cinematografico da risultare paradossalmente un grande volto da cinema, la Kidman è perfetta nel ruolo di una donna di cui più di una volta cambiamo opinione ed empatia. Goode, come Gosling, o è un attore mediocre o un grande attore, ci devo riflettere.
Forse sono solo un fan sfegatato ma io sto regista lo amo.
Anche qua.
( voto 8 )

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