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Al Festival di Venezia “L’intrepido” di Gianni Amelio

Creato il 06 settembre 2013 da Retrò Online Magazine @retr_online
Festival Venezia, Intrepido, Gianni Amelio, Antonio Albanese

Photo credit: spaceodissey / Foter / CC BY

Al Festival di Venezia è sbarcato l’ “intrepido”, il film di Gianni Amelio, con protagonista Antonio Albanese è un film con un titolo molto bello, con un tema affascinante, con una fotografia eccellente.
Il problema è che, sfortunatamente, i film non si possono comporre di questi tre elementi soli, slegati e abbandonati. Ci deve essere un collante forte, una bella regia che non sfoghi la sua genialità soltanto in ore di campi lunghi di Antonio Albanese che “tutto solo se ne va per la città” mesto mesto, con la coda tra le gambe.

Antonio Pane, il personaggio protagonista del film, è un uomo comune. La sua fabbrica ha chiuso, causa crisi, e lui si adatta ogni giorno della sua vita a rimpiazzare chi non può andare al lavoro, coprendo così tutti i lavori possibili. I primi quarantacinque minuti del film sono molto colorati, nonostante una Milano nevosa e fredda faccia da sfondo. Il continuo cambio di lavoro, le difficoltà di adattarsi, sempre superate dal protagonista, che ha un’evidente attitudine a tutto, rendono la pellicola abbastanza incalzante e anche accattivante. Dopo metà film, a causa delle difficoltà che Antonio incontra in questo paese che non è per nulla delle meraviglie, le tinte assumono una tonalità grigia, molto azzeccata.

A questo punto sorgono dei fastidi, evidenti, a cui prima non si faceva caso: la lentezza delle scene è un po’ stucchevole e sembra che due ore, o forse meno, di film non passino mai; il simbolismo è insistito ed eccessivo: molte scene non sono davvero necessarie per far capire quanta confusione, e quanta perdita della genuinità caratterizzino questo frangente dell’ esistenza di Antonio. Il simbolismo è bello quando è ben utilizzato, come tutto in realtà, ma questo film doveva essere simbolista a tutti i costi? Poteva avere meno pretese ed essere più bello? Assolutamente. Inoltre alcuni temi che dovrebbero essere caldi, come quello dei giovani sradicati e infelici, sono trattati con apparente forza (la giovane ragazza in preda al panico al concorso pubblico, il musicista insicuro di sé che si carica il peso di un padre povero) sono in realtà soltanto accennati. E’ delicatezza o superficialità?
Questo film ha decisamente molti begli spunti, e la capacità di far riflettere a posteriori, ma non riesce a catturare il suo pubblico d’impatto. Forse è per questo motivo che la sala del Festival di Venezia ha risposto freddamente, e con qualche lamentela alla fine della proiezione, ma poi, dopo essere tornati a casa molti critici ci hanno ripensato, definendolo bello, surreale e di grande presenza. Era questo il risultato che voleva ottenere Amelio, intrepido regista di vite comuni?

Il film di Gianni Amelio ha titolo bello, tratto dal nome di una rivista settimanale per ragazzi, che prendeva il nome da uno dei suoi fumetti più in voga Dick l’Intrepido, un giovane eroe.

Articolo di Silvia Cannarsa


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