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alessia e michela orlando: L'ALBERO DELLA LIBERTA'-SEQUESTRATECI-VIOLENTATECI-MANGIATECI-DILAPIDATECI-PRIMA O POI FINIRA'

Creato il 06 settembre 2010 da Gurufranc

alessia e michela orlando: L'ALBERO DELLA LIBERTA'-SEQUESTRATECI-VIOLENTATECI-MANGIATECI-DILAPIDATECI-PRIMA O POI FINIRA'

Tremate, o Perfidi, Tremate Tiranni alla vista della Sacra Immagine della Libertà.
Uno dei motti affissi agli Alberi della Libertà
L'albero della libertà deve essere rinvigorito di tanto in tanto con il sangue dei patrioti e dei tiranni. Esso ne rappresenta il concime naturale:
Thomas Jefferson

L'ALBERO DELLA LIBERTÀ

Come si giunge al tricolore issato il 21 gennaio 1799 a castelSant'Elmo

Il simbolo più potente e carico di significati: l'Albero della Libertà

Le domande: da dove nacque la politica antifeudale? Da quale humus nacque l'anticurialismo? Cosa portò a desideri realisti e, poi, al pensiero liberale e democratico? Quali furono gli eventi e gli uomini determinanti che trascinarono nei cieli partenopei i riflessi della rivoluzione francese? In realtà tutto era nato molto prima del 1799, l'anno della rivoluzione napoletana, della Repubblica Napoletana. Era da almeno cento anni che nella cultura si avvertivano ansie liberatorie, seppure talvolta si manifestassero e altre fossero celate. Uomini come Giordano Bruno, Tommaso Campanella, Bernardino Telesio avevano alimentato la filosofia della libertà. Poi la loro produzione fu integrata dal pensiero scientifico di menti come quelle di Galileo e Cartesio; da quello degli economisti e storici come Antonio Genovese, Gaetano Filangieri, Pietro Giannone. Tutto ciò portò poi al pensiero eroico che seppe scuotere una Italia definita "sonnacchiosa". Molti si unirono all'idea della rivoluzione francese, all'idea di una repubblica democratica: Francesco Astore, Pasquale Baffi, Giuseppe Capecelatro, Francesco Conforti, Clemente e Ascanio Filomarino, Mario Pagano. Questi e molti altri accolsero l'impostazione del Filangieri: tolleranza religiosa, uguaglianza civile, libertà politica più ampia.

Così si giunse al 21 gennaio !799: quattro colpi di cannoni indussero i napoletani a rivolgere lo sguardo verso castel Sant'Elmo. Un gruppo di giacobini aveva issato una bandiera tricolore dopo aver occupato la Bastiglia napoletana e Giuseppe De Logoteta lesse il decreto con cui fu dichiarata decaduta la dinastia borbonica e proclamata la Repubblica Napoletana. Tutti si apprestarono a giurare dinanzi al "sacro albero della libertà". Il giuramento, nell'esprimere riconoscenza alla Francia, nonché la manifestazione esplicita di alleanza alla stessa nazione francese, alle repubbliche batave, elvetiche e italiche, prevedeva come indivisibile e indipendente la libertà e per questa si doveva essere pronti a dare il proprio sangue.   

Vi era, poi, anche una idea su cosa si dovesse pianificare affinché si costituissero fondamenta solide per la nascente Repubblica: occorreva essere in grado di difenderla militarmente; occorreva reperire risorse finanziarie adeguate; sollecitare i legislatori francesi per allestire una carta costituzionale. Il primo giorno di libertà del popolo napoletano fu sottolineato dai versi di Eleonora Pimentel Fonseca. Si procedette, poi, il 23, a un altro giuramento davanti all'albero della libertà e, stavolta, era rivolto al generale Giovanni Stefano Championnet, comandante dell'Armata francese. E c'era la prima lista di personalità per la formazione di un governo provvisorio.

Ma qual era il senso attribuito all'albero della libertà? Da chi fu teorizzato?

Tutto risale al 2 marzo 1790: l'abate Henri-Baptiste Grégoire, che diverrà vescovo costituzionalista di Blois, tenne un discorso alla Convenzione nazionale. Incentrò il discorso sul senso dell'albero: valore religioso, politico e morale. Se i greci consacravano un albero a ogni divinità mitologica, ogni popolo aveva prediletto un albero: gli stessi greci l'olivo e il platano, gli egiziani il loto, gli asiatici la palma, i romani la quercia, i fenici il palmizio. Proprio quest'ultimo si lasciava risalire ad Adamo: era stato creato con i residui di limo da cui egli stesso trasse la vita. Il Grégoire sottolineò come dalla vigna si producesse il vino, che era fonte di gioia, di liberazione. Non a caso il dio del vino era Bacco o, indifferentemente, Libero.

Anche in America all'albero si riconnetteva significati straordinari: si piantavano alberi alla nascita dei bambini. Era la loro dote per il momento in cui si sarebbero sposati. In Europa se ne piantava a primavera per la stessa primavera e per la donna amata e i rami usava appenderli alle porte delle case e nei banchetti pubblici.   

Poi ci fu la reazione sanfedista e dovettero passare molti decenni prima di giungere di nuovo a una idea ormai non più rivoluzionaria, a una idea forte, ma normale: quella della democrazia.

ORAZIONE PATRIOTTICA RECITATA IN NAPOLI IN OCCASIONE DEL GLORIOSO INNALZAMENTO DELL'ALBERO DELLA LIBERTÀ SUL LARGO DEL PALAZZO NAZIONALE, 29 GENNAIO 1799

Cittadini napoletani; Ecco dopo l'epoca di tanti secoli il giorno tanto sospirato e felice, in cui la bella Libertà, dal Cielo spedita in Terra sul carro trionfale della Repubblica Francese, viene a tergere il pianto delle nostre pupille; viene a sostenere i dritti della nostra umanità, e viene a consolarci di tutte le afflizzioni, che tollerammo sotto l'orrido giogo dell'oppressa tirannia.

Dolce Libertà gradita, depositata tra le mani dell'uomo nel campo Damasceno, e sanzionata religiosamente dalla provvida natura nostra, Legittima, amorossissima Genitrice. Empj, profani, e ladroni tutti quelli, che ardirono d'involarla a noi sotto lo specioso pretesto del Trono. Nò Cittadini amabilissimi: la Libertà è un dono imprescindibile della natura è un dono inalienabile, non soggetto al flusso del tempo, all'abisso dé secoli, alla possanza dé tiranni, al dominio dé Sovrani.

L'uomo nacque libero: l'uomo deve morire libero. L'Eguaglianza li vincoli soavi della Società: unisce sotto il suo Albero il Giapponese, l'Otentotto, il Cannibale, il Canadese, lìEuropeo, l'Asiano, l'Americano, l'Affricano. Tutti siamo Fratelli, e tali fummo Sanzionati a caratteri indelebili dalla Madre Natura. Siano maledette, e proscritte tutte le umane istituzioni elaborate sotto il giogo del Trono.

Ah non accade, che io vi rammenti le sanguinose tragedie cagionate ad onta della povera Umanità da pretesti empj, scellerati inumani. Voi sapete, amati Cittadini, quanto avete sofferto sotto la tirannia dell'antica abbattuta Monarchia, sotto il duro peso dell'infame Ministero, sotto le trappole di tanti Cortiggiani, sotto li fulmini della Nobiltà abolita.

La povera nostra Umanità soggetta, e degradata non aveva più le belle sembianze, che gli diede la natura. Assoggettati alle stravaganze dé Grandi usurpatori, di un iniquo Re, e di una perversa Regina micidiali dé nostri drittti, il pane del dolore, e la bevanda della lagrime erano il nostro partaggio, e la nostra mensa, mentre Essi assisi tra le cene di Lucullo, tra l'opulenza di Crasso banchettavano, tripudiavano, gioivano in faccia alla musica lamentevole dei nostri sospiri, delle nostre esclamazioni, dé pianti nostri.

Rammentatevi del Tiranno che fuggì, come con la mano di Giove, col Tridente di Nettuno, col brando di Marte presumeva di fulmine tutti lo viventi. Sotto un suo cenno tremavano sette milioni di persone, quasi tutti languenti, oppressi e desolati. il menomo dé suoi Dispacci atterriva il più forte dé suoi Sudditi pretesi. Egli consumava immensi Tesori a Caccie, a Serragli, a Gozzoviglie, a feste, e Teatri in quel punto medesimo, in cui i suoi Sudditi perivano dal terrore e dalla fame. Infaustissimo Tiranno, che spogliò i suoi simili dei dritti Sagrosanti, loro compartiti dalla natura, madre commune, vera Regina ed unica Sovrana. (...) Oh Albero fortunato della Libertà, che abbattuta la tirannia ritorni all'Uomo oppresso i primevi dritti (...). Ah risorgano dalla Tomba gli Omeri, i Virgilj, i Tassi, e proclamino coll'Epiche loro Trombe li fasti luminosissimi, le imprese sorprendenti la saviezza senza pari, e le armi invincibili della incomparabile Nazione Francese. (...) E noi cittadini Napoletani, goderemo dolcemente dei frutti dé loro sudori,e  correremo anche noi, dietro l'omere della valorosa Nazione, al Tempio della Gloria, e dell'Immortalità.   

Illustrazione: acquerello di Johann Wolfgang Von Goethe, 1793.



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