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alessia e michela orlando: OMAGGIO A UNA CANZONE E A UN COMPLESSO AMATO

Creato il 03 dicembre 2010 da Gurufranc

alessia e michela orlando: OMAGGIO A UNA CANZONE E A UN COMPLESSO AMATO

Tempo verrà
in cui, con esultanza,
saluterai te stesso arrivato
alla tua porta, nel tuo proprio specchio,
e ognuno sorriderà al benvenuto dell'altro,
e dirà: siedi qui. Mangia.
Amerai di nuovo lo straniero che era il tuo io.
Offri vino. Offri pane. Rendi il cuore
a se stesso, allo straniero che ti ha amato
per tutta la tua vita, che hai ignorato
per un altro e che ti sa a memoria.
Dallo scaffale tira giù le lettere d'amore,
le fotografie, le note disperate,
sbuccia via dallo specchio la tua immagine.
Siediti. E' festa: la tua vita e' in tavola

Derek Walcott, Amore dopo amore

GRAFFI SUL MURO

 

Alessia e Michela Orlando

 

Quando la punta iniziò a graffiare il vinile sotto il mio sguardo curioso, mi parve un miracolo.

Quel nero ruotava vorticosamente e una voce mi rapiva.

È il primo ricordo; non dovevo avere meno di tre anni, se è vero che tutto ciò che accade fino a quell'età resta negli strati profondi della coscienza.

E forse è meglio così.

Malgrado non capissi il senso di quelle parole, il loro suono mi pareva fosse capace di tranquillizzarmi. E così presi a smembrarle, ripetendole a voce alta per tentare di coprire altri suoni che mi martirizzavano: sentivo chiaramente le grida di un vicino e ricordo il suono delle sirene che annunciarono la visita degli infermieri preposti al trasporto forzato dei cosiddetti pazzi al manicomio. Nessuno di loro poteva ancora sapere che di lì a poco Franco Basaglia, Sergio Piro e altri li avrebbero finalmente liberati. E io sculettavo articolando i primi la la la la, con la convinzione di partecipare a un evento musicale, mentre Augusto cantava

 

Il tuo corpo diventò un acrobata
  e quel salto giù nel vuoto finì,
   ma quella notte qualcuno sparò
   nella mano stringevi una pietra...
una pietra venuta dal muro...
dal muro dell'est

 

Non sapevo quali concetti potessero racchiudere parole e frasi come: mondo, cambierà, fucile, salto nel vuoto, sparò, pietra, muro, muro dell'est.

E forse era meglio così: l'avessi saputo, avrei mai potuto sculettare ed essere felice? E avrei potuto, poco tempo dopo, cantare con gioia le stesse parole a squarciagola, indugiando soprattutto sulle parole fucile e pietre?

Mi accorsi che ogni qualvolta spezzettassi la parola fu ci le e pie tre i miei genitori erano compiaciuti. E mi ritrovavo ad ammutolire per sentire con attenzione la voce, quella voce. Chiudevo gli occhi e mi ritrovavo in un mondo favolistico da cui non avrei più voluto essere estirpata. Purtroppo la canzone finiva e riaprivo gli occhi.

Rivedevo la mano di mamma azionare il braccio del giradischi e fremevo sapendo che avrei riprovato il piacere di sentire ancora quelle lunghissime vocali: mi ricordavano il sapore del miele di montagna e mi davano la stessa dolcezza. Mamma, che negli occhi aveva l'azzurro, forse lo stesso del protagonista della canzone, talvolta mi accompagnava e sculettava come facevo io, pur avendo lo sguardo meno allegro e addirittura triste. Non sentivo più le grida provenienti dalla casa vicina, ma le sirene si facevano ancora più spaventosamente acute e frequenti, in un ritmico e inquietante pendolarismo, sempre più accelerato.

Ciò mi inquietava e allertava, procurandomi il sospetto che qualcuno tentasse di comunicare con me. Pertanto provai a fare la stessa cosa, a imitare il suono delle sirene. Desistevo appena la voce di Augusto si diffondeva nuovamente. Mi accorsi che a ogni avvicinarsi delle pause la voce si faceva meno esplosiva, come fosse sedata volontariamente, per poi diventare di nuovo una bomba di emozioni che esplodeva nel petto. Volevo creare una intesa vocale, ma cominciavo a capire la mia inadeguatezza.

Man mano che divenni più capace di sintonizzarmi, almeno sul piano della musicalità e dell'intonazione, quella voce divenne per me qualcosa di materiale: mi pareva di poterla toccare. Finalmente capivo: Augusto sapeva trasportare la sofferenza nelle sue lunghezze d'onda vocali: aumentava leggermente man mano che dilatava l'estensione vocale. E più si elevava più avvertivo l'intensità della sofferenza di centinaia di migliaia di persone divise, follemente divise, da un muro. Riconoscevo la bellezza poetica nell'immagine della chitarra portata come un fucile. Anche questa immagine aumentava di intensità e repentinamente sfumava, in base alla sua espressione vocale, ma per tutto il tempo della pausa successiva mi restava nelle orecchie la malia della eco.

Conquistata la capacità di allungare le pause, senza perdere la sintonia con la voce, per un tempo sempre più lungo, provai a immaginare il suo volto e il muro. Li avevo visti entrambi in televisione e non mi sembrava impossibile che la sua voce potesse, come fecero le trombe di Gerico, abbattere  tutti gli altri muri, di qualsiasi materiale fossero fatti, per pensare a un altro mondo, per poter essere io stessa e con lui un acrobata volteggiante sulle miserie umane, magari con una pietra in mano. Volli creare questa immagine nella mente.

Inizialmente mi parve difficile, poi arrivò il  momento in cui riuscii a farlo con maestria. E mi parve di riuscirci anche in sogno, di riuscire a sognare cose meno spaventose delle solite. Qualche volta fui risvegliata dalle voci e dalle sirene, che parevano aver cambiato registro: sentivo folle osannanti e altre che gridavano contro qualcuno. Vedevo folle con i pugni alzati, vedevo cariche della polizia, vedevo sassi per aria, vedevo morti per strada.

E vedevo una pietra che aveva una storia.

Era notte.

Intorno non c'era nessuno ed era facile pensare a un altro mondo. Adesso ero anche in sogno un acrobata.

E qualcuno sparò.

E spiccai il salto nel vuoto.

Tentai di capire dove sarei finita, se mi sarei salvata, se potevo restare per sempre nel vuoto, che tutto sommato era una condizione migliore di altre.

Fu allora che risentii il colore della sua voce e quello della mia; scoprii il suo divenire più intenso, più materiale, se immaginavo fosse illuminato da una luce azzurrognola.

Volevo si fermasse il tempo, che anche gli orologi si fermassero, giacché sapevo che stava per materializzarsi davanti a me e che avrei potuto pensare a un altro mondo.

Augusto mi era accanto.

Vedevo chiaramente i suoi occhialini, osservavo il suo sguardo, non c'era il gelo. E ne vedevo la barba.

Prese a parlarmi con calma, con affetto:

Tutto accadde in un attimo.

Prima c'era il nulla; poi la Quinta Musicale, il Sol, diede l'avvio a ogni cosa.

E fu un concerto di vibrazioni assonanti, dissonanti, di vario colore, estensioni vocali di inaudita e abissale distanza.

Altre vibrazioni divennero percepibili allo sguardo: fu una infinità di colori; assunsero man mano, come le note musicali, concretezza che parve ridurne il numero, condensandosi nell'arcobaleno. Ma lo spettro era ben più ricco di meravigliosi e inenarrabili impulsi colorati.

Ancora una volta come le vibrazioni musicali, come le note.  

Il concerto si prospettò come eterno.

Ingenuamente, l'essere che aveva potuto prevalere su tutto, la bestia uomo, orientò lo sguardo sul presente; tenne a mente il passato, selezionando i ricordi, così come fanno la vista, che deduce da pochi elementi, miliardi di altre cose, e l'udito, che assembla le sollecitazioni sonore, spesso trascurando gli aspetti rilevanti.

È questa la perversione del giudizio estetico: poca profondità, scarsa analisi, incapacità culturale di comprendere.

Fu così che quando lo scarso acume condusse ai maltrattamenti del pianeta Terra, accadde nuovamente qualcosa. Eppure l'uomo avrebbe dovuto sapere, avrebbe dovuto prevedere, avrebbe dovuto temere: se la Quinta Musicale genera la musica, genera il mondo, può subire passivamente la distruzione dell'ambiente che la custodisce, che la fa diffondere grazie alla presenza dell'aria, delle pareti, delle composite superfici che la fanno echeggiare? Ed è tremenda la Legge che lega la Quinta Musicale al colore verde. E c'è chi ha tremato per averne intuito le potenzialità distruttive.

C'è una lunghezza d'onda che lega queste due vibrazioni ed è capace di creare una energia straordinaria, quella che è stata in grado di generare, quella che è in grado di distruggere. E questa sintonia non si riscontra solo su questo pianeta, ma anche in altri ed anche in diversi universi paralleli.

Stancamente l'umanità si lasciò andare verso il declino. E, finalmente, ben prima che i cinque miliardi di anni della vita del sole spirassero, una energia di incalcolabile grandezza attirò a sé ogni cosa.

In un vortice potente furono via via smaterializzate e scomparvero le Sette Meraviglie del mondo.

Sulla scena rimase solo lui, in perfetta e angosciante solitudine, ricordo di vita e forse seme di vitalità: il suonatore di sax che, preso dalle note finalmente nuove, mantenne gli occhi chiusi e non vide.

Non vide l'orrore del vuoto.

E fu solo allora che aprii gli occhi. Mi diceva crescerai.

Il tempo volò.

Quel muro dell'est, ormai abbattuto, si era materializzato altrove, in mille altri luoghi e in mille menti.

Augusto non c'era già più e mi ritrovavo con mille graffi nel cervello e nel cuore.

Ogni tanto mi ritornava la sua immagine in sogno. E una notte mi risvegliai: nelle mente avevo una canzone per lui:

C'ERA UN TEMPO MUTO

C'era un tempo muto e non c'era passato

Le rose seccavano zitte zitte

Nessuno voleva raccontare il colore dei petali

Le mani lavoravano, le bocche bestemmiavano, mute

E venne il gelo, e venisti tu

Rosa rossa sulla neve

Rubasti il freddo e ci regalasti calore

Una brezza d'oro per l'anima e il cuore

E cantasti. A ogni petalo dicesti:

siete solo veli sulle carni nude

l'amore è dentro al cuore

dentro i pezzi di parole

Non posso sapere se mani ti cercarono con amore

E se la tua pelle fu accogliente

Non importa quello che un essere sente

A quelli non importa niente

E tu, rosa senza spine

Ammirasti la luna nel pozzo

E la tua bocca si aprì; non ci fu prigione

Per imprigionare i sentimenti e i petali rallentarono la corsa

La terra abbracciò il rosso splendente

Il colore del sangue arrossò la neve

Le orecchie sentivano ancora la voce tua

L'anima era tua, solo tue sono le mani che suonano

Dentro uno squarcio del cielo si affacciano

Da altri mondi per sentire che avevi da dire

Solo il silenzio racconta cose identiche

Ora rifiorisci, Augusto, come le rose di Paestum, che è la giusta stagione.

La scrissi, per non dimenticarla mai più, con mano tremante e le lacrime agli occhi. La percezione dei muri mi torturava e non capii come mai mi sentissi trasportata in aria.

Vedevo la terra dall'alto.

Come se ogni ostacolo si fosse smaterializzato; ero giunta oltre le nuvole e un soffio di voce intonata le spinse, disperdendole verso il sole.

Tutto mi appariva e giungeva nitidamente: i fiumi, la mia infanzia, i profumi, i suoni, la sua voce, i miseri tempi, i muri erigendi, i muri sbrecciati, i muri abbattuti, i muri invisibili.

Al ritorno sul letto, risuonavano le note di Crescerai:

 

Per giocare un aquilone un gesso bianco,
il vecchio muro bastava un niente
per sorridere una bugia
per esser grande.
Crescerai, imparerai
crescerai, arriverai
crescerai, tu amerai.

 La foto: I Nomadi nel 1967.



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