All’armi siam fascisti. E come boia mollarono.
Creato il 12 gennaio 2011 da Massimoconsorti
@massimoconsorti
Non ne abbiamo mai parlato però ora ci tocca. È ora di parlare di Roma e di Gianni Alemanno, il sindaco. È ora di parlare di fascisti perché ci sono, sono tanti, ignoranti come capre colombiane in crisi d’astinenza da foglie di coca, arroganti e violenti come sempre. Ed è ora perché, grazie a Gianni Alemanno e al suo solidarismo all'amatriciana, la cronaca giudiziaria ha sfatato due dei miti della cosiddetta “destra perbene”: l’onestà e la legalità a tutto tondo. Tre anni fa, in piazza del Campidoglio, le televisioni di mezzo mondo mostrarono una folla di nuovi e vecchi naziskin tendere il braccio destro al cielo. La Storia ha fatto in modo che quel gesto, che non è assolutamente una invocazione al padreterno, fosse immediatamente riconoscibile a ogni latitudine avendo avuto due testimonial di eccezione; il primo, un ex socialista malato di protagonismo e sexual-addicted (come direbbero gli americani) che rispondeva al nome di Benito Mussolini, il secondo, un imbianchino frustrato e psicopatico il cui unico hobby era il genocidio, noto all’anagrafe tedesco-austriaca con il nome di Adolf Hitler. Grazie a questi due criminali, il braccio destro teso è diventato sinonimo di ignoranza, violenza, sopraffazione, razzismo, angheria, prepotenza, prevaricazione e, dulcis in fundo, tirannia. Mischiati alla folla dei mentecatti in camicia nera e fez, c’erano anche i futuri amministratori della Capitale d’Italia, quelli che avevano vinto le elezioni non sapendo come ma c’erano riusciti. Se il centro sinistra non avesse presentato il minestrone riscaldato di Francis Rutelli probabilmente non ci sarebbe stata partita ma, fatto il pasticcio, ci siamo resi conto che contro Rutelli avrebbe vinto anche la famosa gatta Ciclamina. E Alemanno appena eletto che fa? Mette in giunta, e nei posti chiave delle municipalizzate, i suoi camerati (perché chiamarli ex non lo abbiamo mai capito). Si circonda, insomma, dei peggiori picchiatori neri della storia di Roma, di qualcuno uscito anche dalle patrie galere dove aveva soggiornato per aver massacrato due giovani di sinistra (Stefano Andrini), e di qualcun altro noto per essere stato un “sindacalista nero” e il motore di decine di campagne elettorali, quell’Andrea Augello che, oltre ad essere un esperto in storia del Santo Graal, privatizza l’Acea facendo entrare nell’affare Caltagirone. E mica è finita qui. A tenere loro compagnia ci sono anche deputati e senatori del “manipolo Alemanno” fra i quali perfino Fabio Rampelli, ex responsabile del servizio d’ordine del Fronte della Gioventù (qualcuno ha presente?). La compagnia di giro prende presto forma, e Alemanno rispolvera tutto il suo passato in camicia nera dopo aver brillato per trasformismo in anni di militanza parlamentare, sempre però rigorosamente dai banchi della ex destra dura e pura ridotta ora a semplice comitato d’affari. In tre anni l’allegra brigata sperpera il patrimonio che lo stato le aveva affidato con il decreto “Roma Capitale” e si ritrova a dover mendicare a Tremonti (e a Bossi), il danè per salvare l’amministrazione capitolina dalla bancarotta. Servono soldi, tanti e subito. Immaginate un po’ Bossi che nel prossimo comizio a Ponte di Legno dice: “Abbiamo dato tre miliardi di euro a Roma”, quale reazione potrebbe suscitare tra la folla dei padani inferociti? Altro che comiche, anche perché in tutta questa sporca faccenda di comico non c’è assolutamente nulla. O forse si. Parentopoli. Curzio Maltese su Repubblica ha disegnato la mappa dei parenti di Adalberto Bertucci assunti per chiamata diretta all’Atac, scorriamola: “il figlio, il genero, il nipote, la cognata del figlio, l'ex segretaria, suo figlio e sua nuora, la figlia della segretaria del figlio, più una ventina di parenti di assessori e consiglieri, e dulcis in fundo, la famosa cubista scovata dalle Iene”. Quando i fascisti duri e puri parlavano di nepotismo a chi si riferivano? Preso atto del totale fallimento della sua giunta, Alemanno l’ha sciolta d’imperio, riuscendo perfino dove Mussolini aveva fallito: sciogliere il Gran Consiglio del Fascio. Fermamente deciso a risistemare da qualche parte i camerati, Alemanno ha comunque dovuto prendere un provvedimento tanto drastico per cercare di ammorbidire Giulio Tremonti il quale, di dare ancora soldi alla Capitale non ci pensa proprio, nonostante la perorazione diretta di Silvio Berlusconi in prima persona, personalmente. Magari all’ex ateo potrebbe dare una mano la Chiesa che tanto l’ha sostenuto durante le passate amministrative, ma da Oltretevere fanno sapere che sono abituati a prendere, dare non rientra nel loro dna. In questo momento drammatico per la storia di Roma e del fascismo romano, s’ode nell’aere il risuonar di note alte e fiere: “Noi siam del fascio la falange ardita ch'è pronta per l'Italia a dar la vita...”.
Potrebbero interessarti anche :