Guardando alle recenti manovre di Pd e Pdl viene il sospetto che tutto stia accadendo in virtù di un inciucio, stavolta tacito, siglato fra i due fieri antagonisti dell'ultimo ventennio. In effetti, le infuocate primarie da un lato e il disperato tentativo di restare in gioco a dispetto dell'usura, dei sondaggi e dalla sopravvivenza stessa della propria creatura politica dall'altro, sembrano convergere verso un comune obiettivo: bloccare il tentativo di aggregazione trasversale di quanti - moderati e riformatori, laici e cattolici, esponenti del mondo politico e della società civile - intendono organizzarsi per offrire agli elettori una nuova opzione che vada oltre la rissa permanente fra destra e sinistra della seconda Repubblica e dia continuità all'azione del governo Monti attraverso una piena legittimazione popolare.
Gli italiani, però, quelli che non rincorrono i facili populismi alla Grillo e che sono stanchi delle tante promesse puntualmente disattese dalla partitocrazia senza partiti, hanno davvero voglia di affidarsi ancora una volta a un sistema che ci ha condotti sull'orlo del precipizio sociale ed economico? A guardare alle recenti elezioni siciliane, parrebbe proprio di no. Lì quel vecchio sistema ha perso, battuto dagli elettori che hanno disertato le urne ancor più che da quelli che, andando a votare, hanno invece scelto gli schiamazzi sconclusionati del Movimento 5 Stelle o, più saggiamente, hanno optato per una persona perbene come il neo governatore Crocetta. A riprova che la gente si è davvero stufata degli eterni Gattopardi della nostra triste politica tradizionale.
Quel 53% di astenuti non è, infatti, come pure molti osservatori hanno frettolosamente concluso, il segno di resa della democrazia o una sorta di vile disimpegno dei cittadini ormai disperati, ma il trionfo della voglia di un cambiamento che sia finalmente credibile e non di facciata, responsabile e non urlato, nuovo nei volti dei protagonisti e nei simboli ma anche e soprattutto nei toni e nelle proposte.
Ed è lo stesso sentimento che prevarrà a livello nazionale fra pochi mesi se quel che resta dei partiti italiani non sarà stato nel frattempo in grado di auto riformarsi, a partire dalla definizione di nuove regole elettorali che garantiscano governabilità non sul piano delle percentuali come egoisticamente invoca il Pd bersaniano, da mesi illuso di arrivare al potere semplicemente rimuovendo l'esperienza montiana e sulle macerie del blocco sociale del centrodestra, o mantenendo in piedi la rissosa alternanza bipolare come invece pretende il Pdl berlusconiano, già di fatto superata nella percezione degli elettori con l'avvento al governo proprio del serio e affidabile professor Monti.
La vera sfida che attende l'assetto politico, di contro, e che continua a invocare la società stessa anche e soprattutto con la scelta del non voto, è quella di una governabilità fondata su nuovi contenuti ripensati alla luce del mutato contesto globale, e su nuovi contenitori in grado di proseguire coerentemente, senza contraddizioni e condizionamenti vetero-culturali, la stagione riformatrice inaugurata dall'esecutivo dei tecnici.
Insomma, non c'è più spazio per gli steccati para-ideologici della seconda Repubblica, per il destra contro sinistra o per il più grottesco centrodestra contro centrosinistra. E nemmeno per le urticanti e anacronistiche contrapposizioni fra Nord e Sud, dipendenti pubblici e partite Iva, laici e credenti. Oggi l'unico discrimine sensato è fra riformatori e conservatori, fra responsabili e demagoghi, fra chi guarda al futuro delle opportunità e chi rimane aggrappato al passato/presente dei privilegi.
Per dirla con Ilvo Diamanti, la sola scelta oggi possibile è fra agenda Monti e agenda Grillo, entrambe espressioni dell'antipolitica. E la sensazione è che, a prescindere dai goffi tentativi di galleggiamento delle delegittimate forze politiche, sorrette dal populismo soft del nuovismo renziano e dalla puntigliosa ricerca alfaniana del "quid", alla fine sarà la prima ad avere la meglio. Perché come nel 1994, milioni di italiani attendono che dal crollo di una Repubblica possa aprirsi una nuova stagione di speranza e di riscossa, non disperdendo le buone premesse del lavoro del governo Monti.
Nell'auspicio che stavolta non finisca come dopo Tangentopoli, che non arrivi un nuovo uomo della provvidenza a riempirci di belle parole destinate ben presto a essere tradite dai comportamenti, che la politica non si divida più sulle persone ma sui progetti, che all'individualismo e all'egoismo degli ultimi venti anni si sostituisca un diverso modello sociale imperniato sulla coesione e sulla condivisione, che le regole tornino a primeggiare su ogni meschina forma di illegalità, che il successo non dipenda più dal numero delle comparsate televisive ma dalle capacità e dal merito, che la "generazione tradita" dei figli costruisca da protagonista l'avvenire di questa Nazione a lungo mortificata dai padri invece di protestare nelle piazze attendendo una soluzione che dai padri stessi non potrà mai arrivare. A pensarci bene sono orizzonti a portata di mano, basta solo credere che possiamo raggiungerli...