Questo non è il migliore mondo possibile ma è vero, assolutamente vero.
CCCP Fedeli alla linea
Iran, Iran, Iran
khun-o-marg-o-osyan
(Iran, Iran, Iran, sei sangue, morte e rivolta)
Canti per le strade di Teheran, 1979
Dovremmo parlare di distorsioni: visive, uditive. Deformazioni percettive. Abituarci al fatto che quello che vediamo non è (quasi) mai quello che è. La doppia realtà che si origina dalle imposizioni religiose ce lo insegna, qui in Italia prima che in Iran. “L’Iran è come un uomo che ha la testa dentro di sé e guarda dentro invece che fuori”. Questa frase è mai stata pronunciata veramente? E da chi?
Possiamo tranquillamente credere che gli iraniani siano arabi, mentre sfogliamo il giornale al bar, bevendo il caffè. Possiamo pensare che Ahmadinejad sia come Osama Bin Laden, ma vivo. (Almeno per ora.) Possiamo pensare che il movimento verde che contestava i risultati elettorali nell’estate del 2009 fosse guidato da quella Central Intelligence Agency che le mani, nella storia dell’Iran, le aveva ben già messe e in ben loschi affari (Do you remember Mossadeq? What about Iran-Contras affair?). Possiamo litigare con l’ortodossia militante dei compagni del Partito Marxista Leninista Italiano, perché Ahmadinejad è ormai l’ultimo baluardo antimperialista in Medio Oriente e dobbiamo sostenerlo. Il risultato è che non se ne esce, anche se si provano tutte queste possibilità. (Credo di averlo fatto, con quasi tutte.) Allora forse il problema è che non ne vogliamo uscire.
Un anno fa, in una sera di primavera, sono stato testimone di un incontro di pace tra una delegazione informale iraniana e una israeliana, altrettanto informale, in una piazza del centro di Roma, con un drink in mano (a testa) che non era il primo. Non era diplomazia, ma racconto. La produzione culturale segue percorsi diversi, spesso sotterranei, carsici, per spuntare fuori altrove, ritrovandosi un’identità mutata e accresciuta. La politica procede su altri piani. Spesso quelli alti di un grattacielo di una multinazionale, in un paradiso fiscale. Qua non c’è paradiso: si sta sottoterra, nelle cantine, nei garage, tra mercato nero e carte false per riuscire a passare la frontiera.
Ma anche a questo primo sguardo, la realtà risulta sempre più complessa della sua rappresentazione e qualcosa rimane, necessariamente, sotto traccia. Non è tutto così perché noi lo vediamo da qui. Perché da qui subiamo la manipolazione mediatica della costruzione del nemico e della sovraesposizione del suo avversario. Ci abituiamo a pensare a buoni contro cattivi, come nelle favole per bambini: ci tengono nella culla, ciuccio in bocca e sonni beati. Anche se l’incubo è sempre in agguato: l’atomica iraniana. Se l’Iran sta vicino all’Afghanistan (per i pochi che lo sanno), forse saranno simili, integralisti barbuti che ci odiano e non vedono l’ora di colpire l’Occidente con un’atomica fresca di fabbricazione e orgoglio. E poco importa se è vero o meno, nel momento in cui ce lo fanno vedere così.
Il problema – per noi, per la nostra percezione – è semplice: l’Iran è l’ossessione nucleare di parte della sua classe dirigente e i concerti dei Kiosk. Non sono o l’uno o l’altro: sono tutti e due. L’Iran è i villaggi sperduti che vivono come nei nostri paesi di un secolo fa e i Gatti Persiani. L’Iran è l’Islam sciita con tutta la sua tradizione di martiri e le lattine di Black Vodka che arrivano dritte dalla Russia. Ed è qui che c’è l’intoppo. Allora scartiamo l’alternativa facile, perché alternativa non c’è. Preferiamo uno sguardo complesso, che parta da sottoterra e poi arrivi alla superficie, alla luce, per continuare a esplorare, senza sconti, né sopra né sotto. Poi magari si finisce per ritrovarsi ancora underground, ma questo è perché forse, davvero, ci piace di più.
Credits: Ehsan Mehrbakhsh, Ryszard Kapuściński, Alberto Negri, Ebrahim Nabavi e Reza Abedini, Black Vodka, distratti studi universitari che mi hanno portato da Zoroastro al farsi. Per chi fosse curioso, sì, la discussione con il PMLI è avvenuta realmente, via mail.
Questo testo è stato presentato ieri in occasione della seconda edizione di Iran. Sguardi sotterranei, alla biblioteca Guglielmo Marconi di Roma.