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Allergeni: di cosa parliamo?

Creato il 31 ottobre 2013 da Scienziatodelcibo @scienziatodelci

Scritto da scienziatodelcibo il giovedì, ottobre 31, 2013 · Lascia un commento  

Di allergeni se ne parla anche troppo, a mio parere. Molto più se ne dovrebbe parlare sulle etichette invece, e ancor di più se ne dovrebbe parlare agli operatori del settore.  Per facilitare l’indicazione degli allergeni alimentari in etichetta da parte degli operatori alimentari, gli allergeni alimentari elencati nell’allegato III–bis della direttiva 2003/89/CE, o derivati da un ingrediente riportato in tale allegato, se utilizzati nella produzione di un alimento e presenti nel prodotto finito (anche in altra forma), devono essere riportati in etichetta, indicandone chiaramente il nome. Si può derogare da questa regola generale nel caso in cui la denominazione dell’allergene corrisponda alla denominazione di vendita del prodotto, in quanto l’informazione viene già data al consumatore, in maniera chiara, per cui non è necessario ripetere l’indicazione come allergene.

Questa regola è stata ripresa dal nuovo regolamento CE 1169/2011, che anzi ne rafforza l’enfasi, raccomandando una evidenziazione (carattere grafico o colore diverso per esempio, oppure la ripetizione dell’ingrediente allergenico sull’etichetta, anche al di fuori dell’elenco ingredienti) in grado di far risaltare all’occhio la segnalazione dell’allergene presente.

Frequentemente le imprese riportano, nell’etichetta dei propri prodotti, diciture del tipo “può contenere tracce di: uova, soia, arachidi…”, oppure, “prodotto in uno stabilimento dove si lavorano: glutine, sesamo, latte…”. In questo modo, se da un lato l’imprenditore cerca di mettersi al riparo da possibili responsabilità civili e/o penali, dall’altro, indicazioni così generiche non
consentono al consumatore di avere una corretta percezione del rischio. Le contaminazioni crociate possono verificarsi in
qualsiasi fase di una filiera produttiva: durante lo stoccaggio delle materie prime, la manipolazione e la preparazione degli alimenti, soprattutto quando gli stessi impianti sono usati per fabbricare prodotti diversi. Infatti, anche persone che conoscono le sostanze alle quali sono allergiche possono essere esposte agli allergeni “nascosti”.

E proprio in uno studio sulla presenza e la correttezza delle etichette alimentari: “Allergeni - Fondamentale formare
e informare” di Gaia Zeolla, Carmela Amadoro, Giampaolo Colavita del Dipartimento di Medicina e Scienze della Salute – Università degli Studi del Molise, Campobasso (Fonte: Alimenti&Bevande), sono emersi dei risultati interessanti e inquietanti per quanto riguarda la preparazione degli stessi operatori del settore alimentare, in merito al tema degli allergeni.

Il campione oggetto dello studio (120 aziende) era costituito da un 53% macellerie, 17% pasticcerie, 13% salumerie (annesse a negozi di alimentari), 10% gelaterie e 7% rosticcerie (annesse a pizzerie al taglio o a paninoteche). Negli esercizi di produzione e vendita presi in considerazione, i prodotti confezionati erano forniti di etichetta nel 96% dei casi, al contrario deiprodotti non confezionati, per i quali l’etichetta era presente solo nel 17% dei casi. Tra le sostanze che possono provocare allergia o intolleranza, quella di più frequente riscontro è risultata il glutine (97% dei casi), seguito dal lattosio e dalle proteine del latte vaccino (90%), uova o proteine delle uova (80%), cereali (43%), frutta, arachidi, noci e nocciole (27%), riso (23%), pesce (13%) e pomodoro (10%).

Non è stata mai osservata una disposizione promiscua degli alimenti, ma nel 73% dei casi esisteva comunque la possibilità di contaminazione crociata e, solo nel 23%, gli alimenti erano posizionati in scomparti ben separati. È stato possibile appurare che al momento della spesa solo pochi consumatori avevano l’accortezza di informare gli operatori degli esercizi alimentari di essere allergici a qualche sostanza alimentare. Quando ciò è avvenuto, gli allergeni maggiormente segnalati sono stati sostanzialmente tre: glutine (80%), lattosio (57%) e uova (33%); rimaneva un 7% che includeva per lo più allergeni quali aglio e mandorle. Solo nel 30% dei casi gli operatori alimentari, durante i corsi di formazione tenuti da professionisti o associazioni di categoria, sono stati informati sugli allergeni. Gli operatori di pasticcerie e forni sono risultati i meno interessati alla problematica degli allergeni, sentendosi esulati dalla questione, dato che normalmente nelle loro produzioni si impiegano ingredienti allergenici, dando per scontato, quindi, che il consumatore sia già edotto sul rischio che corre, assumendosene la relativa responsabilità. È noto che il gelato sia un alimento particolarmente a rischio allergeni (soprattutto quello artigianale), in quanto la possibilità di contaminazioni crociate è molto elevata, sia attraverso le attrezzature utilizzate per la produzione, che nel banco di vendita.

A quasi venti anni dall’uscita delle norme HACCP che hanno introdotto la formazione per gli operatori del settore alimentare, possiamo constatare che deve passare ancora del tempo perchè questi siano davvero preparati e competenti in merito almeno alla prevenzione dalle sostanze allergeniche.


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