Sabato 7 maggio 2011 alle ore 15,00, all’Info Point della Provincia di Genova, al Porto Antico, nei pressi di Palazzo Millo, sarà presentato Bottecchia, Tunué Edizioni, fumetto di cui sono autori Giacomo Revelli e Andrea Ferraris (che ha lavorato alla sceneggiatura insieme a Revelli, e realizzato i disegni).
La storia è quella di Ottavio Bottecchia, il primo vincitore italiano del Tour de France nel 1924, scomparso nel 1927 in circostanze misteriose: fu trovato agonizzante nella campagna friulana, dove stava allenandosi, probabilmente a causa di un pestaggio fascista.
Quella di Bottecchia è la storia di un uomo, di un atleta, di un ciclista che per un momento fu un eroe, ma poi venne travolto dalla storia. Ed è anche il racconto dell’Europa, dell’Italia, in un momento difficile della sua storia, che ancora oggi fa riflettere.
Per questo è stata concordato con l’editore l’uscita in concomitanza con la partenza del Giro d’Italia proprio il 7 maggio. La prima presentazione è organizzata con gli Amici della Bicicletta e a presentare Giacomo Revelli sarà Michele Marenco, ciclista ed esperto di ciclismo, già autore di libri e guide sulla bicicletta. Una secondo appuntamento sarà venerdì 13 maggio alle 18 alla libreria Books IN in vico del fieno 43 sempre a Genova.
Segue la prefazione dell’opera.
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“Quando sono in bicicletta sono un eroe. Ma quando scendo, sono un uomo” (Ottavio Bottecchia)
Quella raccontata in questo libro non è soltanto la storia di un uomo, di un atleta, di un ciclista. E’ anche la storia dell’Europa, dell’Italia, del ciclismo.
L’avventura di Ottavio Bottecchia avviene in un periodo storico fondamentale, in cui il mondo andava strutturandosi e definendosi e in cui le grandi scoperte della scienza e della tecnica, dopo la tragedia del primo conflitto mondiale, stavano cambiando la vita quotidiana, mentre un nuovo benessere favoriva l’entusiasmo e la fede nel progresso. Da lì a poco si sarebbe formata la modernità che conosciamo oggi.
Ma, anche allora, come in ogni altra epoca storica, c’era bisogno di eroi. E i super-eroi di quel periodo, se non erano ancora capaci di trasformarsi un una cabina del telefono e salvare il mondo dai progetti del cattivo di turno, sapevano compiere imprese per l’epoca straordinarie: correvano maratone, combattevano incontri di pugilato, correvano in spericolate corse d’automobile o pedalavano per chilometri in bicicletta. I poemi epici che ne narravano le imprese erano le strade delle città, i giornali che ne diffondevano le notizie.
Ottavio Bottecchia nacque a San Martino di Colle Umberto il primo agosto 1894 e fu uno di quegli eroi. Ma, prima che un eroe, fu uomo del periodo e come tale non sfuggì alla Storia: partecipò alla prima guerra mondiale, ottenendo una Medaglia di Bronzo al Valor Militare. Poi emigrò in Francia e trovò lavoro come muratore e carrettiere. Conobbe la guerra, la povertà e la lontananza da casa e cercò fortuna all’estero, come accadde a molti in quegli anni e ancora oggi. Non è però per questo che il suo nome è scritto sui libri di storia: Ottavio Bottecchia, reduce ed emigrato friulano, fu il primo italiano a vincere il Tour de France nel 1924.
Il Tour de France, nel 1924 era uno sforzo estremo, riservato a pochi. Tappe di 400 chilometri per volta, su strade spesso non asfaltate e con mezzi poverissimi: le biciclette dell’epoca non avevano nemmeno il cambio e non era prevista alcuna assistenza in corsa. In più, l’organizzatore, Henri Desgrange, fondatore de L’Equipe – il giornale il cui colore diede nome alla maglia gialla, simbolo del primato – imponeva regole ferree che rendevano la corsa durissima. Il ciclismo dell’epoca era dunque profondamente diverso da quello di oggi e con la bicicletta era più facile entrare nell’epica che accumulare ricchezze e sponsor. Correre, vincere, era il risultato di fatica e sacrificio, tanto che i ciclisti vennero definiti “i forzati della strada”. La tecnologia e la scienza non avevano ancora il peso di oggi; vittorie, sconfitte e primati arrivavano come conseguenze delle qualità vere di un uomo, fortuna compresa. In una cosa soprattutto, il Tour era diverso da oggi: non era un circo, una macchina trita-soldi. Attraverso città e campagne, portava un messaggio di libertà e rivincita per tutti: anche i meno fortunati potevano sperare in un futuro migliore, la fatica dei ciclisti aveva un valore catartico per la società intera. Per questo quando passava la corsa le strade erano sempre affollate di spettatori, gli incroci brulicavano di donne, uomini e bambini che incitavano i corridori. Molti nomi sono entrati nella leggenda: Frantz, Alancourt, i fratelli Pelissier.
Fino alla vittoria di Bottecchia, il Tour de France o la “Grande Boucle”, come viene chiamato in Francia, l’Italia restò piuttosto indifferente alla gara, che, anzi, veniva definita “brutale martirio di uomini”. Ma proprio in quegli anni il regime fascista cercava di affermarsi in Europa ed era alla ricerca di eroi che lo sostenessero. Bottecchia forniva al fascismo una grande occasione: venne indetta una sottoscrizione per farlo partecipare al Tour. Ma tutto non andò come previsto. Bottecchia corse il Tour concentrando le proprie energie sulla gara, non gli interessava fare proclami e compiacere Mussolini, ma arrivare al traguardo: dopo aver visto l’inferno della guerra sapeva bene come gestire le proprie energie. Si attirò dunque l’ostilità di gerarchi. Correva poi per una squadra apolide, capitanata da un corridore di indole anarchica e ribelle, Henri Pelissier.
Come atleta, Bottecchia era fortissimo: nessuno era in grado di seguirlo appena la strada cominciava a salire. Dopo il primo Tour de France nel 1924, vinse anche il Tour nel 1925. Poi la fortuna cambiò il suo corso. L’anno successivo dovette ritirarsi. In più, perse suo fratello in un incidente: un’auto pirata lo travolse e uccise proprio mentre era in bicicletta.
Il 3 giugno 1927, mentre stava preparandosi per correre il Tour, Ottavio Bottecchia fu trovato agonizzante lungo una strada di campagna, a Peonis, vicino Gemona del Friuli. Ricoverato, morì dopo 12 giorni. Le cause della sua morte non sono state mai chiarite.
E’ così densa questa storia, così ricca di immagini ed emozioni, che solo con un fumetto poteva essere raccontata. I personaggi dovevano essere vivi e carichi come effettivamente furono, le vicende lasciano spazio alla fantasia, quanto ne lascerebbero i fotogrammi di un film.
E Botescià, il Bottecchia disegnato da Andrea Ferraris è, certo, un eroe, imbattibile in salita, abile stratega nelle tappe di trasferimento, ma anche un uomo, su cui si abbatte, inesorabile, il destino.