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Dopo neanche una settimana dall'alluvione in Lunigiana, con il suo carico di vittime e distruzione, un'altra tragedia è accaduta nella città di Genova; stesse scene e, purtroppo, ancora morti. La domanda che ci facciamo tutti in queste ore è sempre la stessa: si poteva evitare, o fare qualcosa per limitare i danni e soprattutto le vittime?
La questione è sicuramente complessa, i fattori naturali si vanno a sommare a tutta una serie di altre questioni. Tralasciando per questa volta i soliti discorsi sull'edilizia selvaggia del passato, dei condoni edilizi, che pure hanno un peso rilevante in tutto questo, vorrei fare una riflessione sull'efficacia dell'allertamento in questo tipo di fenomeni. A differenza di eventi simili capitati in passato in altre zone, in questo caso l'allerta meteo emanata dal Centro Funzionale della Regione Liguria è stata tempestiva e completa, per quanto lo possa essere una previsione fatta con almeno ventiquattro ore di anticipo. I colleghi della Liguria avevano ben identificato l'intensità dei fenomeni attesi gia da diversi giorni, tanto più che era stata emanata, il giorno precedente, una previsione di elevata criticità (la massima possibile) per rischio idrogeologico su tutta la regione.
La catena procedurale, a questo punto, passa la palla alle amministrazioni locali, le uniche in grado di tradurre le indicazioni riportate nei bollettini di allerta in scenari sul territorio di propria competenza. Solo a questi livelli, infatti, la conoscenza del territorio è tale da poter mettere in atto tutte le azioni per affrontare i possibili disagi e mitigare i rischi connessi. Il sindaco, che ricordiamo è il primo responsabile in ambito di protezione civile, grazie al potere di ordinanza ha in mano tutti gli strumenti per poter agire in questo senso. E allora perchè non ha chiuso le scuole?
Forse potrà essere una colpa, ma non dimentichiamoci che in tutta la Liguria nessun sindaco le aveva chiuse, nonostante nessun comune poteva dirsi al sicuro. L'evento di Genova, che in termini tecnici viene chiamato flash flood (alluvione lampo), è avvenuto cun una tale rapidità da far risultare quasi inutile o impossibile, a mio avviso, qualsiasi tipo di gestione da parte dell'amministrazione. A differenza della piena di un grande fiume, spesso in ritardo di qualche ora rispetto al picco delle precipitazioni, in questi eventi le cose avvengono quasi contemporaneamente e con una inaspettata rapidità.
E' quindi chiaro che se le ordinanze non possono bloccare o fermare un fiume di acqua e fango, la differenza la può fare il comportamento dei singolo cittadino. L'autoprotezione, che come ha ricordato il prefetto Gabrielli non è da intendersi come un "arrangiatevi", può veramente salvarci la vita: il nostro comportamento, oltre a togliere dai pericoli noi stessi, può aiutare a limitare i danni e a degongestionare così la macchina dei soccorsi. Una persona in meno da soccorrere può anche voler dire una persona in più in grado di portare aiuto.
Tutti sappiamo oramai cosa fare in caso di terremoto, o in caso di incendio, ma quanti sanno veramente come ci si comporta davanti ad un fiume o a un torrente che esonda? Quanti conoscono le criticità insite nel proprio territorio, o come questo reagisce ad eventi meteorologici o idrogeologici di una certa intensità? Perchè, ad esempio, nonostante si verifichino diversi casi ogni anno, continuiamo a fiondarci con l'auto nei sottopassi pieni di acqua? E' questa, probabilmente, la grave mancanza che la gran parte delle amministrazioni locali ha sulla coscienza: non basta avere un piano di protezione civile (e anche questo fatto non è così scontato), se poi la gente non lo conosce o non sa quali sono i comportamenti da mettere in atto in determinate situazioni. Conosciamo ormai a memoria la tiritera che gli assistenti di volo fanno prima del decollo: facciamo uno sforzo per capire anche quali sono i comportamenti giusti in caso di alluvioni. Ne va della nostra vita.
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