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Altro che “childfree”, la maternità è il compimento della donna

Creato il 11 agosto 2013 da Uccronline

MaternitàLa rivoluzione sessantottina si è infantilmente opposta ad ogni autorità in nome di una utopica libertà. Non solo ribellione l’autorità politica o religiosa, ma anche quella naturale che vede nella distinzione sessuale un valore.

In questo complesso moto di ribellione antropologica è subentrato anche il rifiuto della maternità e della paternità chissà per quale agognata emancipazione. Oggi si invoca, come cima del progresso narcisistico, le chilfree life, la libertà dallo schiavismo a cui ci sottopongono i bambini. Fioccano anche in Italia, di conseguenza, le spiagge che non vogliono bimbi e bimbe e anche le compagnie aeree hanno introdotto voli childless.

La provocazione è stata lanciata in questi giorni dal “Time” e anche i quotidiani italiani ci hanno rassicurato che si vive «senza figli e senza rimpianti» respingendo l’imperativo categorico della genitorialità inculcato dalla società patriarcale, quando in realtà è un semplice dato naturale. La maternità viene dipinta come il nemico che ostacola la realizzazione della donna, la quale si compirebbe nella carriera lavorativa (e ritorna la rincorsa a somigliare il più possibile agli uomini!). I figli dopo i quarant’anni, prima bisogna divertirsi dicono gli eterni bambini. Poi si scopre che dopo i 40 anni i figli non arrivano più, salvo un miracolo. La tuttologa Chiara Lalli non fa mancare la sua presenza nemmeno qui, elogiando chi ha avuto figli a sessant’anni perché sarebbe «una madre più attenta». Non è il parere dei figli cresciuti con queste mamme-nonne: «Ho avuto la sventura di nascere da genitori di 51 e 42 anni, e non è stata un’esperienza per nulla piacevole»ha scritto Piero. «Occorre considerare cosa significhi essere adolescenti con genitori ultrasessantenni, sentendosi continuamente definire “bastone della mia vecchiaia”. C’è soprattutto da considerare cosa significhi cercare di costruirsi un futuro con genitori ormai anziani e bisognosi di assistenza, barcamenandosi tra pannoloni, medicine e colloqui di lavoro; tra orari d’ufficio e improvvise chiamate da casa per imprevisti legati all’età. Sarebbe quindi ora che la si smettesse di considerare i figli come un diritto assoluto dei genitori, ignorando il loro diritto ad avere una famiglia “normale”; e che si imparasse a rispettare i limiti dettati da Madre Natura, che evidentemente non esistono per caso».

Il direttore de Il Giornale, Vittorio Feltri, dopo la quotidiana spalata di fango contro il giudice Esposito reo di aver condannato il suo datore di lavoro, ci informa che secondo le sue fonti «l’orologio biologico, che confermerebbe che la maternità è una forma naturale e insopprimibile per esaltare la femminilità e darle un senso, è in verità un retaggio culturale». Eh già, beato lui. Per fortuna gli ha risposto sul suo giornale una donna, Annamaria Bernardini de Pace«Nessuna donna può negare di sentire il desiderio della maternità, fin dall’infanzia. L’istinto di dare la vita è il motore di ogni nostra cellula; il nostro corpo ci rende da subito fiere di poter essere un giorno portatrici della vita che si rinnova. Perché avere un figlio vuol dire conoscere l’essenza insuperabile dell’amore, dare un senso alla fatica di vivere, rendere etica la propria capacità di produrre, conoscere la responsabilità di creare e formare una persona. Non è invidiata quindi una donna che non può avere figli, ma neppure può essere invidiata una donna che non vuole avere figli. Non sono quindi per nulla d’accordo con quanti negano che la femminilità si identifichi con la maternità. Anzi credo che le donne di questa idea stiano reprimendo la loro femminilità; nell’obiettivo di essere più uguali al maschio, queste donne vedono, nel bisogno di libertà assoluta, la illusoria conquista della pari dignità di genere. Negarsi un figlio per la carriera, il piacere, un malinteso senso di libertà, è una specie di autoviolenza al cuore più segreto e potente della femminilità. Se è vero che donna non si nasce, ma la si diventa, l’essere madre fa diventare più donna di qualsiasi altra donna».

Monica Mondo commenta così la nuova moda della libertà come autorealizzazione senza genitorialità: «Anni di femminismo scatenato nel rifiuto della maternità, per occupare finalmente i posti riservati solo al maschio». Ma poi, «arrivate all’età dello chignon grigio, quando anche i lifting cedono e sono irripetibili, la pensione costringe a rinunciare a nottate da sballo, i polmoni limitano i vari tipi di fumo, il lavoro è un incubo così lontano da mancarti tantissimo, ti resta solo quel grumo di tenerezza che ti annoda lo stomaco quando le tue amiche giocano coi nipotini. E’ la vecchiaia bellezza, arriva sempre, se vivi abbastanza. Allora avrai trovato la tua strada?». E’ quello che dice anche la letteratura scientifica: i genitori sono più felici e soddisfatti delle coppie senza figli (Psychological Science), le coppie con figli vivono più a lungo e hanno vite migliori psicofisicamente (Journal of Epidemiology e Community Health), gli uomini senza figli hanno un incremento di rischi di infortunio, dipendenza, mortalità e di cardiopatia ischemica (Social Science & Medicine), la mancanza di figli è significativamente correlata alla solitudine e la depressione (International Journal of Geriatric Psychiatry), le coppie senza figli sono socialmente meno integrate e hanno un minor numero di contatti sociali (Zeitschrift für Gerontologie und Geriatrie).

Vittoria Maioli Sanese, psicologa della coppia e della famiglia ha spiegato che la coppia che non vuole avere figli è una «coppia “strumentale”, nel senso che il percorso che i due intraprendono è puramente incentrato al benessere reciproco. Si va avanti nel tempo negoziando i propri bisogni, facendo in modo che l’altro vi risponda. È una coppia precaria, a termine, che rischia di franare nel momento in cui, per circostanze variabili, il benessere viene meno. Oggi “fare la mamma” viene percepito come un lavoro. La maternità a volte rischia di perdere il suo significato più profondo, smette di essere compimento o proseguimento della propria identità, e diventa appunto un “lavoro”. Le radici del femminismo hanno sminuito il valore sociale di una cosa così importante. Perché anche mentre stai fissando un pannolino e stai cambiando tuo figlio, stai crescendo quella persona. Il modo in cui guardi tuo figlio e lo cambi, è il modo in cui lo cresci. Contempli un pannolino, e crei una persona».

E’ intervenuta anche Kate Spicer, che ha scelto di non avere figli ma che oggi rimpiange questa scelta: «la mancanza di figli è fonte di tristezza e di rimpianto. Non ho mai incontrato una donna che si pentì di avere figli. Ogni donna che dice di essere felice senza figli è bugiarda o pazza». Non c’ bisogno di condannare o insultare, più che altro augurare -come ha fatto la filosofa Francesca Rigotti dell’Università di Lugano- di restare «immuni dal rimpianto di essersi fatte sfuggire qualcosa di prezioso. E che non giunga per loro un momento della vita in cui il desiderio di maternità diventi così pressante da portarle a sottoporsi a pesanti torture fisiche pur di fare un figlio a ogni costo, non soltanto a trenta ma anche a cinquanta e a sessant’anni». Ma non solo la donna, Duccio Demetrio, filosofo presso l’Università La Bicocca Milano, ha sottolineato come all’uomo che non diventa padre «manca, prima di tutto, lo specchio degli occhi dei figli, specchio spesso impietoso, ma importantissimo. È lo specchio filiale che ci fa sentire di esistere. L’assenza di una posterità a cui consegnare non solo e non tanto un’eredità economica e materiale, ma le nostre passioni, i nostri vezzi, compresi anche tic e piccole manie”». Per questo, a mio parere, potendo, i figli sarebbe meglio averli».

In gioventù Emma Bonino girava l’Italia elogiando l’emancipazione femminile, oggi confessa«Di colpo ho capito di non essere più di nessuno: non sono mai stata moglie, mai madre. Sono sempre stata solo una figlia. La mia domenica ideale è in pigiama a bighellonare per casa». 

Michela Marzio


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