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Amarcord liceale

Creato il 07 gennaio 2014 da Zioscriba
AMARCORD LICEALEK.H. Rummenigge e la filosofia da liceo
Ho sempre avuto in puzza i piciorla che non sanno fare il loro mestiere, ma ci campano benbene sulla pelle e sulle palle degli altri, con gran facciatosta: elettricisti sabotatori dell’impianto di casa, medici che ti fanno ammalare di più, piastrellisti che piazzano nel pavimento cunette o dossi, scrittorucoli senza idee né talento, insegnanti privi di passione e a malapena ferrati nella materia che “insegnano” prendendola paripari dal manualetto in dotazione, speaker televisivi con problemi di dizione e di pronuncia, arbitrelli paraculati che non azzeccano un fischio, e chi più ne ha più gli metta in mano una zappa. Ammesso che sappiano zappare.La professoressa K era una così. Ce la ritrovammo dietro una cattedra al liceo di Castelprete. Materia: nientemeno che Storia e Filosofia. La professoressa K (che tosto la Commissione Sopranno-mi ribattezzò Svampara, la svampita somara) era la classica persona che anche se sei un pischello proprio non capisci come faccia a stare . Come si sia laureata. Come abbia vinto concorsi. Chi l’abbia raccomandata. Dove cazzo sia finita la professoressa vera, per avere la quale tuo padre pagherebbe pure le tasse. Era anche buffa, poverina: certe mattine arrivava in classe tutta arruffata e spettinata, e con strani vistosissimi succhiotti sul collo. Qualcuno arrivò a sospettare fosse sposata con un vampiro. Di certo non con un filosofo. Altrimenti qualcosina sulle basi del lavoro l’avrebbe imparata.La professoressa K divenne soprattutto famosa per i suoi incredibili strafalcioni, farfugliati con la bocca a culo di gallina, e pieni di "ecciuetera ecciuetera" (quando spiegava sembrava lei la ragazzotta interrogata, una ragazzotta che non solo non ha studiato, ma che proprio non ci arriva). Mi divertivo a segnarmeli su foglietti o pagine di quaderni, blocchetti e diari, purtroppo in modo dispersivo, troppo alla rinfusa per conservarli bene. (Ero tremendo: segnavo anche con crocette a matita sul banco i tic verbali dei prof. Memorabile la performance di una tizia di Francese, che riusciì a dire in un’ora le bellezza di 106 “Va bene” – e nemmeno un Va bien. Il mio banco pareva un cimitero militare). Ma l’altro giorno ne ho ritrovato qualcuno su un taccuino che prendeva polvere in cantina. La cosa incredibile è che fanno parte della stessa mattinata, non più di un'oretta e mezza fra storia e filosofia:“Come ho già spiegato la prossima volta…”“I contadini non pagavano più le tasse in soldi, ma in denaro”.“La differenza fra le banche inglesi e le banche inglesi delle altre nazioni…”
"... il dilemma ontologico che si risolve nell'ecciuetera ecciuetera".“Lettere scritte a un pellerossa degli Urali: un Urone”.
La professoressa K spesso interrogava “dal posto”, per continuare non vista a farsi obliqui cazzi suoi sul ripiano della cattedra. Solo che la nostra classe era famosa per la tendenza al brusìo (ci fu una supplente scalcagnata di matematica che scambiava il cestino dei rifiuti per un portaombrelli, e poi passava tutto il tempo a urlare “Bisogna fare silenzio?!”, solo che siccome ci metteva il punto di domanda – ma da dove cazzo era spuntata, pure quella? – non le davamo retta e proseguivamo col brusìo). A metà interrogazione le comunicazioni si facevano ardue, bisognava gridare, specie se l’interrogato stazionava, come me, nelle ultime file di banchi. La professoressa K latrava le sue domandine stupide e l’interrogato ululava le zoppicanti risposte. Fortuna che l’ufficio del preside era lontano e fuori tiro acustico. Quella volta toccò a me. Interrogato in filosofia. Dal posto. Naturalmente avevo passato il pomeriggio precedente al campetto di basket e non sapevo una minchia, ma era inutile sprecare munizioni per giustificarmi (avevamo a disposizione due “G” a quadrimestre per materia, da considerarsi vere e proprie pallottole antiprof: fra noi non si diceva “Oggi mi giustifico”, si diceva “Sparo!”) La distanza mi avrebbe permesso di consultare appunti a piacimento. L’interrogazione filò via abbastanza liscia. Non degnavo di un’occhiata gli appunti e, anzi, con mia grande sorpresa più andavo avanti più mi scoprivo ferratissimo pur non avendo (come sempre) studiato una mazza, talmente fiero delle mie belle argomentazioni da cominciare a indispettirmi davanti all’evidenza che Svampara non si stesse degnando di afferrarne una sillaba, anche se ogni tanto alzava la testolina arruffata dalle sue misteriose carte, mi guardava pensierosa con l’aria di chi ti sta mettendo a fuoco per capire nonostante la miopia chi cazzo sei e cosa cazzo vuoi da lei, e annuiva. Fu così che, dopo aver a fatica intuito la sua ultima domanda (la sua voce un po’ si sentiva perché era stridula e acuta, fastidiosa come un violino suonato male) quasi per protesta presi la decisione di abbassare la mia voce invece di alzarla. E la mia geniale risposta a quella profonda e articolata domanda filosofica che nemmeno ricordo fu la seguente:“Nel primo tempo l’Inter è scesa in campo schierando:
Zenga; Bergomi, Baresi; Mandorlini, Collovati e Ferri; Causio, Marini, Altobelli, Brady e Rummenigge”.Presi un bellissimo otto, e per i miei compagni, juventini compresi, divenni un Eroe.

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