Il commento di Antonio Valerio SperaSummary:
“Ho chiamato Steven e gli ho detto: sono anni che faccio i tuoi scarti. Come possiamo fermare questa cosa?” Lo Steven in questione è Spielberg e a parlare è niente meno che Clint Eastwood. Perché è dai tempi di I ponti di Madison County che l’ex eroe della trilogia del dollaro si ritrova a dirigere progetti inizialmente affidati al regista di Schindler’s List. Dopo il film con Meryl Streep, infatti, era già risuccesso con il primo capitolo di quello che poi sarebbe diventato il dittico eastwoodiano sulla seconda guerra mondiale (Flags of Our Father-Letters from Iwo Jima) e ora, nuovamente, con American Sniper, biopic sul miglior cecchino della recente storia bellica americana, il Navy Seal Chris Kyle, più volte inviato in Iraq, diventato una vera e propria leggenda tra le forze armate statunitensi e soprannominato addirittura Al-Shaitan (il diavolo) dagli iracheni.
A raccontare questo passaggio di mano, è il protagonista nonché produttore del film Bradley Cooper: “Jason Dean Hall aveva appena finito di scrivere la sceneggiatura, tutto era pronto, ma non avevamo un regista. Poi è arrivato Spielberg. Ci siamo visti diverse volte, abbiamo discusso del film, degli altri interpreti che mi avrebbero affiancato, ma dopo Steven si è fatto da parte, una scelta che ho rispettato. Insieme alla Warner Bros, abbiamo deciso di affidare la regia a Clint ed il gioco è cambiato completamente”.
Per Chris Kyle, dalla cui omonima autobiografia è tratto il film, in realtà Eastwood era la prima scelta, e forse lo stesso Spielberg l’avrebbe considerato il regista più giusto per questa storia. In fondo, American Sniper affronta il tema dell’ironia della guerra, già trattato dal cineasta californiano nei due film su Iwo Jima e nel poco ricordato Gunny (Heartbreaker Ridge, 1986). E’ sulla scia di questi film che si pone il nuovo lavoro di Clint. Da una parte perché, in pieno stile Eastwood, American Sniper spinge il racconto bellico verso una riflessione sulla guerra stessa e sulle conseguenze psicologiche sui soldati; dall’altra perché, così come nel film del 1986 Eastwood ci raccontava la storia di un ex-eroe dell’esercito americano in Corea e Vietnam, muovendosi tra una dimensione narrativa bellica ad una più intimista, con il racconto della vicenda sentimentale del suo protagonista, anche con American Sniper fa lo stesso: la guerra sul fronte iracheno, nel film, si sviluppa parallelamente alla battaglia di Kyle nel tentativo di essere un buon marito e un buon padre nonostante il suo lavoro lo allontani dalla famiglia.
Per Cooper, coadiuvato sullo schermo da Sienna Miller, Luke Grimes e Kyle Gallner, non è stato semplice entrare nei panni di Chris Kyle: “Non di certo per una questione ideologica – racconta lo stesso interprete – non credo che il film abbia un’anima politica, tutt’altro. E’ stato difficile perché ho dovuto fare una tremenda preparazione, ho dovuto mettere su diversi chili, e poi dovevo dimostrare dimestichezza con fucili da cecchino”. Un’interpretazione che potrebbe portare Cooper alla sua terza nomination all’Oscar consecutiva dopo quelle per Il lato positivo e American Hustle. Per lui, per Eastwood e per il film non sarà però semplice rientrare nelle prestigiose cinquine. Dopo esser stati snobbati dai Golden Globe, i bookmakers non li danno più tra i probabili candidati. Ma con l’Academy le sorprese non mancano mai.
di Antonio Valerio Spera per Oggialcinema.net