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Analisi s(c)emiseria della fine (e dell'inizio)

Da Miwako
N.d.A. Non prendete seriamente nessuna delle parole che danno il titolo a questo post. Non è un'analisi, solo un flusso di pensieri post-elettorali, è più seria che scema e non sono ancora pronta a sapere se questo sia l'inizio, la fine o tutte e due le cose.
Si, devo essere io che non sto capendo qualcosa.Devo essere io che non ho ben compreso.Non vorrei nemmeno scriverne così, a caldo. Ma è già il giorno dopo, e la doccia in realtà è stata abbastanza gelata.Ora, niente di nuovo sul fronte occidentale; la sinistra a parità di (disastrose) condizioni della destra (ovvero se la situazione fosse stata ribaltata) non sarebbe nemmeno stata capace di racimolare un quinto del risultato della destra. In pratica, una sinistra da troppi anni di cagionevole salute, ma comunque data per favorita e con un'opportunità davanti a sè che non si ripresenterà mai più tale, è riuscita a portare a casa una manciata di voti in più rispetto ad una destra in cancrena ma capace di amputare ( o fingere di farlo quando serve).
I nostalgici hanno scelto comunque il PD, con Bersani e la sua cricca che puzzano di naftalina.Gli inarrestabili hanno fatto il gioco della fiducia, spalle al Berlusca, gli sono caduti in braccio con cieca abnegazione.Gli idealisti in bocca a Grillo.
Non so se sono più sorpresa dell'accaduto, o sorpresa dal fatto di essere sorpresa.
Grillo mi fa paura. Lo dico veramente perché mi sembra folle in certi momenti, lo dico perché mi spaventano le totali fascinazioni di massa, gli estremismi che, anche quando volti al bene, rimangono pur sempre estremismi, lo dico perché questo furor di popolo, come in potenza potrebbe scardinatre una casta corrotta e stantia, potrebbe anche rivelarsi assolutamente incapace di far seguire ai propositi delle azioni mirate che tengano in seria e preferenziale considerazione la condizione attuale, oltre a quella ideale. Senza con ciò voler implicitamente sposare una delle altre due grosse coalizioni (scelta ardua, per altro; come quando vorresti una fetta di torta al cioccolato e puoi scegliere tra gnocchi al pomodoro, impepata di cozze e una space cake all'hashish), lo dico conscia del fatto che tra le alternative, una non la sceglierei manco con un cannone puntato in pancia, l'altra che pure ha sempre avuto il mio voto, è in coma pure lei, incapace di uscire da quella gabbia pseudodemocristiana svuotata dei suoi valori positivi.Lo dico perché l'idealista, utiposta, credulona che è in me si ribella. Perfino lei. Perché ha del paradossale che un'idealista come me sembri realista di fronte al M5S. Non l'avrei mai detto; perché a leggere il programma è bello, pieno di buoni propositi, vicini alle persone invece che alle caste, vicini ad un senso del giusto comune, umano, universale.Benissimo. Peccato che su troppi punti manchi il "come" fattivamente si intende procedere.Peccato che alla voce "lavoro" ci sia un vuoto che se ci urli dentro rimbomba come in chiesa.Peccato che siano troppi i momenti in cui, leggendolo, viene da chiedersi se chi l'ha redatto l'abbia fatto pensando realmente, in maniera pratica, alla situazione attuale e non solo a ciò che sarebbe auspicabile. Il messaggio trasmesso è seriamente positivo, sia chiaro; ma portare l'attenzione su ciò che sarebbe buono e giusto, senza una serie di direttive concrete atte a produrre tale cambiamento, non è una soluzione, non è costruttivo, è solo illusorio e populista. Ci credo, seriamente, che gli intenti siano buoni, che il voto per il M5S sia stato dato e percepito come "voto per il cambiamento", ma non si può prendere una serie di belle idee su come dovrebbero andare le cose, schiantarla in un PDF e spacciarla per programma elettorale.Men che meno nel momento storico, economico, politico, umano in cui ci troviamo.Le persone, l'Italia ha bisogno di una concretezza di azioni tale da garantire manovre efficienti, dettagliate, che mirino ad obiettivi piccoli ma costanti. Una parola, lo so, mica ho detto che io saprei cosa fare. Dico solamente che il programma del M5S, pur nella sua nobiltà d'intenti, sembra non tener conto della realtà attuale dei fatti.
E' un bel proposito quello di destinare i fondi per la ricerca militare alla ricerca scientifica, prendi uno per la strada e chiedigli se preferisce donare dieci euro per supportare una cosiddetta "missione di pace" o destinarli alla ricerca sul cancro, e la risposta è spesso (e per fortuna) scontata.A nessuno piace l'idea di mandare militari armati in terre di guerra; si preferisce sorvolare sul fatto che l'unione europea è un'unione prima di tutto politica, un'aggrumaglia di equilibri basati su alleanze e belligeranze da cui non ci tireremo fuori, anche volendolo, in quattro e quattr'otto.E mi ci metto in prima fila a dire che questa cosa dà il voltastomaco, che c'è di che indignarsi ogni santo giorno, da non dormirci ogni singola notte, in qualunque angolo di mondo. E so anche che, volendo essere realisti, molte di queste spedizioni (statali, private, promosse da enti pubblici o associazioni misericordiose) non sono prive di secondi fini. Perché siamo 7 miliardi, perché il mondo è calibrato su una serie di disuguaglianze che non sono risolvibili fino a quando fa comodo che siano tali, perché lo diventano quando il premio in palio è una particolare alleanza, la stima e il sostegno da parte di Stati che hanno qualcosa che noi vogliamo, quando il bottino è una tribù del sud Africa da ammaestrare al cattolicesimo. E non voglio, con questo, mettere in dubbio il duro lavoro di organismi che davvero si occupano di fare da mediatore super partes o da spalla schierata in situazioni ben oltre la soglia ritenuta minima circa i diritti umani. Sono fermamente convinta sia sbagliato finanziare missioni di pace o cosiddette tali, ma ci vuole tempo per poter cambiare gli equilibri, i cardini, i presupposti di un Paese e delle sue alleanze; la mia è una presa di coscienza del fatto che l'unico modo per cambiare una situazione, per produrre un movimento sensato in direzione della costruzione di un nuovo e migliore equilibrio, è guardare alle cose come stanno. E noi, al momento, anche se sarebbe tanto tanto bello svegliarsi domattina e scoprire che non è così, noi non ce lo possiamo permettere di decidere in maniera completamente autoreferenziale come agire in materia di politiche estere. Siamo parte di una coalizione, un'unione che, avrà pur reso esponenzialmente più complessa la nostra organizzazione, la strutturazione delle nostre risorse (quando c'erano), la gestione dei processi decisionali in merito a questioni ultra nazionali, ma questa è la stessa coalizione che ci ha salvato le chiappe impedendoci, o comunque rimandando nella speranza di recuperare in corsa, il momento del tracollo. Non c'è ora una coscienza civile e sociale da parte della classe dirigente, figuriamoci ai tempi in cui si profilava l'ingresso nell'unione monetaria europea. Le mani bucate e poco pulite c'erano allora e ci sono ora, ma se fossimo rimasti con la cara vecchia lira, col cazzo che ne saremmo usciti vivi. Non che con l'euro siamo riusciti ad arginare il debito pubblico, sia chiaro, ma per lo meno non l'abbiamo fatto crescere quanto avremmo continuato a fare con la lira. La classe dirigente di allora (che poi, mica è tanto diversa da quella di oggi, ahinoi) non ha e non aveva la coscienza per autolimitarsi, amministrarsi; le riforme sulle pensioni mica sono venute per immmaccolata germinazione di coscienza, ma solo per riuscire ad incastrarsi nel piano regolatore dell'Euro. Poi, tutta una serie di cose è venuta a mancare successivamente, prove d'immaturità continue in cui abbiamo dimnostrato di non essere capaci di risanare un Paese che si avviava alla metastasi.Qualcuno (qualcuno tipo super economisti e quella roba lì, non mia zia Pina con la prima elementare e l'alluce valgo)  dice che se non fossimo entrati nell'euro, la bancarotta avrebbe fatto da maestra, con conseguente repulisti della classe dei governanti, che ci saremmo ripresi risalendo la china del gran canyon economico con una moneta autonoma che si sarebbe lentamente ripresa diventando più forte e crescendo in simultanea ad una classe dirigenziale più consapevole, capace e meno corrotta.Questa teoria mi trova abbastanza d'accordo, in maniera potenziale; c'avrebbe fatto bene una bella stangata, in un momento in cui pur nella tragedia di un tracollo finanziario, non avevamo ancora messo radici solide in patti, alleanze, accordi economici sulla libera circolazione delle merci etc.Ma è pura fantascienza.
C'è anche qualcuno che ora, nel suo non-programma, propone un referendum per uscire dall'euro. E se quella di cui sopra è fantascienza, questa qui è una puntata di Nightmare in complotto con la bambina dell'esorcista e le due Marchi (Vanna e Stefania).In un'ipotesi del genere, la svalutazione del nuovo conio è stimata tra 30-50% rispetto all'euro. Senza che nemmeno mi addentri nella questione debito pubblico (BOT, BTP in euro/nuova lira; come fare a pagare un debito che in questo modo risulterebbe, quando va bene, raddoppiato rispetto al potere d'acquisto della nuova moneta, ecc); seriamente? Un ritorno alla lira?  Ma stiamo scherzando? Ammesso e non concesso che ciò possa produrre una spinta propulsiva ai mercati interni, facendo da motore ad un'Italia industriale e industriosa, si può non tener conto anche del fatto che le varie agevolazioni per la libera circolazione delle merci, dei capitali e delle persone verrebbero meno? Io dico di no.Quando l'offerta diventa improvvisamente competitiva, in quanto lo Stato in questione può permettersi prezzi sensibilmente più bassi "grazie" alla svalutazione della propria moneta, la conseguenza difensiva più immediata è l'innalzamento di barriere, sottoforma di dazi doganali assai salati, anche da parte di chi fino al giorno prima sembrava tenderci la mano. D'altra parte, perché l'unione europea dovrebbe favorire uno stato secessionista che ha messo a repentaglio (quando non distrutto) l'unione monetaria europea? Agirebbe nel proprio interesse e farebbe bene. E questo no, non è fantascienza. E l'incubo della nostra economia in caduta libera, senza più alcuna mano che si prodighi ad agguantarla. Anzi, al massimo una pedata e via.A questo punto, è davvero pensabile uscire dall'euro? Uscirne vivi, intendo.Anche qui, io dico di no.
C'è da dire che il risultato del movimento 5 stelle manda un segnale evidente circa la voglia di cambiare completamente rotta, di riappropriarsi del proprio Paese, della sua economia, della sua classe politica. C'è anche da dire che, citando quel genio dell'analisi e della sintesi che è Curzio Maltese, quella di Grillo è una critica allo stato attuale delle cose, non un programma di risanamento. E la relativa vittoria di questo movimento, come i quasi equivalenti risultati delle altre due coalizioni, denunciano qualcosa di poco piacevole sull'elettorato italiano.Il 30% o giù di lì (sto percentualmente imprecisa, consentitemi l'approssimazione) di voti ricevuto dal PDL, dice che c'è uno zoccolo duro di elettori che non ha nemmeno bisogno di chiedersi se rinnovare o meno la fiducia ad un imbonitore, arrotino di riforme ad personam, caricatura grottesca  del peggio del peggio di ciò che l'italiano medio è diventato. Un po' per discepolismo e (inspiegabile) amore incondizionato, un po' di più per interessi personali e per quella sana aria di possibilismo corruzionista che si è respirata durante l'interminabile repubblica delle banane.Il 30% o giù di lì del PD dice, in parte che anche qui, il voto è stato dato - è il caso di dirlo- per partito preso, in quanto sinistra; in parte riconferma l'incapacità di coesione e guida unitaria di cui la sinistra soffre da molto tempo, altrimenti non si spiega come mai in un momento così critico per la destra, pochissimi siano stati i rifugiati politici che hanno chiesto asilo in cambio del voto alla sinistra.Il 30% o giù di lì del M5S racconta del malcontento montato negli ultimi decenni, di una classe idealista ma depoliticizzata, la cui mancanza di praticità è l'esatto risultato di menti intelligenti che hanno provato a costruirsi un proprio senso critico indipendente, dovendo crescere in seno a quel deserto culturale promosso dal nano in ogni luogo e in ogni lago; quel 30% o giù di lì che sa ancora indignarsi delle ingiustizie, che crede nella possibilità del cambiamento ma non ha capito che gli strumenti per combattere le ingiustizie, nel 2013, in una situazione come la nostra, devono necessariamente passare attraverso un minimo sindacale di strutturazione, di pianificazione, perché non basta manifestare con gli indignados e dirsi a favore dell'eliminazione dei privilegi alla classe politica perché si produca un cambiamento.
Non so come andrà, non so quanto questa mia visione delle cose sia imparziale e lungimirante; magari quel 30% o giù di lì del movimento 5 stelle sarà il perno su cui ruoterà una vera e propria rivoluzione, o magari no. Credo che per un po' non mi sarà facile dormire la notte. "Un po'" è un concetto di tempo vago e soggetto ad oscillazioni continue, nonché a prassi di rinnovo possibilmente molteplici. Probabilmente fino a data da destinare

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