Magazine Cinema
di James Demonaco
con Fan Grillo, Carmen Ejogo, Kiele Sanchez
Usa, 2014
genere, horror
durata, 103'
Se e’ vero che il Cinema, in particolare quello genericamente definito “spettacolare”, tende sempre più spesso a cibarsi della sua propria “carne”, riutilizzando all’infinito parti di se stesso per assemblare altrettanti “corpi”, non e’ detto che il prodotto ultimo di quest’immenso apparato masticatorio/digerente sia per forza uno scarto. Ne e’ prova, ad esempio, “Anarchia: la notte del giudizio”/”The purge: anarchy”, di James DeMonaco, prosecuzione più che ideale del precedente “La notte del giudizio”/The purge” (2013), sempre ad opera dello stesso autore.
Distopia ravvicinata (siamo nel 2023) inerente un “nuovo ordine” propagandisticamente sorretto dalla liceità concessa – almeno per dodici ore, una volta l’anno – di dare “sfogo” (“purge”, appunto, e relative affinità, tipo “epurazione” e “purificazione”) a qualunque tipo di compulsione criminale per, in teoria, concorrere a sradicarla dal fondo melmoso dell’animo umano, in realtà organizzato allo scopo d’instaurare una sorta di “darwinismo sociale” tanto sanguinoso quanto definitivo, “Anarchia…” supera di slancio sia l”impasse’ circa la riproposizione di un modello come semplice alternanza di variazioni minime su un’idea fortunata ma fragile, sia la resa incondizionata ad un meccanismo magari remunerativo ma di puro e semplice ricalco. E ciò soprattutto in ragione del fatto che DeMonaco ha con scaltrezza continuato a lavorare sulle regole base dei generi utilizzati, ora accentuando alcuni toni, ora comprimendone altri: operazione, a pensarci, tutt’altro che scontata e sovente trappola letale per un numero imprecisato di tentativi analoghi.
Restando ai punti di riferimento essenziali – “action” e “thriller” – “Anarchia…” oltre che a giovarsi dello spostamento del cuore dell’azione dal contesto suburbano/borghese a quello metropolitano/proletario (accorgimento che, da un lato – a parte trasformare la resa dei conti del primo film in una estenuante caccia all’uomo tra viali deserti e vicoli sordidi, figlia di un immaginario sterminato quanto, a suo modo, classico, vedi, per dire, i “guerrieri” di Hill – allarga la prospettiva visuale e radicalizza i temi portanti dell’opera rendendo più dilatata ma costante la suspense; dall’altro, rimestando nel gorgo di tendenze forse – ancora – minoritarie, comunque inconfessabili o sconvenienti, insinua il sospetto inquietante per cui la dissoluzione dell’attuale struttura delle società affluenti non e’ un noioso argomento da consesso internazionale ma una possibilità in avanzato stato di realizzazione, nei confronti della quale la sopra accennata collocazione “futuribile” rassicura come il celebre tappo a protezione della celebre diga), serra i ritmi del montaggio, impedendo alla tensione di calare sotto il limite di guardia; moltiplica i punti di vista insidiosi, facendo del luogo più insignificante una potenziale ultima spiaggia; fa aderire quasi senza tregua la mdp ai volti e ai corpi dei personaggi, consentendo la scansione sistematica del loro termometro emotivo; alterna e impasta sfumature di colori “allucinati” – lampi azzurrognoli, ocra opachi, grigi smorti, incarnati terrei, neri pieni – a sottolineare il progredire di un disastro – fisico, morale, civile – oramai non più incombente me ben dentro i fatti. Tale prassi consente così al film d’incardinarsi con decisione entro i binari di una partitura forse prevedibile ma serrata e pulsante, supportata anche dall’accorto ridimensionamento degli apporti dei sottotesti socio-antropologici (qui blandamente ribaditi, come a sancirne la pacifica – e sinistra – accettazione), nonché dalla sbozzatura elementare ma energica delle figure principali (l’antieroe laconico, efficiente e dal cuore non del tutto indurito; madre e figlia attrezzate da una vita marginale a resistere e a lottare; una coppia in crisi che troverà la forza per solidarizzare di nuovo) e dall’impatto poco più che accessorio della eterna contrapposizione ricchi/poveri con annesso leader carismatico vendicatore (questi ultimi, declinati in modi diversi, elementi di debolezza di entrambi i “Purge”).
Concisione, allora. Pochi fronzoli. Violenza secca, impietosa e minimi squarci aperti su un futuro chissà quanto ancora a portata di mano. Produce di nuovo la premiata ditta Blumhouse, sempre coadiuvata dall’alacre zampino di Michael Bay.
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