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Anatomia di una rinascita

Creato il 22 ottobre 2012 da Presidenziali @Presidenziali

Anatomia di una rinascita
Ali è un mezzo sbandato con figlio a carico e tendenza a fare a pugni con la vita. Stéphanie lavora con le orche in un acqua-park. Un giorno ha un incidente gravissimo e perde le gambe. Ali e Stéphanie sono due emarginati, anche se per motivi diversi. Tra loro, nascerà, una relazione, fatta di molto, molto sesso e apparentemente zero sentimenti. O forse, non è nemmeno una relazione. Jacques Audiard ci racconta una storia d’amore brutale, con il suo stile fisico, tattile, stando addosso ai suoi personaggi con la macchina da presa, non mollandoli mai. E senza nasconderci nulla della menomazione di Stéphanie. Gran film, che senza pretendere di replicare la densità narrativa di un capolavoro come Il profeta, ci racconta, l’incontro inconsapevole eppure necessario, tra due anime costrette a ridefinire i loro confini e le loro coordinate. Sarà ora di dire, dopo Un sapore di ruggine e d’ossa, che Audiard è, definitivamente, uno dei migliori autori europei della sua generazione, ormai un maestro. Il suo è un cinema materico, peculiare, inconfondibile, un cinema corporale, fisico, tattile, che rifugge da ogni astrazione e cerebralità e assillo psicologico, e si ancora e affonda, nell’evidenza delle cose, delle persone, dei fatti, di ciò che puoi vedere, toccare, mangiare, annusare, mordere. Anche ferire.Il film ci mostra Ali e Stéphanie e quello che li unisce, ce lo mostra ma non ce lo definisce quel legame, non lo immette in nessuna delle categorie che siamo abituati a usare. Questa loro storia non è propriamente amore, forse è sesso e basta, forse è solidarietà tra due che sono sfigati, forse è un patto di mutuo soccorso, forse è solo la collisione casuale di due sconosciuti, forse è l’intersezione di un attimo di due traiettorie destinate a separasi. Audiard trascina i suoi personaggi in una narrazione libera da ogni schematismo, capace di affiancare al dramma più straziante, un’inattesa ironia e una sensualità travolgente, perdendo (ma è perdonabile) qualche colpo quando si immerge quasi con spirito “sociale” nello sgradevole sottobosco del mondo del lavoro, riprendendosi poi del tutto quando colpisce i suoi protagonisti con lampi di epicità, coraggio, grandezza – segni di una straordinarietà già in nuce, ma ancora tutta da conquistare, sfidando la paura di sé e dell’altro. Il loro “racconto di formazione” è una terribile marcia a ostacoli che il regista organizza con perizia e un pizzico di sadismo: i personaggi sono messi costantemente e spietatamente alla prova, fino alle estreme conseguenze – ma non è tanto la meta a interessare Audiard, quanto il tragitto: alla fine del giochi, il proprio destino è scritto nelle ferite, nelle lacerazioni e nelle ossa rotte, memorie indelebili, sempre presenti, della strada percorsa per trovare (o ritrovare) la luce.L’uso degli effetti speciali, abbinato al realismo della messa in scena e alla predominanza della camera a mano, crea un contrasto che amplifica se possibile la magnifica prova di Marion Cotillard, struccata ed emaciata per gran parte del film eppure sempre incredibilmente magnetica; con il rischio di sminuire la performance del pur adeguato Matthias Schoenaerts che con i suoi muscoli e anche l’inespressività, lavora di corpo e scolpisce il suo Ali in modo sorprendentemente naturale. Inaudito e perfetto, persino commovente, l’uso espressivo nella colonna sonora, di “Firework” di Katy Perry, in una delle scene più intense e significative del film.
Voto: 7.5

Voto redazione
------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------Presidente: 7  |  Ang: 6.5

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