Nei giorni scorsi un gruppo di studenti ed ex-studenti della facoltà di Scienze della Formazione dell’ateneo Roma Tre hanno deciso, insieme con il sindacato studentesco “Ricomincio dagli Studenti”, di lanciare una campagna nazionale denominata “Anche io sono un educatore professionale” collegata ad una petizione con la quale vuole far pervenire le proprie richieste ai rappresentanti dell’attuale Governo.
Chi non ha dimestichezza con l’ambito delle professioni sociali avrà sicuramente difficoltà nel comprendere le motivazioni profonde di tale azione. Nelle righe che seguono cercherò di raccontarvi meglio la nostra storia, la storia di una giovane professione che negli ultimi anni ha visto calpestare la propria dignità ed ora ha deciso finalmente di rialzare la testa, senza pretese, per avere solo quello che gli spetta, un po’ di rispetto!
La nostra battaglia è cominciata così…:“Ciao, volevo chiederti un’informazione: io mi sono laureata in ‘Educatore Professionale di Comunità’, ma quando ho partecipato ad una concorso per la figura di Educatore Professionale presso un ASL sono stata rifiutata perché mi è stato detto che non ero in possesso di ‘titolo di studio abilitante’. Sai aiutarmi a capire come mai??”La figura dell’educatore professionale nasce nel secondo dopoguerra con l’obiettivo principale di curare l’educazione, la cura e l’inserimento/reinserimento sociale delle persone in stato di disagio e dei bambini rimasti orfani. Essendo spesso queste situazioni al confine tra l’area sociale e sanitaria, questa figura poteva lavorare in entrambi i settori, mantenendo comunque sempre il suo ruolo educativo.
Nel 1984, con un decreto noto come decreto Degan, questa professione viene riconosciuta ufficialmente e vengono stabiliti come percorsi adeguati per la sua formazione: diplomi universitari e corsi di formazione post-diploma. Alcuni anni dopo, con il decreto ministeriale 520 del 1998, la professione di Educatore Professionale viene nuovamente regolamentata e viene definita come “l’operatore sociale e sanitario che, in possesso del diploma universitario abilitante, attua specifici progetti educativi e riabilitativi, nell’ambito di un progetto terapeutico elaborato da un’equipe multidisciplinare, volti a uno sviluppo equilibrato della personalità con obiettivi educativo/relazionali in un contesto di partecipazione e recupero alla vita quotidiana; cura il positivo inserimento o reinserimento psicosociale dei soggetti in difficoltà”.
All’articolo 3 il decreto prosegue affermando che “le università provvedono alla formazione attraverso la facoltà di Medicina e Chirurgia in collegamento con le facoltà di Psicologia, Sociologia e Scienza dell’educazione”. Per essere chiari: la facoltà di Medicina e Chirurgia viene indicata come sede per la formazione di una figura professionale che attua progetti “educativi e riabilitativi” con “obiettivi educativo/relazionali” per curare il “reinserimento psicosociale dei soggetti in difficoltà”.
Proseguendo, nell’anno 2000/2001, il Ministero dell’Istruzione Università e Ricerca realizza una classificazione dei percorsi universitari in “classi di laurea”: il corso di studi per Educatori Professionali viene adeguato a quanto previsto dal suo relativo decreto istitutivo, passando dalla facoltà di Scienze della Formazione a quella di Medicina e Chirurgia. In questa occasione viene previsto quanto segue:
1- Da una parte, nasce la classe SNT/2, denominata “Professioni sanitarie della riabilitazione” nella quale rientra il corso per “Educatore Professionale”, attraverso il quale si consegue l’abilitazione per lavorare in qualsiasi struttura pubblica e privata, sia in ambito sociale che sanitario (inteso come ASL, SERT, strutture legate a disabilità/tossicodipendenza/malattia mentale, con possibilità di accedere ai relativi concorsi pubblici);
2- Dall’altra parte si definisce la classe 18, attualmente divenuta L19 in seguito ad una riforma del 2007, denominata “Lauree in Scienze dell’Educazione e della Formazione”. Nella prima definizione di questa classe di laurea il ministero sembrava lasciare spazio alla possibilità di ottenere l’accesso lavorativo all’area sanitaria, affermando che “i crediti minimi attribuiti all’ambito igienico-sanitario saranno elevati a 35 per corsi di laurea finalizzati alle attività di educatore professionale nell’area socio-sanitaria”. Nel 2003 però lo stesso Ministero interviene con un decreto dichiarando che queste tre righe costituivano in realtà un refuso e pertanto non erano da considerarsi valide. Ai laureati della facoltà di Scienze della Formazione non era quindi consentito lavorare nell’ambito socio-sanitario.
La scelta di identificare due classi di laurea e due rispettive “professioni”, distinte in ambito formativo e giuridico ma sovrapponibili poi sul piano del ruolo lavorativo concreto, ha causato una vera e propria discriminazione per i laureati classe 18/L19. Inoltre, identificare l’ambito sanitario come ambito di formazione principale per un educatore è errato anche sul piano “scientifico”: un educatore dovrebbe essere prioritariamente competente nell’ambito delle scienze ’educazione/formazione, non in ambito medico!
A tutto ciò si è aggiunto, inoltre, il mancato adempimento dell’articolo 12 della legge 328/2000, “Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali”, dove si indicava che “Con decreto del Ministro per la solidarietà sociale, da emanare entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, di concerto con i Ministri della Sanità, del Lavoro e della previdenza sociale, della pubblica istruzione e dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica, (…) sono definiti i profili professionali delle figure professionali sociali”. Come conseguenza della mancata regolamentazione delle figure professionali dell’ambito sociale attualmente l’assunzione di questo personale avviene a discrezione di ogni ente, senza bisogno di possedere necessariamente un titolo di studio attinente (tranne in alcune regioni in cui si è tentata, nei propri limiti, la regolamentazione di alcuni settori).
Una conseguenza importante di questa situazione non ben definita è legata al fatto che molte persone, anche dopo il 1998, hanno continuato a frequentare la facoltà di Scienze della Formazione senza sapere nulla di queste “controversie burocratiche”. Per fare un esempio: presso l’ateneo Roma Tre, il mio ateneo di appartenenza, nel 2001 è stato istituito il corso di studi in “Educatore Professionale di Comunità” (classe L19, ex 18). Nel nostro ordine degli studi si legge tuttora che dovremmo poter lavorare come educatori: “nelle strutture prescolastiche ed extrascolastiche, nei servizi per l’infanzia, per l’handicap, nell’area socio-sanitaria, presso ASL, strutture di ricovero, case di riposo, servizi predisposti da comuni e circoscrizioni”, sollecitando competenze come: “organizzare interventi a favore dell’autonomia, dell’integrazione dei soggetti con disturbi e difficoltà, dei soggetti migranti, della riduzione del disagio, del rischio sociale, nei reparti di pediatria, oncologia, nelle strutture per malati terminali ed affetti da Aids conclamato”.
Peccato che la legge ce lo impedisce, e lo testimonia l’esclusione di molti studenti di questo corso di studi che hanno partecipato a bandi di concorso rivolti alla figura di “Educatore Professionale” presso varie ASL del territorio italiano, “per non essere in possesso di titolo di studio abilitante”.
Questa realtà purtroppo è comune a molte facoltà di Italia ed è una realtà alla quale non riusciamo a trovare una giustificazione. Potremmo definirci, infatti, educatori “fac-simile”: rappresentiamo la matrice storica della figura dell’educatore ma dal 1998 siamo diventati un foglio senza valore e riconoscimento giuridico; solo l’educatore professionale della classe SNT/2 può considerarsi la “copia originale” (curioso ossimoro), firmata dal Ministero della Sanità.
Il mancato riconoscimento della nostra figura professionale ha fatto si, inoltre, che attualmente la retribuzione media per un educatore che lavori in ambito sociale si attesti intorno ai 5/6 € l’ora, con turni che spesso sono anche di 24 ore consecutive a causa della mancanza di personale. Lavorare nell’ambito della “relazione di aiuto” non è un gioco bensì una enorme responsabilità. Accompagnare una persona (sia essa un bambino, un adulto o un anziano) in un percorso di autonomia, instaurare una relazione educativa volta al raggiungimento del benessere psico-fisico di ogni individuo, non è cosa facile.
E’ per questo che come studenti e come rappresentanti di un sindacato studentesco (Ricomincio dagli Studenti) ci siamo sentiti in dovere di intervenire per chiedere alle istituzioni di darci il riconoscimento che ci spetta e tutelare tutti coloro che nel corso degli ultimi 15 anni sono stati tratti in inganno dal proprio ateneo di appartenenza. Lo scorso febbraio abbiamo scritto una lunga lettera aperta che abbiamo indirizzato a Michel Martone, viceministro delle Politiche Sociali e del Lavoro. Siamo stati contenti di aver ricevuto nei giorni scorsi una sua risposta in ci dice testualmente: “Nell’inoltrare, con la presente, la vostra istanza alla collega prof.ssa Maria Cecilia Guerra – Sottosegretario di Stato con delega agli affari sociali – auspico che il nostro Ministero possa concorrere a trovare una soluzione ai fini di uno sviluppo professionale, senza discriminazioni per i laureati della facoltà di Scienza della formazione e dell’educazione; soluzione certo importante per le tante persone che ricevono, quotidianamente, il frutto di un percorso formativo socialmente rilevante”.
Contemporaneamente ci è giunta anche la risposta del Rettore dell’ateneo Roma Tre ad un atto di diffida inviatogli alcuni mesi fa dal nostro legale, avvocato Michele Bonetti. In questa comunicazione l’ateneo afferma di essere in linea con quanto previsto dalla definizione della classe di laurea e pertanto di non essere in errore. A nostro avviso tale constatazione è insufficiente per due ragioni: in primo luogo, la definizione della classe di laurea L19 fa riferimento a sbocchi occupazionali nei servizi socio-sanitari “previsti dalla legge 328/200” che rappresentano pertanto una parte limitata dell’ambito socio-sanitario; in secondo luogo, nella definizione precedente della stessa classe di laurea (che ricordiamo essere stata valida tra il 2000 e il 2008) era stato specificato in maniera chiara di non poter accedere a tale controverso ambito lavorativo.
E’ per questo che nel mese di febbraio 2012, con il supporto dell’Unione degli Universitari e per opera dello stesso avvocato Michele Bonetti, Ricomincio dagli Studenti ha scelto anche di avviare un ricorso all’Antitrust (realizzato per la prima volta in merito ad un corso di studi), volto a dimostrare l’esistenza di pubblicità ingannevole per il corso di studi in Educatore Professionale di Comunità. Entro il mese di ottobre 2012 dovranno darci risposta.
Ma non vogliamo fermarci a questo. La nostra battaglia prosegue. E’ una battaglia di categoria, ma soprattutto una battaglia di giustizia! Sempre in collaborazione con l’Unione degli Universitari abbiamo scelto di creare uno spazio in cui raccogliere segnalazioni in merito a “lauree truffa” attivate in qualsiasi ateneo di Italia. Con la nostra petizione siamo riusciti a raccogliere 500 firme in pochissimi giorni.
Se condividi la nostra battaglia aiutaci a far sentire la nostra voce, firma anche tu!!
Se vuoi saperne di più su questa storia o se hai frequentato anche tu il corso per Educatori dell’ateneo Roma Tre e vuoi aderire al nostro ricorso, scrivici a [email protected] , hai tempo fino al 7 luglio 2012.
Se invece vuoi contattarci attraverso Facebook ci trovi con il nome: Rds Studenti Formazione