Fate memoria su come i media hanno trattato la figura di Sarah Scazzi. Al principio l’hanno descritta alla stregua di una puttanella: sotto la lente d’ingrandimento sono finiti il diario, i contatti su Facebook, le amicizie. Le fotografie che passavano sembravano ritrarre una giovane indossatrice, e per un po’ è stata prospettata l’ipotesi di un allontanamento volontario. Dopo la confessione dello zio e il ritrovamento dei poveri resti, stampa e televisione hanno invertito bruscamente la rotta, dipingendo a questo punto Sarah come una specie di martire.
I media sono dotati di un potere terribile: quello di attribuire etichette che possono trasformare concretamente l’immagine di una persona. Se i giornalisti chiamano “santo” o “mostro” qualcuno, l’etichetta prodotta avrà efficacia quasi indelebile sull’opinione pubblica.
Ma c’è un elemento ancora più inquietante. << Nella fascia oraria protetta, invocando il diritto alla cronaca e all’attualità, Rai e Mediaset stanno mandando in onda in questi giorni una vera e propria galleria degli orrori. Approfondimenti che sfiorano la morbosità sul penoso caso di Sarah Scazzi, corredati da descrizioni minuziose dell’omicidio, violenze, testimonianze shock di familiari e conoscenti. È una situazione francamente inaccettabile >>. Così affermava ieri Enzo Bianco, esponente del Pd.
Accadde la stessa cosa per la vicenda di Cogne. Eccitate dai media, schiere di curiosi armati di fotocamera si recano in questi giorni ad Avetrana in una sorta di pellegrinaggio voyeuristico. Tra loro e lo zio di Sarah, mi chiedo chi sia più matto.