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"But then I cancelled it," she said. "My publisher asked me to do it, but there's a point at which your life is not interesting, at least to me. I'd rather write fiction."
Quel che colpisce di questa affermazione non è ovviamente il rifiuto di scrivere un'autobiografia, quanto piuttosto la motivazione, ovvero lo scarso interesse che, a suo dire, la vita di Toni Morrison rivestirebbe.Non sono un'esperto del premio Nobel '93, avendone letto solo L'occhio più azzurro, il suo primo libro, e Canto di Salomone (che soprattutto mi sento di consigliare), e non dunque il celebrato Amatissima, o Jazz. Si tratta tuttavia di romanzi che narrano storie profondamente intrecciate all'infanzia, o comunque al contesto sociale d'origine dell'autrice. Da cui, quindi, non pare chiara, a tutta prima, l'affermazione che segue:
"People say to write about what you know," she told students in Oberlin. "I'm here to tell you, no one wants to read that, cos you don't know anything. So write about something you don't know. And don't be scared, ever."
Toni Morrison avrà i suoi buoni motivi per concentrarsi sui romanzi, cosa che del resto mi sento di caldeggiarle. Forse scrivere un'autobiografia le sembrerà come stendere il libro tratto dal film, o qualcosa del genere.
Un detto cinese mette in guardia contro la maledizione di vivere in "tempi interessanti". In fondo è meglio aver poco da raccontare. E così, affermare lo scarso interesse della propria vita, può essere un modo per sfuggire al facile gioco di ridurla ad una delle tante varianti di un certo fenomeno o tipo (nel caso di Morrison, forse il rischio di ridurre tutto alla discriminazione razziale in America). Oppure è piuttosto lo sforzo di sottrarsi al dovere di dar conto di sé per scomparire più o meno completamente dietro i propri scritti. L'autore non ha altra biografia che la propria bibliografia, il suo lavoro a tavolino. Ciò mi ricorda sempre la frase con cui Heidegger liquidava l'introduzione biografica ai suoi corsi su Aristotele: "Nacque, lavorò e morì". Magari Morrison vuol parteggiare per questo punto di vista.Il rifiuto di raccontare la propria vita (che non sia in questione solo una biografia purchessia ma una autobiografia vorrà pure dir qualcosa) mi interroga però, è sto chiaramente uscendo dal caso-Morrison, sulla possibilità oggi di scrivere ancora biografie."Al tempo dei social network", si potrebbe aggiungere. Banalmente, perché la questione appare un po' più complessa. Sì, certo si può porre il problema nei termini della saturazione di informazioni su di sé che riempie Facebook e compagnia, che renderebbe impossibile l'atto di dare ulteriormente conto del proprio vissuto e soprattutto ciò che, per certi versi, rende attraenti le biografie, il fatto che contengano delle rivelazioni. Rimane ancora, in questo contesto, qualcosa da rivelare? Ma non è questo il punto.Più interessante mi pare chiedersi se possa ancora esistere la biografia come genere letterario con una sua struttura, un suo sviluppo e solidità o se, di fatto, questo sforzo interpretativo non solo sia diventato impossibile, ma soprattutto vano. Se esiste ancora un fondo che il racconto può scavare o se l'esposizione non l'ha reso vacuo. In questo senso l'attenzione posta da Benjamin alla messa a repentaglio della narrazione per la diffusione esponenziale ed epidermica di un altro genere, quello della notizia divulgata dai mezzi di comunicazione di massa potrebbe essere vista quantomeno alla luce di questo particolare genere di narrazione, la biografia. In un certo senso ha quindi ragione Morrison: forse le nostre vite saranno troppo poco interessanti per essere raccontate ancora una volta.
da TEMPI FRU FRU http://www.tempifrufru.blogspot.com
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