Se il candidato sindaco sarà come alcuni dicono Gianluca Galimberti non sarebbe una cattiva idea, per il centrosinistra. Ben si comprende che oggi non c’è dialogo a Cremona tra Rivoluzione civile e Pd, mentre Sel parla purtroppo poco. Molto meglio una persona educata, colta e giovane che il solito squalo o il furbastro navigato dal ghigno di falco. Poi è il progetto di città che conta. Si può anche ben dire che per diventare leader politici c’è tempo, ma di leaderismo spinto se ne ha anche abbastanza. Si finirà per avere altri candidati sindaci a sinistra. Il centrosinistra deciderà con primarie aperte. Ovviamente tutti rimandano il discorso a dopo le elezioni, ma previdentemente due anni prima del voto ci si prepara: nulla di strano. Sarà un apripista? Intanto ci si pensa prima senza esagerare con i misteri di partito.
Il prof Galimerti introduce la serata parlando di povertà, di necessità di partire dagli ultimi (era il tema dell’incontro di lunedì scorso), indicando anche la tecnologia al servizio di un progetto complessivo che evidentemente non escluda nessuno. A questo serve la Smart city, ovvero la città intelligente, che può rendere disponibili i servizi con l’uso di internet anche via cellulare, non solo tablet e computer. Il titolo dell’incontro pubblico è: “La parola ricercata e le parole della bellezza. Museo: luogo di conoscenza, memoria, immaginazione”.
Franco Verdi, ex presidente di Cremona Solidale oltre che preside in pensione e conduttore della serata in saletta Mercanti, ha affermato in apertura che la dotazione cittadina “è ricca e poco conosciuta. Nemmeno è facile ricordarli a mente tutti i musei di Cremona: quello stradivariano, archeologico, laurenziano, berenziano…. Il museo doveva servire a conservare i tesori del passato dal furore dei giacobini, o ci si deve difendere da altri furori, ma la dotazione di risorse da parte dello Stato è insufficiente (il ministero della cultura dispone solo di 1,2 miliardi di euro, 200mila per i musei), mentre la frequenza media dei visitatori dei musei è di cinque al giorno”. In Italia reggono quindi solo cinque grandissimi musei, che contano un milione di visitatori all’anno.
E allora, continua Verdi “bisogno far conoscere i musei, resistituire loro l’elemento vitale di apertura al territorio, alla ricerca, alla maggiore fruizione possibile”.
E questo vale che esista o no il museo del violino. L’impegno del Pd è marcato: oltre a Verdi premono le presenze Daniele Bonali, Paolo Bodini, Luca Burgazzi. Non manca Roberto Vitali (identità politica tra Udc e Perri, tra espulsione e appelli perristi).
La responsabile del sistema museale cittadino Ivana Jotta, dirigente comunale, ricorda che la normativa definisce i luoghi della cultura e che l’obiettivo non è “solo la promozione e valorizzazione, ma soprattutto quello della fruizione, aperta a tutti, al pubblico più ampio possibile”. Lamenta poi, la dirigente che “negli anni sono state ridotte le ore di lezione di storia dell’arte e le ore di insegnamento della musica e che quindi viene messa in difficoltà la diffusione di una cultura trasversale nel Paese. Il ruolo del museo non deve sovrapporsi ad altri compiti istituzionali, guardando però con attenzione al mondo dei giovani, al rapporto con le scuole, gli istituti di ricerca, le associazioni universitarie, e ha anche favorito, con i propri documenti, la stesura del PGT comunale”.
Osservazione peculiare di Ivana Jotta: “Finche il sistema non ha un raccordo si rischia di lavorare a vuoto”.
E Franco Verdi lo sottolinea che il lavoro di rete è il “tema focale”. Brucia, brucia questo tema, forse costerà anche da pazzi dopo il dono misterioso di Arvedi.
Don Andrea Foglia, parroco di Sant’Abbondio e responsabile del museo lauretano e dell’archivio diocesano, ha aggiunto che “oggi il valore del tempo si perde nella cultura giovanilisitica. Il passato, la sua tutela e valorizzazione in una prospettiva che intende consegnare le opere d’arte del passato alle nuove generazioni si smarrisce. In varie città si apre addirittura il museo della tortura per motivi turistici, oppure si fa la fila per vedere due opere del Canova neppure tra le principali, mentre Brera, che conserva capolavori strepitosi resta mezzo vuoto. Si organizzano molte mostre che non servono, fanno anche flop, occorre un approccio nuovo quindi al tema del museo per rivolgersi ai cittadini, a masse di cittadini”.
Come fai a non essere d’accordo? Don Foglia arriva a citare quella Pietà del cremonese Bernardino Gatti esposta sopra i gabinetti del Louvre: e chi la guarda in quei drammatici momenti di solitudine e fragilità umana? Il responsabile dell’archivio diocesano racconta anche d’aver visitato Lens, dove in una zona povera e poco turistica, il Louvre ha aperto una sede con 200 opere tratte dall’allestimento stabile, non dal magazzino, “disposte in modo da favorire psicologicamente la fruizione”. Ma il museo ecclesiastico è diverso quindi attenzione a non irretire troppo la Chiesa nel lavoro di rete: “Dovrebbe essere il luogo della fede, non della cultura o dell’arte. Il museo ecclesiastico non può essere come quello laico, non è la stessa cosa. Bisogna mostrare che cosa l’arte ha saputo insegnare trasmettendo i contenuti della fede cristiana, con l’impegno di costudire, promuovere e valorizzare la conoscenza”.