Dopo l’articolo sull’annuncio della morte e il ripercorrere della sua vita e della sua carriera politica, ecco un ritratto della figura di Giulio Andreotti.
Giulio Andreotti con alcuni leader del G7, foto white house
“Ei fu”, direbbe il Manzoni, la cui poesia si potrebbe del tutto attribuire a Giulio Andreotti salvo che per un giorno: è infatti il sei di maggio il giorno in cui muore probabilmente la figura politicamente più centrale della Prima Repubblica, un gigante di influenza che che ha solcato un tratto tanto profondo sulla storia politica italiana quanto controverso.
Non solo sette volte Presidente del Consiglio, otto volte Ministro della Difesa, cinque volte degli Esteri, ministro del tesoro, del bilancio, dell’industria; anche sottoposto a giudizio, processato, prescritto. Ed anche condannato, in tarda età, per quella che in fondo, confrontata alle altre accuse che gli sono state rivolte, è una piccolezza: nel 2010 diffamò un giudice, dandogli dell’”autore d’infamie” e del pazzo. Andreotti sopravvive a decine di persone, a decine di capi di stato ed a otto papi, sì, ma anche a banchieri, generali, giornalisti. E con alcuni ebbe rapporti più stretti che con altri.
Quel che resta della figura di Andreotti, tra mille verità che non si sapranno mai, è la certezza che un intero paese è stato plasmato anche e soprattutto dalla sua volontà per un cinquantennio, e oltre. Se tutti i suoi atti furono tesi al bene comune questo non è dato sapere; di certo, la sua statura politica è inconfrontabile con quelle cui siamo abituati oggi.
Un vero uomo politico, e forse non molto più di questo: un efficiente e machiavellico amministratore.
Di fronte a ciò che può far venire in mente pensare ad Andreotti, memorabile e d’aiuto può essere ricordare la famosa scena del Divo, in cui un più giovane Eugenio Scalfari intervista Andreotti e lo pone dinnanzi a numerose questioni che lo riguardano: questioni dubbie, torbide, compromettenti ed inadatte ad un uomo politico che ricerca il bene collettivo e che vive tutta la sua esistenza dentro la politica italiana. Andreotti risponde semplicemente: “è un po’ più complicato di così”.
“Di feste in mio onore ne riparleremo quando compiro cent’anni”, aveva detto. E infatti per lui, che ci lascia ad anni 94, non resta che il silenzio.
Articolo di Giacomo Conti