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ANNI ’90, il Blues oltre il Grunge

Creato il 17 febbraio 2012 da Restoinascolto

ANNI ’90, il Blues oltre il Grunge
Eppure gli inizi degli anni ’90 non furono solo pane e grunge. Il vecchio e caro blues ebbe un sussulto d’orgoglio davvero impetuoso, tra colpi di coda dei classici, una volta di più alla ribalta, capaci di aggiungere ancora qualche fregio alla lunga e gloriosa carriera e le nuove leve, in grado di riappropriarsi del blues e rilanciarlo, dando nuova luce ad uno stile mai troppo logoro. Non è questo post una disanima accurata e critica della materia, anche (soprattutto) perchè non ho un bagaglio culturale sul blues tale da consentirlo, ma solo il desiderio di dare voce a qualche bel ricordo del passato, per cui vado un po' a memoria, un po' aiutato da qualche ritaglio di giornale ben conservato.
Tra gli evergreen di un certo calibro da ricordare John Lee Hooker uscito nel 1991 con l’album Mr. Lucky, disco che fa il paio con il notevole The Healer di 2 anni prima e la collaborazione (tra gli altri) con Miles Davis nella colonna sonora del film The Hot Spot del ’90 di Dennis Hopper. Stesso anno, il ’91, altro disco blues degno di menzione, quello di Buddy Guy, God Damn I’ve Got the Blues, nero e sanguigno, con qualche cover ben riuscita come Mustang Sally e ospitate d’eccezione quali Jeff Beck ed Eric Clapton. Un'accoppiata formidabile si formò nel ’94; quella di Cooder/Toure, ovvero il blues del deserto americano unito a quello del Mali, che in 3 giorni registrò l’album Talking Timbuktu, “tra l’evocazione di un mondo antichissimo e la sapienza musicale di un artigiano sopraffino come Cooder”. L’anno successivo, invece, nel 1995, il bluesman Gary Moore rende omaggio al suo idolo, il chitarrista dei Fleetwood Mac, Peter Green, re-interpretando alcuni suoi classici, in un disco che molti reputano il suo migliore di sempre, Blues for Greeny. In tema di cover non potevo non rispolverare il progetto Hindu Love Gods, ovvero ¾ dei REM insieme alla catramosa ugola di Warren Zevon: un disco che è un treno senza fermate, (forse una, quella della cover tiratissima di Raspberry Beret di Prince) che parte da Robert Johnson, Bo Diddley passa per Muddy Waters e arriva a Woody Guthrie. Si arriva a destinazione senza esserci nemmeno accorti dei territori puntellati dalle canzoni. Grande e unico, purtroppo.
Si diceva della riappropriazione del blues da parte delle nuove generazioni. I primi 2 ottimi esempi che mi vengono in mente sono quelli di Ben Harper e della Jon Spencer Blues Explosion: entrambi con un paio d’album iniziali di notevole spessore, Welcome to the Cruel World [1994] e Fight for your Mind [1995] per Harper e Orange del ’94 e Now i got Worry del ’96 per Jon Spencer. Due interpreti "estremi", che hanno letteralmente scarnificato il blues in maniera differente e autentica: Ben Harper, privilegiando il suono acustico e ancestrale del blues, mentre Jon Spencer “ha rimestato le acque scure del Mississippi…un ciclone che spezza, spacca, rompe e dissemina schegge rumorose in ogni dove…ciò che rimane del blues è, oltre al nome della band, un pretesto che fa rima con esplosione”.
Dopo gli inizi, però, non sono riuscito più a seguirli. Qualche buono spunto in ognuno dei riettivi lavori successivi, ma pressoché copie fotostatiche di quanto già fatto sentire.
E infine un omaggio a due perdenti-nati ...  e morti, troppo presto. Giusto il tempo per un paio di album per John Campbell, natio della Lousiana, per ottenere unanimi apprezzamenti da critica e pubblico in tutto il mondo già a partire dall'esordio di  One Believer del ’91 e seguito, a due anni di distanza, dal secondo Howlin’ Wind, che ha in se due classici magistralmente reinterpretati quali When the Leeve Breaks dei Led Zeppelin e Down in a Hole di Tom Waits, resa, se possibile, ancora più scura dell’originale. Poi, a 41 anni, il cuore già sofferente, ha smesso di battere, privando la scena blues di un possibile e duraturo protagonista.       Carriera simile è toccata a Chris Whitley, il quale ha avuto “la fortuna” di incidere qualche album in più di Campbell, ma senza mai toccare i vertici dell’esordio Living with the Law: “denso, scuro, psichedelico. Pieno di sentimento di cui è fatta la musica delle origini…fatto di ballate difficili, visioni di città di frontiera, il senso oscuro del profondo sud, i silenzi misteriosi del Mississippi, il lamento di una musica che viene direttamente dall’anima in un’atmosfera notturna che sembra resuscitare il fantasma oscuro di Robert Johnson”.   In Thelma & Louise si può ascoltare Whitley che esegue la bellissima  Kick the Stones nella scena hot del film con un giovanissimo e bravissimo Brad Pitt.   Curioso ricordare come entrambi,  Whitley e Campbell, abbiano seguito più o meno lo stesso percorso artistico e di vita, accomunati, infatti, dall'esordio avvenuto lo stesso anno, dalla bravura nell’uso della loro chitarra, la National e dalla prematura scomparsa (Whitley a causa del cancro). Tanto si sa, quando si parla di blues, si parla di musica del diavolo e volenti o nolenti (ma anche dolenti in questo caso) il pensiero al tristo mietitore corre ... sulla schiena e sulla sua falce. That's all! Il mio testamento per questo week-end è stato firmato. Ci ritroviamo la prossima settimana. Un abbraccio.
John Campbell - When the Leeve Breaks


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