Antilamentation
Regret nothing. Not the cruel novels you read
to the end just to find out who killed the cook.
Not the insipid movies that made you cry in the dark,
in spite of your intelligence, your sophistication.
Not the lover you left quivering in a hotel parking lot,
the one you beat to the punchline, the door, or the one
who left you in your red dress and shoes, the ones
that crimped your toes, don’t regret those.
Not the nights you called god names and cursed
your mother, sunk like a dog in the livingroom couch,
chewing your nails and crushed by loneliness.
You were meant to inhale those smoky nights
over a bottle of flat beer, to sweep stuck onion rings
across the dirty restaurant floor, to wear the frayed
coat with its loose buttons, its pockets full of struck matches.
You’ve walked those streets a thousand times and still
you end up here. Regret none of it, not one
of the wasted days you wanted to know nothing,
when the lights from the carnival rides
were the only stars you believed in, loving them
for their uselessness, not wanting to be saved.
You’ve travelled this far on the back of every mistake,
ridden in dark-eyed and morose but calm as a house
after the TV set has been pitched out the upstairs
window. Harmless as a broken ax. Emptied
of expectation. Relax. Don’t bother remembering
any of it. Let’s stop here, under the lit sign
on the corner, and watch all the people walk by.
Antilamento
Non pentirti di nulla. Non delle storie crudeli che dovevi assolutamente finire
soltanto per scoprire chi aveva ammazzato il cuoco.
Non dei film scipiti che ti facevano piangere al buio,
nonostante la tua intelligenza, il tuo essere così sofisticato.
Non dell’amante che mollasti tremando nel parcheggio di un albergo,
quello fregato sul filo di lana, sulla porta, oppure quello
che aveva lasciato te, nel tuo vestito rosso e con le tue scarpe rosse,
quelle che ti schiacciavano le dita, non ti pentire neanche di quelle.
Non di quelle notti quando bestemmiavi e maledicevi
tua madre, in sala, come un cane accucciata sul divano,
mangiandoti le unghie,annientata in solitudine.
Eri proprio fatta per respirare queste notti piene di fumo
insieme a una bottiglia di birra tiepida, di scopar via anelli di cipolle fritte
dal pavimento di un lercio ristorante, fatta per indossare il cappotto
sdrucito con i bottoni pendenti, le tasche piene di cerini bruciati.
Hai camminato su queste strade migliaia di volte e ancora
sei qua. Non pentirti di nulla, non di un solo giorno
sprecato, quando non ti importava nulla di nulla e
quando le luci del corteo di carnevale
erano le sole stelle in cui credevi, e le amavi
proprio per la loro inutilità, quei momenti,
quando non volevi proprio essere salvata.
Sei arrivata fin qui sul dorso di ogni errore,
viaggiando con occhi scuri, ostinata, ma calma come una casa
quando finalmente si è buttato il televisore fuori dalla finestra.
Innocuo come una scura rotta. Vuota di
aspettative. Rilassati. Non stare a ricordare
tutto ciò. Fermiamoci qua, all’angolo,
sotto le insegne luminose a guardare quelli che passano.
Traduzione di Adelmina Albini e Stefanie Golisch
La fotografia è di Diane Arbus