La conoscenza di un paese passa anche attraverso la conoscenza della sua tavola. Per chi viene in Italia, questo concetto vale forse ancora di più, date le innumerevoli eccellenze alimentari di cui ci possiamo vantare. Tra di esse, l’alta salumeria è sicuramente un fiore all’occhiello del nostro paese, per qualità e diversità, considerato che ogni regione ha almeno un prodotto fregiato di marchio DOP o IGP.
L’arte di far salumi, però, non è cosa recente, bensì risale alla notte dei tempi, ma allora era per uso esclusivamente personale. Solo in epoca etrusca (e siamo intorno al V sec. a.C.) possiamo vedere una prima “produzione” destinata al commercio, cosa che si affinò e stabilizzò in epoca romana, quando la coscia di suino cominciò ad acquisire un valore importante per la sua commercializzazione e per il suo essere protagonista durante i fastosi banchetti. Di lì alla realizzazione di veri insaccati agevolati dall’utilizzo del sale per la conservazione e delle spezie per l’aromatizzazione il passo è breve, sebbene per parlare dei primi veri laboratori alimentari bisognerà aspettare il XIX secolo.
Passeggiando però, tra i vicoli dei paesini più caratteristici e pittoreschi italiani, vi sarete sicuramente accorti della presenza di piccole botteghe, chiamate norcinerie. Questo termine fa riferimento all’antica figura del norcino, che tra il XII e il XVII sec. si accreditò come uno dei mestieri più importanti legato a corporazioni e confraternite, perfino sostenute dall’appoggio del Papato. Si trattava di una professione particolare, comunque, considerato che il maiale veniva ucciso una volta l’anno e non esistevano ancora tecniche di conservazione della carne adeguate. Solitamente si trovavano così a dover lasciare le loro città (Norcia, Cascia, Firenze e Roma) agli inizi di ottobre e a tornarci verso la fine di marzo, dove poi riprendevano i loro lavori di giardinaggio o vendita o lavorazione della paglia, in attesa di un nuovo ottobre.
La figura del norcino ha iniziato a scomparire dopo la II Guerra Mondiale, con l’avvento dell’industria alimentare, ma nelle città e nei paesini rinomati per i loro salumi da sempre, non è difficile trovare ancora chi realizza questi prodotti con i metodi antichi. Regioni come l’Emilia Romagna, la Toscana, l’Umbria e il Lazio, grazie alla loro terra e al loro clima sono le regioni che maggiormente legano la loro fama a questi prodotti, i quali, peraltro, trovano nel vino locale lo sposo perfetto!
Tra i salumi a marchio DOP spiccano: la coppa Piacentina, il Culatello di Zibello, il Lard d’Arnad (Val d’Aosta), il Prosciutto di Parma, il Prosciutto di San Daniele, i Salamini Italiani alla Cacciatora e la Soppressata Calabrese. Tra quelli IGP, invece, la Bresaola della Valtellina, il Ciauscolo, il Lardo di Colonnata, la Mortadella Bologna, la Porchetta di Ariccia, il Prosciutto di Norcia, il Prosciutto di Sauris e tanti altri ancora.
Se adesso vi è venuta una voglia irrefrenabile di pane e salame, sappiate che domani, l’Istituto Valorizzazione Salumi Italiani organizza a Reggio Emilia un aperitivo di degustazione gratuito dal nome SalumiAmo presso lo spazio Gerra, in occasione della 52esima Rassegna Suinicola Internazionale che si terrà dal 18 al 20 aprile. Quindi non resta che dirvi… pancia mia fatti capanna!