Gioie, e una piccola bellissima anteprima da carusopascoski per tutti i musicofili e curiosi.
A Napoli in primavera si terranno una serie di iniziative in omaggio a Luciano Cilio e le avanguardie musicali tra gli anni ’70 e ’80 organizzate da KONSEQUENZ, rivista di studi sulla musica contemporanea su cui ho avuto l’onore di pubblicare due miei scritti su due diversi numeri. Tra queste, segnalo un disco – APPRODI. Avanguardie musicali a Napoli con la regia di Girolamo De Simone e la collaborazione di tanti e grandi musicisti. C’è poi un intruso tra i suonatori, e sono io, che apro il disco con una mia poesia tratta da “Ho parlato alle parole” e dedicata proprio a Luciano Cilio, artista misconosciuto di una Napoli inclassificabile che si muove ancora ai margini ed influenza i più grandi musicisti internazionali, “un artista così poco pacificato da non aver saputo trovare conciliazione con una scena musicale stretta tra accademie ancora chiuse e cieche e sorde e movimenti giovanili che correvano troppo in fretta per accettare riflessioni profonde e rischiose. E De Simone espande lo spazio delle sue riletture, consapevole di una triste realtà, «l’assenza quasi totale di spartiti leggibili, ragione per la quale essa può essere oggi eseguita soltanto da chi la suonò allora, quindi solo da Eugenio Fels e da me, in versioni necessariamente ”personalizzate”». I quattro quadri, l’interludio», lo studio per fiati, i nove minuti e passa di «Della conoscenza» si ripresentano sotto forma di suoni insieme sognanti ed inquieti. Pianoforte, chitarra, vocalizzi, percussioni che oggi diremmo etniche. Cilio oltre al piano suona flauto, basso, mandola. Tony Esposito è alle percussioni, Bob Fix al sax soprano, Patrizia Lopez alla voce, Peppino Romito all’oboe e il corno, Elio Lupi al violoncello, Paolo De Simone al contrabbasso, Pippo Cerciello al violino. Qualcuno ha riscoperto queste musiche quando la rivista londinese «The Wire» le inserì in una sua antologia, molto ha fatto l’interesse di uno sperimentatore come Jim O’Rourke (passato dai Sonic Youth alla produzione dei disco dei Wilco), che parla di un lavoro che viene da anni Settanta capaci di essere «sperimentali davvero ma meno accademici di quanto ci si possa aspettare». Suoni classici, minimalisti eppure prog, folk che stava per diventare world music convivono come per necessità. «Un autentico testamento emotivo, qualcosa da tenere a cuore», dice O’Rourke, ambientando il lavoro in quell’avanguardia italiana anni ’70, tra Area, il primo Battiato e le sperimentazioni vocali di Alan Sorrenti, risposta italiana a Tim Buckley (sì, il papà di Jeff), alla cui corte trovarono ospitalità le percussioni e le padelle di Toni Esposito. Nel riascoltare quel testamento emotivo vengono in mente Third Ear Band e Popol Vuh, O’Rourke sente in esso la «necessità» del debutto dei This Heat, di «Time of the last persecution» di Bill Fay, di «In noise» di Tenno, di un capolavoro meno di nicchia come «Pink moon» di Nick Drake. Un esorcismo che trent’anni dopo non suona superato. «Dialoghi del tempo presente», appunto. Schegge «Dell’universo assente».” (da un articolo uscito su Il Mattino firmato da Federico Vacalebre)
“Erano gli struggenti anni Settanta, e la napolitudine invadeva le classifiche discografiche. Luciano Cilio, un giovane che aveva collaborato con il Teatro Esse come attore e come musicista, decideva di tentare una performance doppia lungo le rive della Senna, con sitar ed altri strumenti. Proveniva dal sitar e dalla chitarra, ma suonava un poco anche il pianoforte. Aveva partecipato ai primi lavori di Alan Sorrenti, giungendo ad essere stimato anche nell’ambiente musicale degli orecchianti, o dei talenti non inscatolati nelle rigide partizioni tipiche della musica classica doc. Nel 1971 incideva alcuni brani nello studio del mitico Shawn Philips, per strumenti tradizionali o ancora per sitar. Cercava evidentemente di raggiungere e formare a sua volta il pubblico dei giovanissimi. Un pubblico per una nuova musica, davvero mai ascoltata, che Cilio affermava di sentire e perseguire seguendo l’utopia, coniata da altri, di una musica del futuro al di là “della retorica delle fabbriche occupate”, delle barriere accademiche di cui si era stufato. Finalmente, nel 1977, riusciva a pubblicare un disco per la Emi italiana, vendendo pochissime copie, ma raccogliendo l’adesione entusiastica dei critici e dei colleghi della musica cosiddetta ‘colta’. L’album, con brani di una bellezza struggente ed insuperata, si chiamava Dialoghi del presente, un presente rappresentato da chi aveva già raggiunto la consapevolezza che la fase inespressiva dello sperimentalismo era finalmente morta, e che sia Cage che Boulez erano eroi da superare. Dopo di allora, una serie di fortunate rassegne musicali, con l’ingresso nelle sale da concerto tradizionali, e la partecipazione ai più importanti dibattiti culturali della sua città, Napoli. Poi lo storico concerto per Demetrio Stratos di Milano. Inaspettata, nel 1983, la morte, giunta all’apice della carriera, ma anche al culmine di una fase della sua produzione assai prossima al silenzio. Da allora, Napoli ha dapprima tentato debolmente di commemorare il geniale compositore, poi l’uomo di cultura, invano. Ancora oggi tutto tace, eccettuate le poche iniziative prese da chi gli fu amico, lavorando con lui e conoscendolo. Un’altra scommessa perduta da una città che arrogantemente ritiene di essere una capitale della cultura.”
(Girolamo De Simone, e per chi ne volesse sapere di più segnalo il libro a sua firma su Luciano Cilio, Luciano Cilio mi disse…)