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Appunti sul “Caso Amicizia”

Creato il 15 giugno 2012 da Tanogabo @tanogabo2

Il cosiddetto “Caso Amicizia” è una storia tanto controversa quanto interessante. Le vicende sono ricostruite nel libro dell’ingegner Stefano Breccia, “Contattismi di massa“, in cui sono descritti presunti alieni, gli Akrij, approdati in Europa nel 1956 e, in seguito ad una sconfitta subìta per opera di extraterrestri a loro ostili, i Weiros, costretti a smobilitare ed ad abbandonare, nel 1978, le loro basi, di cui la più importante costruita nel Mar Adriatico.
Appunti sul “Caso Amicizia”Gli Akrij o W56 avrebbero contattato decine di Italiani che collaborarono con i visitatori, intenti a promuovere il progresso spirituale dell’umanità. Il saggio di Breccia, oltre a fornire informazioni inedite sul celeberrimo “Caso Ummo“, rivela le straordinarie vicende vissute da un gran numero di persone, in Italia, in Svizzera, Austria, Germania, Francia, Cile, Argentina, Unione Sovietica… Sebbene l’intera storia sia stata ritenuta una volgare montatura da alcuni ricercatori, come Carlo Sabadin - siamo dispiaciuti per la sua prematura scomparsa, ma saremmo ipocriti, se non lo definissimo il peggior ufologo del nostro paese – alcune connessioni ed anticipazioni ci inducono a reputare che le avventure di Bruno Sammaciccia e dei suoi sodali contengano esperienze ed informazioni degne di essere verificate ed approfondite.

Appunti sul “Caso Amicizia”
E’ vero che il volume di Breccia ha ottenuto l’imprimatur di Roberto Pinotti, sommo pontefice della C.U.N., Chiesa ufologica nazionale, ma questo non è un buon motivo per ignorare gli scenari prospettati da “Amicizia”.

Di recente il “Caso Amicizia”, a lungo ignorato sia in Italia sia all’estero, è stato scoperto, grazie alla pubblicazione del documentario inerente su Tanker Enemy TV, negli Stati Uniti dal regista e ricercatore David Wilcock.

Wilcock è da taluni reputato figura non molto affidabile, perché tende a sminuire oppure a trascurare la portata delle cospirazioni ordite dalla Cabal. Bisogna, però, riconoscere che, in questi anni, ha compiuto un lavoro monumentale nell’ambito della scienza di frontiera con cui si stanno aprendo nuove prospettive per tentare di comprendere il mondo fenomenico.

Appunti sul “Caso Amicizia”
L’interesse in Wilcock per “Amicizia” è stato solleticato da alcune corrispondenze che egli ha rintracciato con analoghi aspetti e fatti occorsi altrove e in questi ultimi decenni: testimonianze di contattisti statunitensi (Adamski ed Angelucci in primis), il sabotaggio di ordigni nucleari per opera di presunti alieni, soprattutto l’opportunità di un salto evolutivo per l’umanità.

E’ pacifico che l’intera storia con i suoi addentellati nella casistica posteriore, dev’essere presa con le classiche pinze. Siamo anche lontani dai facili ed ingenui entusiasmi di Wilcock, ma la sua corposa ricerca non solo offre molti spunti, ma sottrae in parte il filone del contattismo dal retrobottega dell’Ufologia in cui è stato relegato per tanto tempo. In particolare, il riferimento agliextraterrestri di Orione, presumibilmente malevoli, è un leit-motiv di tanti incontri e messaggi, analizzati in “Apocalissi aliene”.

Va sottolineato che Wilcock, le cui ricerche sono pressoché a senso unico, potrebbe essere, per quanto ne sappiamo, o un disinformatore o un guru della New age (ammesso che le due figure non coincidano).

Qual è il problema? Egli prospetta un’elevazione dell’umanità, per così dire, a costo zero, per giunta, fingendo di non vedere tutte le atrocità del passato e del presente che hanno straziato e straziano la storia.

Anche il cenno alla Legge dell’Uno ed al materiale di Ra accende molti dubbi, sapendo che si tratta di comunicazioni canalizzate di dubbia matrice e dalle finalità ancora più dubbie, senza dimenticare i contenuti discutibili, pur dietro una parvenza di “spiritualità”.

Ecco alcune parti del corposo articolo di Wilcock.

Samaciccia chiamò gli alieni W 56. Nel libro di Breccia, egli spiega che “W” sta per “doppia W di viva”, il 1956 fu l’anno in cui tutto ebbe inizio. I W 56 erano un gruppo di extraterrestri provenienti da diverse parti dell’Universo. Avevano sembianze simili a quelle degli esseri umani della Terra, ma con una statura che variava da un metro di altezza sino a sei(!!!).

Il primo incontro ebbe luogo nel mese di aprile del 1956. Bruno Sammaciccia si trovava con due amici, Giancarlo e Giulio. Essi stavano perlustrando il castello di Rocca Pia di cui avevano acquisito una mappa misteriosa e sentivano che c’erano dei segreti da scoprire. Una notte a Rocca Pia, apparvero due persone che si rivolsero loro. Il “capo” del gruppo fu chiamato Dimpietro.[…] I visitatori installarono varie basi in Italia, una a Rocca Pia, un’altra sottomarina nell’Adriatico, quasi a contatto con la piattaforma continentale, tra Ortona e Rimini. […]

Gli “Amici” chiesero per le loro attività assistenza logistica: domandarono che fossero loro procurate quantità industriali di frutta e di metalli tra cui nitrato di bario e stronzio. I contattisti non avevano idea di quale potesse essere l’uso di questi metalli, ma ora sappiamo che sono comuni nell’elettronica (e nelle scie chimiche, n.d.t.)
Nel libro di Breccia è spiegato che i W 56 non mangiavano la frutta, ma che la usavano come materia prima per estrarne nutrienti necessari per il proprio sostentamento. […]

II gruppo dei W 56 descrisse un conflitto con altri esseri che essi chiamavano “Weiros“, ma che Bruno Sammaciccia ribattezzò i CTR , ossia i Contrari.

Questi esseri non erano etici, ma materialisti, praticamente l’opposto dei W 56 che non evocarono una vera una propria guerra con i rivali, quanto un attrito. Uno dei motivi per cui gli AKrji erano approdati sulla Terra era quello di tenere sotto controllo i CTR.

Gli “Amici” li definirono “adoratori della scienza” e li dipinsero come del tutto privi di scrupoli. (Ricordano alcune razze di Grigi, sebbene qualche autore sia propenso ad identificarli con gli Ummiti, n.d.t.) La più grande paura dei W 56 era che gli esseri umani potessero seguire lo stesso percorso autodistruttivo su cui si erano incamminati i Weiros. È interessante notare che nel libro di Breccia è scritto che alcuni “bravi ragazzi” provenivano dalle Pleiadi, mentre i “cattivi” erano originari della costellazione di Orione.

Questa è stata un’ulteriore conferma della straordinaria serie della “Legge dell’Uno“, in cui è indicato ripetutamente che gli ufonauti negativi, operanti nel nostro spazio aereo, hanno la loro sede nel sistema di Orione. Sono anche designati come “il gruppo di Orione” all’interno del documento noto come “Legge dell’Uno”.

I W 56 effettivamente intervennero per mezzo dei loro dischi volanti e della loro tecnologia, con l’ausilio di operatori terrestri previamente addestrati, per fermare una situazione che sembrava potesse portare a qualcosa di irreparabile. L’incidente avvenne nel 1967. Così fu attuata un’operazione gestita da esseri umani e che era stata progettata per disabilitare tutte le testate nucleari in Unione Sovietica e negli Stati Uniti, di fronte ad una situazione molto pericolosa e che sarebbe potuta degenerare da un momento all’altro.
Ci sono libri scritti da ufficiali della U.S. Air Force, ormai in pensione, (ad esempio “Faded giant” di Robert Salas e James Klotz) che raccontano la storia di come la loro batteria di missili Minuteman era stata resa inattiva da dischi volanti che erano penetrati nello spazio aereo sopra l’installazione. “Faded giant” contiene documenti militari ottenuti tramite il Freedom of Information Act (F.O.I.A.).

Nel documentario sul “Caso Amicizia” sono mostrate tre immagini di un test nucleare. La terza immagine sembra inquadrare un ricognitore molto simile a quelli fotografati da Adamski. Il velivolo è a sinistra dell’esplosione, anche se potrebbe essere facilmente un’ombra della deflagrazione.
Un altro scopo della presenza dei W 56 fu quello di aiutare il nostro processo evolutivo per spingerci ad un livello superiore di comprensione. Ecco perché erano stati sul nostro pianeta per un tempo tanto lungo, condividendo con noi alcune delle nostre sofferenze.

Breccia menziona alcune storie-chiave del contattismo negli Stati Uniti: sono episodi che stabiliscono chiaramente che i visitatori sono qui per la nostra evoluzione, per condurci in un’Età dell’Oro.

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Purtroppo Stefano Breccia è mancato il 2 marzo 2012.  Inserisco uno scritto di Roberto Pinotti sulla figura e sulla serietà di Stefano Brescia

Appunti sul “Caso Amicizia”

Ciao, Stefano!

per le improvvise e inattese complicazioni emorragiche e circolatorie indotte da un prolungato trattamento chemioterapico che, per curare un tumore alla gola, lo aveva fortemente indebolito. Ma fino ad allora tutto era andato benone, ed era anzi in fase di netta ripresa. Ci eravamo anche sentiti poco prima della mia recente partenza per gli USA per onorare l’invito a partecipare per il CUN in rappresentanza italiana al Congresso Ufologico Internazionale di Phoenix in Arizona. Gli avevo da poco inoltrato il testo della mia prefazione per il suo secondo libro, da lui sollecitatami più volte. La sua improvvisa e inattesa morte ha colpito molti all’interno del Centro Ufologico Nazionale, a cominciare dal sottoscritto. Si da infatti il caso che, praticamente coetanei (fra le nostre rispettive date di nascita vi sono infatti solo pochi mesi di differenza), ci fossimo conosciuti a Bologna poco più che ventenni in casa di Mario Maioli, il primo presidente del CUN, che stabilì subito con noi due un rapporto molto caloroso forse perché entrambi gli ricordavamo molto, per aspetti diversi, l’unico figlio tragicamente scomparso poco tempo prima. E ne nacque subito un gran bel rapporto.
Con Stefano eravamo molto diversi ma quanto mai complementari. Studi socio-umanistici io, studi tecnico-scientifici lui. Intelligenza analitica la mia, sintetica la sua. Ottimista io, serioso lui. Logico io, romantico lui. Estroverso io, timido lui. Antifumo io, accanito fumatore lui. Conversatore io, taciturno lui. Ma eravamo giovani e positivi. E così pure eravamo colti, preparati, spigliati, poliglotti e desiderosi di fare. Pertanto nel CUN di allora giocammo subito dei ruoli importanti. Conferenze pubbliche, contatti con la stampa, incontri di livello, rapporti con l’estero, traduzioni. Io non avevo problemi con l’inglese, il francese e lo spagnolo, lui con l’inglese ed il russo, lingua in cui primeggiava.
Diventammo amiconi. Frequentavamo l’università io a Firenze e lui a Bologna, e spesso ci vedevamo in quest’ultima città. Facemmo entrambi il militare come ufficiali di complemento dopo aver passato le dovute selezioni. Nell’Esercito (in artiglieria missili) io, in Aeronautica Militare lui. E nelle nostre indagini ci imbattemmo anche in Amicizia, di cui incontrammo alcuni esponenti. All’inizio io ne sapevo in effetti più di lui, dato che di tutta la faccenda ero stato informato da tempo dal console Alberto Perego, pioniere dell’ufologia in Italia. Ma sorse il desiderio e la necessità di approfondire, e Maioli ci invitò paternamente alla cautela. Stefano, d’altronde, residente com’era a Pescara, si trovava nella posizione ideale per sviluppare la cosa, e pensò dunque di “infiltrarsi” nella consolidata realtà abruzzese di tale ambiente. E lo fece. Io, per ragioni logistiche, in pratica ne restai invece fuori. “Tanto ci sarò io a raccontarti tutto” diceva Stefano fra il serio e il faceto.
Quanto poi avvenne è appartenuto solo a lui e alla sua personale esperienza.
Un’esperienza individuale, concreta, intensa e spiazzante. E dalle tante cose da lui raccontatemi io ho sempre ricavato un chiara ed inequivocabile conclusione. Quella che nel caso qualsiasi dubbio è e resta fuori luogo. Stefano infatti non si è mai vantato di nulla, non ha mai ostentato cose o situazioni e certamente non si è mai contraddetto e non ha mai inventato alcunché. Anzi, in fondo parlava molto poco e ti diceva solo quanto gli chiedevi di dirti. Ma quello che diceva lo aveva sicuramente vissuto e non erano affatto stupidaggini. E da persona assolutamente concreta ed estremamente preparata a livello tecnico quale era, in campo scientifico nessuno avrebbe mai potuto ingannarlo. Meno che mai qualsiasi “guru” da strapazzo.
Sentirsi dunque dire che anch’egli aveva finito col condividere la realtà di incontri assolutamente “normali” con “infiltrati” extraterrestri non dissimili da noi ed in mezzo a noi grazie ad Amicizia avrebbe potuto essere inaccettabile per molti. Ma non per un amico personale come me ben consapevole del suo profondo equilibrio interiore e del fatto che una testimonianza come la sua non può essere ignorata.
Mentre Amicizia entrava in crisi interna e si dissolveva in silenzio, il nostro rapporto si consolidava. Altri, nel CUN stesso, non nascondevano la loro incredulità per i rari ma esaurienti rapporti forniti da Stefano sull’andamento di tale organizzazione. Certe cose, più che mai allora, non potevano che essere per pochi. E così tutta la storia di Amicizia continuò a rimanere nell’ombra. Io fui in seguito l’unico ad accennarvi quanto bastava in un mio libro nella collana degli Oscar Mondadori, UFO: SCACCHIERE ITALIA. Ma senza reazioni concrete. Vi fu solo chi mi chiese di non fare nomi e cognomi. Oggi la legge sulla privacy lo impedirebbe comunque.
Pur manifestando all’esterno e mantenendo vivi i suoi interessi ufologici, Stefano si tenne necessariamente tutto o quasi per se. E come accadde anche a me, lo prese poi la vita, la famiglia, il lavoro. Oltre che un buon marito e padre, divenne un tecnico d’eccezione, un buon manager e infine un dirigente della Telecom con mansioni di altissima responsabilità in Italia come pure all’estero (anche al di là della Cortina di Ferro e addirittura in Siberia) e perfino un brillante docente universitario all’ateneo dell’Aquila. Qualcuno potrebbe in effetti ritenere sorprendente che uno col suo curriculum avesse a che fare con la “assurda” storia degli alieni di Amicizia. Ma non lo è affatto. A Padova, per esempio, un altro docente universitario a lui ben noto vi era infatti coinvolto. Quando di tanto in tanto gli facevo notare che forse le sue esperienze sarebbero state da condividere con altri, Stefano manifestava i suoi forti dubbi, nel senso che nessuno, diceva, ci avrebbe creduto. Nondimeno aveva cominciato a raccogliere le idee e a redigere appunti. “Un giorno forse, diventeranno un libro. Ma sarà scritto solo per me”. E così fu. E solo la mia tenacia nello spingerlo a condividere le sue esperienze valse infine a indurlo a pubblicarlo. Dapprima pensava di firmarlo con uno pseudonimo. Poi, però, il suo pensionamento fece sviluppare in lui l’idea che tanto non c’era proprio nulla da perdere. Una invidiabile carriera professionale ed accademica alle spalle, i figli ormai maggiorenni e sistemati, il divorzio, una nuova compagna dopo questa spiacevole esperienza. Tutto ciò gli permetteva di dire “chi se ne frega?”, e di vuotare il sacco. E così, convinto infine da me, il libro prese corpo e fu pubblicato dalle edizioni Nexus: CONTATTISMI DI MASSA. E col suo nome. E’ stata una decisione non già incosciente o tanto meno autolesionista, bensì meditata e quasi eroica. “In fondo uno col mio curriculum è credibile” diceva. “Chiunque altro, più che mai se sotto pseudonimo, non lo sarebbe di certo”…
Uno scopo era anche indurre altri che avevano avuto la stessa sua esperienza a venire allo scoperto. Ma non servì a molto. Solo Gaspare De Lama e sua moglie da un lato e Paolo Di Girolamo dall’altro accettarono di esporsi. Altri – e io ne conosco – pavidamente tacquero. Perché, in età avanzata, mettersi in discussione con la gente e dover convincere il prossimo di esperienze esaltanti ma assolutamente personali? E così il silenzio non è stato ancora rotto.
Stefano – come anche chi scrive – ne fu deluso. E dagli scettici avrebbe voluto essere magari attaccato, per replicare ad hoc. Invece tutti zitti…
Ma si sa, il silenzio è di chi sa di non poter prevalere con certi avversari. E con un Breccia non la si poteva spuntare.
Così mise mano ad un secondo volume per non sentirsi magari accusare poi da qualcuno di avere omesso qualcosa. E come nel primo caso, mi chiese di scriverne la prefazione. Ora, purtroppo, questo volume (se uscirà) vedrà la luce postumo.
Stefano ci mancherà. E tanto. Ci mancheranno le sue battutine salaci e fulminanti, le sue occhiate complici, la sua grande preparazione tecnica, la sua consumata abilità di scacchista, la sua quasi serafica pacatezza ed il suo sorriso aperto, giovanile e un po’ triste. E anche le sue cameratesche pacche sulle spalle ed il suo allegro e fraterno abbraccio quando ogni tanto ci vedevamo. Adesso non è più con noi.
Nella malattia abbiamo cercato di stargli vicino via e-mail dal momento che non poteva più parlare, aderendo alle sue richieste, e oggi per lui non possiamo fare di più. Alcune cose, però, vanno ora assolutamente impedite.
Bisogna infatti evitare che imbecilli ignoranti e scettici superficiali ne infanghino vigliaccamente la memoria ora che non c’è più per potersi difendere; e non bisogna consentire che quanto ha detto e scritto sia manipolato, travisato o strumentalizzato per interessi vari; è indispensabile infine fare sì che la sua memoria sia valorizzata e non già dimenticata anche se in fondo piuttosto “scomoda”.
Nè il CUN né Roberto Pinotti intendono indire crociate a difesa di Stefano Breccia. Perché egli non ne ha alcun bisogno, in effetti. Stefano – anche se ha avute certe esperienze – non è in realtà un “contattista”, ma solo un onesto testimone di cose più grandi di lui e di noi. Cose successe e che continuano a succedere, e di cui l’esperienza riduttiva, limitata e in parte fallace di Amicizia costituisce solo la punta dell’iceberg.
Grazie, Stefano. Hai fatto un buon lavoro e un giorno qualcuno lo dovrà riconoscere.
A tempo debito.
Quando a suo tempo Stefano, cedendo infine ai miei ripetuti stimoli, si è deciso a sollevare il coperchio sulla scomoda e pressoché ignota (salvo a pochissimi) storia di Amicizia redigendo con coraggio lo sconcertante testo del suo CONTATTISMI DI MASSA, ero ben certo non solo che non avrebbe mai potuto dire tutto su una faccenda tanto complessa; ma anche che il suo libro avrebbe finito con l’innescare un processo virtuoso di graduale “outing” tale da fare emergere ulteriori dati ed elementi da parte di protagonisti della vicenda ancora in vita. I fatti hanno poi dimostrato che avevo ragione ma anche torto. Ragione perché accanto ai citati Gaspare De Lama con sua moglie e Paolo Di Girolamo (il quale sempre su mio interessamento ha poi pubblicato il suo NOI E LORO a complemento del libro di Stefano) si è in effetti poi manifestato anche qualche altro “superstite” desideroso di rifarsi vivo. E’ stato ad esempio il caso dell’autore del testo “La storia di ’Amicizia’ ” che, per il tramite di Nikola Duper, dal sito w56.duper.org sono anche riuscito a fare inserire in appendice nel mio ALIENI: UN INCONTRO ANNUNCIATO (Oscar Mondadori, Milano 2009). Otto belle pagine fitte e firmate da “Uno del Giuramento” che al di là dell’anonimato sono comunque importanti per la loro diretta conferma di tutta la storia, ma che tradiscono così pure il timore (forse eccessivo) di esporsi da parte di chi le ha scritte per non crearsi problemi di tipo professionale e sociale. Un timore difficile da superare che ha generato nei silenziosi protagonisti italiani della vicenda rimasti nell’ombra un atteggiamento in bilico fra il desiderio di volersi manifestare e una contraddittoria posizione di attendismo. Ecco dunque perché sotto questo profilo ho anche avuto torto. Infatti nel frattempo di tempo ne è trascorso. E così ecco ad esempio l’Avv. Franco Saija di Torino passare a miglior vita prima di poter dire la sua anch’egli com’era sua intenzione. Peccato. Altri, da un E.B. ad un B.G., dalle loro rispettive abitazioni di Milano e di Roma mi hanno confermato invece la loro intenzione di voler continuare a tacere, almeno per ora. Il che è legittimo. Anche perché in fondo per loro la storia è chiusa.
Ma lo è poi davvero?
In effetti la risposta è no. Certo, la storia si è formalmente conclusa e ben prima della morte di Bruno Sammaciccia, ma in effetti non è poi necessariamente così. Perché tutto fa pensare che gli “infiltrati” alieni di Amicizia, constatato l’abortire progressivo della loro esperienza in Italia fra gli anni Cinquanta e Settanta con tanto di graduale decadimento della “uredda” nel gruppo, non se ne siano affatto andati come annunciato a seguito del preteso contrasto W56-CTR, ma abbiano piuttosto volutamente ed unilateralmente interrotto i rapporti con i loro più stretti collaboratori di un tempo in questo Paese, avviando nel contempo altre esperienze altrove, con interlocutori con ogni probabilità maggiormente affidabili. Perché il problema alla fine siamo e restiamo noi, e non “Loro”. Noi, con i nostri limiti tali da mettere talvolta in difficoltà noi e “Loro”. Così ecco che ad esempio emerge un successivo ed insospettato replicarsi della situazione pescarese in Sud America, e probabilmente non solo. Una circostanza significativa che potrebbe facilmente portare a conclusioni deludenti e anche fuorvianti, quali ad esempio quella secondo cui i partners umani sarebbero stati da “Loro” in qualche modo “scaricati” per non dire ingannati.
Però non è così semplice. Si ricordi che anche da noi se a livello strategico si decide di azzerare una situazione con una unità operativa che lascia a desiderare e va dunque sacrificata i rapporti individuali con i pur più validi e virtuosi suoi componenti devono ugualmente venire meno. E nessun buon militare considererebbe ciò un “tradimento”. Anche perché noi e “Loro” non siamo affatto, piaccia a no, sullo stesso piano. Per cui è legittimo e anzi scontato che per scompaginare definitivamente le carte siano assunti nei confronti di chi non si rassegnasse a vedere archiviato ogni rapporto dei comportamenti contraddittori e anche apparentemente illogici.
Il che non autorizza peraltro “chiavi di lettura” in negativo o superficialmente riduttive, in linea con una visione puramente manichea della situazione in cui forse la stessa presentazione del “confronto” W56-CTR potrebbe in fondo essere almeno in parte fittizia, ma nondimeno necessaria e funzionale alla nostra semplicistica visione della realtà: buoni e cattivi, bianco e nero, positivo e negativo…
Agli scolari delle Elementari non si può indubbiamente parlare come a degli studenti universitari. E poi va ricordato che in effetti la realtà vera è costituita in concreto da molteplici gradazioni di grigio.
Comunque, di fronte ad una prospettiva cosmica i nostri comportamenti sfumano e si perdono, lasciando il passo a componenti etiche forse ben più importanti del nostro pur legittimo anelare alla conoscenza e alla tecnologia: l’amore, la lealtà, la serena comprensione dei limiti nostri e degli altri. Tutti elementi sui quali avremmo potuto costruire da tempo un mondo migliore, e che “Loro” nell’archiviata esperienza di Amicizia hanno sempre invitato a valorizzare. Riuscirci non è certo facile. Ma quanti come un Gaspare De Lama e sua moglie Mirella ci sono perfettamente riusciti con serenità e senza alcun rimpianto hanno certo tratto dall’accaduto la migliore delle lezioni, tesaurizzandola oltre la fallace frontiera dell’ego e diventando migliori. Non a tutti riesce.

Appunti sul “Caso Amicizia”
Una volta mi è stato detto, giustamente, che gli amici veri vanno presi ed accettati per quello che sono oltre ogni loro difetto. E’ giusto. E ciò è quanto in effetti “Loro” hanno fatto e continuano a fare nei nostri confronti, oltre ogni nostra deludente manifestazione tipica di allievi velleitari ma ancora mediocri. Si ricordi infine che Amicizia è stato solo una delle esperienze di “contattismi di massa” finora innescate, e che anche altre, come ad esempio quella ben nota del “caso Ummo”, sono state in precedenza archiviate.
Coraggio, un giorno forse non troppo lontano sapremo interagire meglio con “Loro” e così il nostro rapporto con gli “infiltrati” da sempre operanti silenziosamente sulla Terra (gli stessi che alcuni esoteristi hanno in passato definito con termini suggestivi ma significativi quali “Gerarchia Occulta” ovvero “Superiori Sconosciuti”) non avrà più i necessari limiti di oggi…
Stefano Breccia, adesso, ha tutte le possibili risposte.

Roberto Pinotti
Past President e Segretario Generale del Centro Ufologico Nazionale (CUN)

testo ed immagini tratte dal web


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