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Aspettando Renzi e Letta - di Massimo Cacciari

Creato il 10 agosto 2013 da Tafanus

In Veneto si candida alla regione con la stessa filofosia (attrarre voti dalla destra) ma le prende sonoramente da Aspettando Renzi e Letta - di Massimo CacciariLo aspettavamo con ansia, un nuovo endorsement de "l'Espresso" a favore del cazzaro di turno. Il Gruppo Repubblica/Espresso, e in particolare i suoi pasdaran di MicroMega e de l'Espresso, ma persino di Repubblica, non se ne sono lasciati sfuggire uno, di cazzari: da Di Pietro a Grillo, dai girotondini all'inutile Popolo Viola, da Ingroia a Renzi... Spesso si sono pentiti, ma solo a posteriori, dopo aver procurato il danno di spostare irrimediabilmente verso il cazzarismo menti deboli e suggestionabili.
Oggi il gruppo si spara uno dei suoi pezzi da novanta, quel Massimo Cacciari che del PD - e della sinistra in generale - ha sempre parlato con la puzza sotto al naso, ostentando un inequivocabile disgusto, ma tappandosi il naso ed accettando, generosamente, tutte le poltrone che gli sono state piazzate sotto al culo dalla disgustosa sinistra italiana. D'altronde nulla di più e nulla di meglio ci saremmo potuti aspettare da colui il quale campa la vita come docente - e prima ancora come pro-rettore - della mitica "Università Vita e Salute" della Dondazione San Raffaele del non compianto Don Verzé...
Massimo Cacciari, come tutti i destri truccati da sinistri, ha avuto le sue brave origini come extra-sinistro, occupatore della Stazione di Mestre cogli operai della Montedison, collaboratore di punta della rivista " Classe Operaia", poi trasformato in " Potere Operaio"... Insomma, un extra-sinistro a tutto tonto, con l'eschimo, e la falce e martello tatuata sulla chiappa sinistra. Poi, adelante con juicio, la trasformazione in borghese piccolo piccolo. Anche lui, esattamente come Renzi, vuole "attrarre" i voti della destra. Si presenta a candidato sindaco a Venezia, contro Casson. Al primo turno stravince Casson. Al secondo supera Casson di 200 voti, grazie al soccorso azzurro. La storia si ripeterà a Parma con Pizzarotti, e Renzi, ragazzotto scarso di cultura ma svelto di mano, tenta di ripetere l'exploit a livello nazionale.
Galan, ex impiegato Fininvest, detto - per la sua statura politica - il "Banal Grande". Ma tutto ciò non riesce a togliergli quell'insopportabile atteggiamento da "dio come puzza la sinistra".

Ieri pubblica una articolessa su l'Espresso, dal cui titolo si intravvede un inizio di endorsement per la "Nuova Sinistra che Avanza Inarreestabile": l'immancabile Matteo Renzi (il Bischero di Frignano), e Gianni letta, noto anche come "Il Nipote". Ma questa volta, memore delle figuracce del passato, il Professore diventa più prudente, e il corpo dell'articolo, pieno di aria fritta, mantiene molto poco di quanto non lasci sperare il titolo. Dunque, un prudente endorsement del cazzaro, associato in termini cominicazionali alla più tranquilla e rassicurante figura di Enrico Letta, usato come foglia di fico. Il tutto, con estrema anbiguità e prudenza. L'articolo di Cacciari potrebbe avere un sottotitolo del tipo "Sotto il vestito, Niente". Tafanus

Aspettando Renzi e Letta - di Massimo Cacciari

Aspettando Renzi e Letta (di Massimo Cacciari)

La sinistra è stata bloccata per vent'anni dall'anomalia berlusconiana. Per non sparire deve sperare in nuovi leader
Si può sperare che questo Paese, dopo la "storica sentenza", esca dall'incantamento che lo tiene bloccato da vent'anni nello sconfinato castello delle vicende personali e giudiziarie di Berlusconi? O, all'opposto, essa ci farà sprofondare ancora di più nella colossale anomalia che ha impedito ogni seria riforma istituzionale e ogni decente programma sociale ed economico? L'anomalia, per certi versi, oggi trionfa: Berlusconi viene, sì, sconfitto, ma sul terreno puramente giudiziario. E dopo una sua netta affermazione politica: l'aver miracolato alle ultime elezioni la propria creatura e costretto il Pd in uno stato para-confusionale. Non sarebbe stato così nel '94-'95 o nel 2006 o nel 2010. In quei momenti di crisi del berlusconismo, vi sarebbe stata una qualche coerenza tra vicende giudiziarie e situazione politica. Oggi la contraddizione è evidente. Nessuna "opposizione" politica ha sconfitto Berlusconi. Di più, il Pd non può giocarsi la carta della "incompatibilità" del personaggio con qualsiasi carica o funzione politica, senza, ipso facto, licenziare il "suo" Enrico Letta. Non solo il centro-sinistra al governo non ha saputo varare alcun provvedimento su conflitto di interessi, ineleggibilità, riforma della giustizia, ma ora questi stessi temi gli risultano difficilmente utilizzabili anche come armi propagandistiche.
Si ha la dolorosa sensazione che la politica italiana prosegua ormai su binari obbligati, sia affare di dinamiche inerziali, che uno spazio per vere decisioni, frutto di "libero arbitrio", non esista più. Il centro-destra, a pezzi un anno fa e miracolosamente riaggiustato dal combinato disposto Berlusconi-Bersani, è costretto a dipendere dalle sorti del suo unico leader e a condividerle almeno fino alle prossime elezioni. A sua volta, questo leader sa che, se uscisse ora da quello attuale, in nessun governo rientrerebbe mai e dunque per lui è vitale che sia l'esplodere delle contraddizioni nel Pd a decretarne la fine. Il famoso asino di Buridano stava in una posizione più comoda rispetto a quella in cui sembra ora trovarsi il multiverso targato Pd: il compromesso di governo con l'Avversario può diventare elettoralmente disastroso dopo la "storica sentenza", ma altrettanto lacerante al proprio interno, e negativa agli occhi dei cosidetti "moderati" anche la denuncia del suo fallimento. Per provare almeno a resistere fino alle elezioni europee il Pd dipende dal modo in cui il Pdl difenderà il definitivamente condannato (ma non sconfitto!) Berlusconi. E il Pdl, a sua volta, proseguirà nei fatti ad appoggiare il governo fino a quando potrà godere delle rendite che gli garantisce la palese impotenza del Pd a darsi una linea, un programma, una leadership riconosciuta.
È tuttavia intorno ai destini di questo partito che si deciderà l'esito della drammatica crisi che stiamo vivendo. Forse la cruna dell'ago è ancora aperta: un congresso vero, un congresso dove emergano seriamente le diverse "visioni del mondo"(come si diceva una volta) e da quelle i programmi sulle cose che contano per il Paese, politiche economiche, industriali, occupazionali, fiscali, riforme della scuola, della giustizia, radicale sburocratizzazione dello Stato. Un congresso coraggioso, che verifichi definitivamente se è possibile, tra le diverse posizioni, un massimo comun denominatore, oppure se non sia il caso che tutte insieme assumano la responsabilità di un consensuale divorzio. Poiché nulla oggi è più esiziale di convivenze coatte, dettate da calcoli di micro-potere e sopravvivenza, fondate sulla stantia ripetizione di slogan, tipo quelli dell'ultima campagna elettorale. Il perdurare della confusione o esiti pseudo-unitari, con leadership a priori dimezzate, fanno esclusivamente il gioco di Berlusconi.
Ma quante davvero sono le possibilità che si indovini questa porta stretta? Certo, l'attuale conflitto su procedure e norme, la grottesca idea di poter sostituire con il gioco delle primarie l'autentico confronto, alla base, tra mozioni alternative, che un partito possa ridursi alle regole per l'individuazione del "capo", lasciano poco sperare. È un confronto tutto segnato da quella assenza di etica della responsabilità, di educazione politica, di competenza, che domina la scena italiana da un ventennio. La forma del messaggio è già contenuto - e come non vedere, allora, le affinità culturali tra personaggi che pretendono, tutti, di rappresentare direttamente il popolo, di incarnarne la sovranità? Come non capire, al di là della differenza dei toni (e per la vacuità stessa dei contenuti), che abbiamo a che fare da vent'anni con "modelli" politici che testimoniano di una crisi profonda della nostra democrazia? Quando sapremo finalmente porci alla sua altezza? A che cosa potrebbe servire il congresso del Pd se non a esigere l'apertura di una fase costituente, e su questo terreno sfidare non solo Berlusconi, ma Grillo e la sinistra? Esistono forze in campo in grado di interpretare questo ruolo?
Forse una combinazione tra Letta e Renzi, in grado di attrarre buona parte dell'elettorato Pdl, con il condimento di ciò che residua del flop montiano. Ma si tratta di una composizione che dovrebbe presentarsi attraverso il congresso, e vincerlo, matura strategicamente,non derivante dallo stato di necessità, tantomeno all'insegna della semplice discontinuità generazionale.Temo dovremo attendere ancora per scorgere all'orizzonte il formarsi di una nuova classe politica, di nuovi statisti. L'humus da cui crescono è stato sistematicamente distrutto da due generazioni a questa parte. Perciò anche la protesta e l'indignazione sono oggi positive, pur essendo mille miglia lontane da quel conflitto tra posizioni competenti e tutte responsabili del bene comune, che è il fattore produttivo della democrazia. (Il Geniale Cacciari, esattamente come i suoi discepoli che infestano il Tafanus, non si preoccupa minimamente di cercar di capire le "l'attrazione di elettori del PdL" possa avvenire senza perdite a sinistra, o nel voto di protesta, o nell'astensionismo. De minimis non curat praetor - NdR)
Ma la crisi non attende e la protesta potrebbe presto trasformarsi in problema d'ordine pubblico. Se ciò finora non è avvenuto è forse soltanto perché si è allargata la faglia storica che divide il Paese: le ragioni della protesta dei ceti produttivi al Nord, la crisi del "capitalismo diffuso", i problemi riguardanti la "questione settentrionale", si sono andati sempre più nettamente differenziando dalle situazioni di assoluta emergenza e dalle esigenze del Mezzogiorno. "Nord-Sud uniti nella lotta" si gridava un tempo. Mai le ragioni di quell'unità sono apparse più remote. Eppure, gli statisti di domani saranno proprio coloro che riusciranno a dare forma unitaria alla protesta, a definire il filo rosso tra la "questione settentrionale" e un "nuovo meridionalismo". In loro attesa non ci resta che un solo, giovane statista, cui oggi affidarci, per evitare, non fosse altro, un tracollo finanziario: Giorgio Napolitano.
Massimo Cacciari

Aspettando Renzi e Letta - di Massimo Cacciari

Massimo Cacciari post eschimo

Per non dimenticare (note biografiche)
[...] Nel 2005, a sorpresa, annunciò la sua intenzione di ricandidarsi a sindaco di Venezia. I partiti di sinistra dell'Ulivo avevano però già raggiunto l'accordo per la candidatura unitaria del magistrato Felice Casson ma Cacciari dichiarò di voler andare avanti anche a costo di spaccare l'unità della coalizione, cosa che effettivamente successe: Cacciari venne sostenuto da UDEUR e Margherita, Casson ricevette invece l'appoggio di tutti gli altri partiti del centrosinistra. Al primo turno Casson ebbe il 37,7% dei voti mentre Cacciari si fermò al 23,2%; sfruttando le divisioni presenti in maniera ancora più acuta nel centrodestra a Venezia, furono proprio i due rappresentanti del centro-sinistra ad andare al ballottaggio. A sorpresa Cacciari, seppur sostenuto da liste più deboli, riuscì a far leva sull'elettorato moderato e vinse la sfida con circa 200 voti di vantaggio sul suo competitore (50,5% contro 49,5%) [...]
[...] Da giovane fu un politico militante e occupò con gli operai della Montedison la stazione di Mestre. Collaborò negli anni sessanta alla rivista mensile Classe operaia e, dopo contrasti interni tra Mario Tronti, Alberto Asor Rosa e Toni Negri (il quale fu un incontro essenziale per la sua formazione), diresse insieme ad Asor Rosa la rivista, definita di "materiali marxisti", Contropiano con la quale si tentò la riunificazione del gruppo. Ma il tentativo fallì e il gruppo veneto trasformò la rivista nel giornale Potere Operaio "Giornale politico dagli operai di Porto Marghera" a cui Cacciari deluso non aderì. In seguito entrò nel Partito Comunista Italiano, ricoprendo cariche apparentemente lontane dai suoi interessi filosofici: responsabile della Commissione Industria del PCI Veneto negli anni settanta, fu poi eletto alla Camera dei deputati dal 1976 al 1983, e fu membro della Commissione Industria della Camera.
Fu sindaco di Venezia dal 1993 al 2000, fra i principali sostenitori dei Democratici di Romano Prodi e si parlò di lui come un probabile leader dell'Ulivo. Fin dall'inizio della sua attività politica vede nel federalismo una tradizione da recuperare per i progressisti italiani laddove buona parte dei dirigenti vedono in questa attenzione agli ideali federalisti un freno ai voti del centro-sud. In preparazione delle elezioni regionali del 2000, aveva compreso che per vincere in una regione tradizionalmente moderata, la sinistra avrebbe dovuto agganciare una parte dell'elettorato in fuga dalla ex DC, e mosse alcuni significativi passi, ma non riuscì a convincere fino in fondo l'elettorato autonomista.
La sua sconfitta alle Regionali del 2000, quando fu candidato per la presidenza della regione Veneto, fece tramontare l'ipotesi che potesse diventare il futuro leader dell'Ulivo. Cacciari ottenne in quella tornata il 38,2% dei voti, uscendo sconfitto dal rappresentante del Polo per le Libertà Giancarlo Galan che ricevette il 54,9% dei consensi. In quella tornata elettorale, Cacciari ottenne un seggio da consigliere regionale [...]


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