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Assaggi di romanzi inediti - da "LA CAMPAGNA PLAXXEN": parte iniziale del capitolo3

Creato il 10 novembre 2012 da Zioscriba

Alcuni lo chiamavano Capelli d’Argento, altri, più anzianotti e autoctoni, il Barbùn Cavijùn, e Polaschi alla sua stazione sotterranea era un personaggio. Fin da principio aveva avuto l’idea di dare i bigliettini in cambio dell’elemosina. I primi tempi, traendo profitto dalla credulità della gente, s’era costruito una fama da oracolo. Affari a gonfie vele. Bastava scrivere cose molto vaghe, ma che i fessi credessero calzare su misura per loro. Il vecchio trucco di cartomanti e ciarlatani. “Ricordati di ritirare quella cosa”, oppure: “C’è qualcuno che da troppo tempo non vai a trovare”. C’era chi faceva la fila: meglio dare una monetina a lui che comprare la rivista o il giornaletto col solito stupido oroscopo scopajolo (ora-scopo). Per alcuni era solo un gioco, per altri un rituale portafortuna, per altri ancora un vaticinio da prendere sul serio. Poi si era evoluto. Frasi più ardite, filosofiche. Lo divertivano di più. Un elettricista indiano, nel frattempo, s’era convinto di dovergli la vita e lo aveva adottato. Ogni volta che passava di lì (almeno una per settimana, di solito il giovedì sera) gli portava un panino o un hotdog, e gli faceva scivolare in tasca una banconota di piccolo taglio, messa da parte con fatica. Tempo addietro, aveva ricevuto un bigliettino che diceva: “Il lavoro uccide. Mettiti in malattia o licenziati finché sei in tempo!”. L’indiano, ritenendolo un monito per l’indomani anziché la battuta esistenziale che in effetti voleva essere, lo aveva ascoltato, e il giorno dopo era scampato a una strage in un cantiere semiabusivo, dove il crollo di un edificio dalle fondamenta di burro s’era portato via le ossa e sbriciolato le anime di una mezza dozzina di schiavi irregolari. Qualcuno un giorno propose a Polaschi un articolo-intervista su pagine locali, ma lui mandò il giornalista a fare in culo. Ci mancò poco che gli mettesse le mani addosso. Non voleva pubblicità. La odiava. Forse proprio perché era un transfuga di quel mondo, di quell’ambiente, del chiasso disonesto e becero degli spot. Un Cristo scappato da quel carrozzone, e da quello della servitù competitoide in generale.
Polaschi sembrava un avanzo d’uomo, ma fosse stato vendicativo avrebbe avanzato ancora molto da fare. Lo era? Difficile capirlo. Venticinque anni prima non aveva la barba fino all’ombelico e i suoi capelli erano corti e castanochiari, e lui un brillante copywriter assunto al volo da Mike Morigerato in persona dopo un colloquio di pochi minuti alla vecchia Publipower, agli ultimi piani della Torre Velasca. Mike Morigerato aveva un fiuto infallibile per le menti brillanti, e se nei futuri e ancor lontani anni della carriera politica si sarebbe poi circondato di imbecilli e incapaci, ciò non sarebbe avvenuto per sbaglio, ma per cinico calcolo. (Del resto siamo un paese che ha avuto per ministro della pubblica istruzione una signora che da giovane riuscì, in un compitino d’inglese, a tradurre il verso “Beautiful radiant child” con “Bellissima cialda del radiatore”). Il giovane Polaschi festeggiò l’assunzione spaciugandosi un trans brasiliano di nome Brigitte Bardot a malapena diciassettenne e scolandosi con lui una bottiglia di spumante rosé, versandogliene anche un po’ sul pancino e sul collo e leccandolo con tanto inebriato amore, e poi ordinando duemila biglietti da visita al photoshop sotto casa. Quelli sbagliarono e ci scrissero “COPRIWATER”, al che lui brontolò un poco e pretese lo sconto. Non disse che lo trovava di un’autoironia esilarante, e che, avesse avuto il tempo di pensarci, era proprio la scritta geniale che ci avrebbe fatto mettere lui... Ma non capì neanche la natura profetica della cosa.

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