Magazine Diario personale
Assaggi di romanzi inediti - da "LA CAMPAGNA PLAXXEN": prima parte del PROLOGO
Creato il 22 gennaio 2013 da Zioscriba(di alcuni Cristi fuggiti via dal carrozzone)
Avevo promesso alla mia amica blogger Knitting Moon di dare soldi a un clochard. Uno a mia scelta. Non la solita monetina: una banconota blu. È che s’era discusso sulle offerte alle associazioni che poi non sai mai dove vanno a finire, e allora la mia amica propose di fare la carità a qualcuno dopo averlo scrutato negli occhi. Lei, in cambio del gesto che mi impegnavo a compiere, mi spedì un pacchetto con dentro un sorridente marzianino di lana sferruzzato da lei. Chissà che non ne venga fuori una bella storia da film, le dissi allora nella mia ingenua ma sempre lucida idiozia. E cominciai a fantasticare di incontri con barboni di stampo hollywoodiano, quelli col cappottone lungo e il carrello della spesa. Be’, sapete come vanno queste cose. Quando non hai voglia di essere disturbato i mendicanti spuntano fuori dai tombini, ti si aggrappano alle ascelle, si materializzano a ogni cantone coi loro cartoncini in stampatello sgrammaticato che millantano caterve di figli tutti da sfamare ma solo dopo averli operati, di emorroidi asmatiche o di tumore alle unghie dei piedi. Il giorno che sei tu a cercarli per dare un contentino alla coscienza, provare per credere: tutti spariti, trasferiti ignorasi dove, evaporati.
Quindici giorni per incrociarne uno. Teneva la faccia da presidente iraniano, però più tollerante e saggio. Un principe del deserto decaduto, sui sessanta, barba di una settimana e gli occhi tenebrosi da buon diavolo. Magari scampato a qualche boia piazzaiolo di laggiù. Eravamo vicini allo studio di un medico condotto a cui volevo rifilare un po’ di pupù (il mio lavoro, lo chiamano informatore medico scientifico, in realtà distribuisco gadgets e viaggi premio per indurli a prescrivere i miei farmaci più cari degli altri e per il resto ugualmente dannosi). Veniva avanti sul marciapiede in direzione contraria alla mia, nei pressi di una mensa delle acli, e ricordai di averlo più volte intravisto nei mesi addietro mentre chiedeva l’elemosina a un semaforo (non proprio al semaforo in persona: agli automobilisti che si fermavano col rosso). Di buon passo, stava ora recandosi a quella sua postazione strategica. Non ne ero sicuro, però. Così, per evitare gaffes, decisi che gli avrei dato i soldi al ritorno, a quell’incrocio che non era lontano. E infatti, un’ora dopo, bevuto un caffè in un bar, rifilata la pupù, gratificata la bocca con goccetto nello stesso bar, torno indietro verso il mio parcheggio ed eccolo lì. Seduto su un muretto, in pausa, per via del verde che fa sfrecciare le vetture, e per il suo lavoro è il colore sbagliato. Mi avvicinai. Sollevato per il fatto di poter onorare la parola data alla mia generosa amica. A venti metri da lui, i miei polpastrelli pizzicavano la banconota già pronta nella tasca della giacca.Ma appena sceso dal marciapiede allo scattare dell’alt, il persiano non ti si mette a ostentar burattinesca zoppia, a trascinarsi dietro la gamba sinistra come fosse di legno o granito, o più lunga dell’altra di settanta centimetri? Quando l’avevo incontrato poco prima, se la zampettava allegramente. Ah brutto impostore, mi dissi, allora il mio ventone te lo scordi, ahmadinejad del cazzo, infingardo di un furbiciattolo escrementizio.
Due settimane da che il piccolo, morbido marziano dagli occhietti neri m’era arrivato per posta, e per quanto riguardava la parte mia di promessa, nisba. Lo sguardo interrogativo del pupazzetto, che dalla libreria della casa di mia madre in cui avevamo entrambi trovato rifugio mi scrutava, appoggiato alla costa di un libro di Paul Auster, mi metteva a disagio, mi faceva sentire in colpa. E poi io le promesse le voglio mantenere a prescindere. Presi a setacciare la città nei ritagli liberi fra un cliente e l’altro e anzi dilatandoli parecchio, quei ritagli, ché tanto ormai i miei guadagni finivano tutti alla Mantide Livorosa da cui mi stavo separando, per cui sempre più volentieri battevo la fiacca, e mi concentravo semmai sul secondo lavoro, il mio piccolo giro di anfetamine in nero per i dottori più giovani. Da qualche parte dovevano pur esserci, ‘sti accattoni, e forse era stato proprio lo schifoso lavoro a portarmi sempre nelle zone sbagliate. Macché. Niente. Nessuno.
Quella sera, quando scesi nella metropolitana odorosa di acerrimo piscio, a una fermata che non avevo frequentato mai, nemmeno ci pensavo più. E invece eccotelo lì, semisdraiato e con la schiena al muro. L’icona romantica del barbone, un bell’uomo di mezza età alla Nick Nolte ma vestito di cenci, capelli grigi lunghi e bisunti e barba da profeta tra il bianco e il rossiccio. Un Cristo scappato dal circo Togni, avrebbe detto Claudio Lolli. Senza star troppo a pensarci, gli misi in mano i venti euro.Mi prendi per il culo o sono falsi?Solo una promessa, risposi.Lui con mossa svelta e quasi sgarbata mi consegnò una piccola busta bianca, della misura dei messaggi di cordoglio. Sulle prime rimasi interdetto. Non capii. Sembrava di stare in un romanzo di spionaggio. Mi aveva preso per il suo contatto russo? Avevo azzeccato senza volerlo la parola d’ordine? Poi lo vidi tirar fuori un’altra busta da una borsa sgualcita che ne pareva rigonfia, e affidarla a un ragazzotto timido che dopo lunga esitazione aveva sganciato mezzo euro, e allora capii che lo faceva con tutti. Ci teneva a dare qualcosa in cambio, il Cristo. Papiri di beatitudini in busta chiusa? Aprii la mia parecchio più tardi, senza vero interesse né curiosità, tanto per far passare il tempo nel rimbombo d’ovatta della carrozza tanfolante, e per distrarmi dall’insulsa conversazione telefonica di una tipa che di degno di nota aveva solo le espressioni, mai sentite prima, “m’è girato il berrettino” e “vacca mao”. La busta di condoglianze non listate conteneva un cartoncino con sopra scritta una frase.A quel punto mi aspettavo una banalità da cioccolataio, di quelle che un giorno ho saputo commissionate alla fervida fantasia di gente come Moccia, e invece era una fior di citazione, scritta di suo pugno: gli specchi, e la copula, sono abominevoli, poiché moltiplicano il numero degli uomini. La frase perfetta, Borges ne converrebbe, per una banchina sotterranea sovraffollata di puzzoni. Mi venne da chiedermi se fossero tutte così belle. O era questione di tariffa? Magari in quella da 50 cent del ragazzo c’era scritto chi non lavora non fa l’amore, o più semplicemente vaffanculo.
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