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Atarassia e ordine

Creato il 25 febbraio 2012 da Unarosaverde

Ad un certo punto della serie – prima che si trasformasse da gioco intellettuale a onirico incoerente peana della psicotropia – il Dottor House sperimenta un nuovo farmaco che, per qualche giorno, annulla il continuo devastante dolore alla gamba. La sostanza funziona così bene che salta perfino sullo skateboard e ritorna più ragazzino di quanto sia già. Poi tutto svanisce e la sofferenza invade di nuovo il suo sistema nervoso.

Su scala alquanto ridotta, oggi per me è stato un giorno così. E’ talmente strano, dopo mesi, non avvertire niente altro che tensione muscolare che, da questa mattina, vivo ore di pura ebetudine.

Ho trascorso gli ultimi giorni praticando a fondo l’arte della lagna. Ho fatto del lamento un’epopea. Mi sono trascinata di sedia in sedia alzando l’intensità dei mugugni delle prime ore del giorno fino a renderli ululati serali. Ho preparato le inserzioni per vendere gli sci di fondo, quelli da discesa e le due paia di pattini in linea;  ho deposto accanto allo zaino che ho usato per il Cammino di Santiago un accendino perchè gli sono affezionata e preferisco farne cenere che venderlo, in un rito sacrificale di addio all’attività sportiva della domenica.

Ho molestato  con il mio pessimo umore chiunque mi capitasse a tiro: de visu, via email, via doppino telefonico. Ho ingigantito ogni singolo minimo problema della mia vita fino a farne una valanga colossale di giaculatorie.  Volevo scrivere un post di sfogo in cui ripetere, mille volte, “mi fa male, mi fa male, mi fa male” nella speranza svolgesse una funzione catartica. Ho avuto  che fare solo con persone gentili che non mi hanno risposto: ” e basta, hai rotto con ‘sto ginocchio…pensa a chi sta molto peggio di te”. Ma ci sono andata vicino. E il dolore aumentava, di giorno in giorno.

Ieri sera ho capitolato e, dopo mesi, visto che madre natura, sulla quale ripongo grandissima fiducia, non stava facendo il suo corso, sono andata dall’ortopedico. All’inizio ha esordito serio ricordandomi che l’operazione che hanno tentato ha un’alta percentuale di fallimento. Poi ha cominciato a leggere i referti in ordine cronologico e gli si sono spianate le rughe. Poi ha proseguito toccando qua e là e testando l’articolazione e ha cominciato a sorridere. Poi ha schiacciato nel punto in cui si concentrava il dolore e ha esultato. Io un po’ meno. Poi ha aperto un armadietto, riempito una siringa e iniettato il liquido nella zona incriminata. Poi mi ha detto tutto felice: “se è questo, forse non dobbiamo rioperare: ci vediamo tra dieci giorni”.

Non l’ho ascoltato molto, nella fasi finali della visita: sentivo una sensazione di fresco inghiottire pian piano il dolore. Prima di salutarmi mi ha spiegato, un po’ perplesso, che essere stoici ha un limite e che la mia epifania nel suo studio è stata un poco tardiva. Io non lo so se questa sarà la fine dell’avventura o solo un palliativo transitorio. So solo che, se non avessi la prescrizione di due giorni di arto in scarico e se possedessi uno skateboard, questo pomeriggio ci sarei salita volentieri anche perché, mentre  ero impegnata a frignare, fuori è arrivata la primavera.

Invece ieri ho cominciato a spegnere l’inquietudine comprando biglietti di treno e prenotando alberghi per un fine settimana a prendere aria di mare mentre alle cinque di questa mattina ero sveglia a fare ordine nelle borse,  perché si, sono minimalista, ma sono femmina. Tempo un mese e bisogna dragare il fondo per trovare le chiavi, facendosi largo tra fogli, caramelle, biro, lucidalabbra, cavi usb, carte fedeltà e paccottiglie varie. E l’alba di stamane mi è sembrata un ottimo momento per occuparmene.

Sarà un effetto secondario dell’iniezione?!


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