Ad inizio settimana, nella notte più lunga dell’anno, bambini elettrizzati e impauriti dal mistero hanno aspettato Santa Lucia. La mattina dopo il pane per l’asinello era sparito lasciando il posto a bellissimi regali. La magia si ripete, ogni anno, per quanti ancora ci credono e lascia malinconie dolci e dolorose a me che ormai rivivo l’atmosfera del 13 dicembre solo nei miei ricordi.
In questa settimana Franco ha cambiato l’unità di misura del suo conto alla rovescia: non più giorni, ma ore lo separano dalla pensione. Lo guardo lavorare con la concentrazione che ha ancora voglia di investire, il sorriso sulle labbra, l’anima ormai fuori dal cancello. Mi manca già, lo invidio un po’. Gli invidio il tempo libero che avrà a disposizione per riempirlo con le sue passioni. Questa mattina presto ci siamo dedicati ad un piccolo sondaggio dei nostri. Abbiamo chiesto a quelli che entravano nell’ufficetto del magazzino: “Quante volte hai visto Robin Hood in cartone animato?” e abbiamo canticchiato “Urca urca tirulero oggi splende il sol”. Gli ho detto: “ecco, da gennaio non avrò più nessuno con cui fare la pausa sciocchezze settimanale; sono destinata alla serietà completa”. L’ha preso come un complimento.
Negli uffici e nei reparti produttivi aspettano tutti Natale – il tempo dell’attesa – e pian piano si stanno rilassando, tra panettoni e pandori che atterrano sulle scrivanie con bigliettini dorati. La maggior parte di loro trascorrerà, tra poco, due settimane a casa, senza cartellini da timbrare, efficienze da raggiungere e scadenze da rispettare. Risolvono problemi, senza troppa convinzione.
Aspetto anche io. Aspetto il sole delle vacanze di inizio anno e la libertà di giornate pigre e curiose. Aspetto di capire se qualcosa è cambiato, dentro di me, o lascerò che i miei giorni continuino a trascorrere uguali. Si modificano i sogni della notte, emergono figure e simboli nuovi, evolvono i miei pensieri. “Tra l’idea e la realtà, tra l’impulso e l’azione cade l’ombra”, scriveva Eliot. Resto alla finestra a guardare il mondo fuori, la mano appoggiata alla maniglia, ancora paura a spalancarla del tutto. Aspetto di capire se qualcosa è cambiato, fuori di me, o gli altri lasceranno che i giorni continuino a trascorrermi uguali.
Tra facili entusiasmi e rapide delusioni cavalco piccole creste di montagne russe, proteggo il nocciolo costante di ciò che sono, elaboro piani per i prossimi mesi. Guardo la mia unica importante lista di cose da fare e decido che non se ne aggiungeranno altre. Niente buoni propositi che alterino le precedenze già decise: riduzione dell’elenco è la mia nuova risoluzione. Intanto aspetto. Ci provo, faccio quello che riesco, tra lunghe immobilità e improvvisi scatti istintivi: d’altronde non sono mai stata molto brava ad aspettare.