Quanta storia attorno ad un semplice utensile da cucina che ci arriva dalla notte dei tempi.Attorno a questa pentola pesante, resistente e fragile allo stesso tempo.Resistente come la fibra montanara dei lavegiàt, dei cavatori di pietra ollare, ma fragile come possono essere fragili e delicati i sentimenti, basta un urto, uno sbalzo e si rovina per sempre.Una storia vecchia di secoli, anzi, se pensiamo alla formazione della pietra ollare, è una storia che risale a milioni di anni fa.Durante il Giurassico medio, circa 180 milioni di anni fa, le vicende geologiche portarono all’apertura di un “piccolo” braccio oceanico, chiamato dai geologi Oceano Ligure - piemontese, che separò la massa continentale africana da quella europea. Il fondo era formato da croste di silicato di ferro e magnesio , materiali che uscivano continuamente come magma da una frattura mediana. A partire dal Cretaceo, 120 milioni di anni fa, le placche europea ed africana si avvicinarono viepiù sino ad arrivare alla collisione: la placca europea finì sotto alla placca africana.Tutto quello che era frapposto tra i 2 continenti venne schiacciato, parte finì in profondità e parte venne sollevato sulle piattaforme continentali decretando la fine dell’Oceano Ligure Piemontese e la nascita delle Alpi.Nel Terziario, 30 milioni di anni fa, tra le falde rocciose Tambò e altre si infilarono delle rocce del fondo dell’Oceano.Queste rocce metamorfiche, che si accompagnarono a talco,calcite, albite, dolomite, miche, cloriti, quarzo e magnesio, tipiche del territorio di Chiavenna fino a Prata, diedero origine al complesso Ofiolitico di Chiavenna, imparentato a quello della Valmalenco.L’insieme di queste rocce (cloritoscisti e talcoscisti) è nominato Pietra Ollare.Avvincente vero? Spero di avervi riferito in modo abbastanza esatto quanto ho ascoltato nell’ambito della manifestazione “Dieci giorni tra Storia Cultura Musica Teatro Ambiente e buona Cucina dal 27 agosto al 5 settembre 2010”organizzatadall’ Associazione Italo-Svizzera per gli scavi di Piuro.Nell’evento "Sota Al cuerc del lavèc", durante la “Tavola rotonda sull’utilizzo salutistico del “lavéc” e sulle proprietà della pietra ollare nei vari usi domestici”, il Prof. Franco Rodighiero, dell'Università degli Studi di Milano-Bicocca, Dipartimento diScienze Geologiche e Geotecnologie, ha descritto in modo chiaro ed interessante il “Progetto per la valorizzazione della Pietra Ollare, gli studi e le analisi che con la sua equipe sta svolgendo nelle cave del territorio di Piuro.Non è affascinante pensare che questa pietra esiste dall’inizio della formazione della terra e durerà finché esisterà il nostro pianeta?!Questo concetto di immortalità mi richiama le credenze dei Nativi americani, i Lakota, ed i loro “Stone People” , il Popolo delle pietre, cioè gli “Antichi” del nostro pianeta, portatori della conoscenza di questo mondo e dei suoi cambiamenti dall’inizio dei tempi.E’ un aspetto che mi intriga e mi fa pensare alla cucina con la pietra ollare come alla “Cucina del Tempo”: il tempo della formazione della pietra, il tempo della scoperta della pietra non solo come strumento di offesa o difesa, il tempo dei nostri antenati con il recupero delle nostre tradizioni, il tempo dei ricordi, il tempo che ci vuole per cucinare …Il lavèc non contempla la premura, infatti è adatto a tutte le preparazioni con una lunga cottura a bassa temperatura, rispettando i tempi e la ritualità dei nostri avi.E’ un lasciarsi andare alla lentezza, atteggiamento che purtroppo abbiamo disimparato ma che sarebbe proficuo recuperare.E’ anche un lasciarsi andare alle sensazioni.Da sempre sostengo che in cucina non si usa solo il senso del gusto e dell’olfatto ma tutti i sensi, sesto senso compreso e, ad averlo, anche il terzo occhio …Sfiorate il lavèc con le mani: la pietra è vellutata al tocco, trasmette calore ed energia, l’energia dei secoli e dei millenni, pensate quante persone, quanti animali l’hanno calpestata nelle ere geologiche trascorse, quanti avvenimenti si sono succeduti sopra di essa, sicuramente ne porta memoria.Mi piace pensare, anche se è un’idea romantica la mia, che parte di questa energia si possa trasmettere ai cibi che vi si cucineranno e che possa essere questo uno dei motivi dell’ottima riuscita dei piatti.Infatti cuocendo nel lavèc si hanno risultati molto diversi dalle cotture nelle pentole d’acciaio e di altri materiali: gli ingredienti non si sovrastano ma si amalgamano, il gusto del piatto è esaltato, gli alimenti assorbono in profondità gli aromi e aumenta l’appetibilità, il liquido di cottura si insaporisce e si arricchisce con i grassi e gli elementi solubili rilasciati dai cibi stessi senza avere la necessità di molti condimenti e senza avere la dispersione di valori nutrizionali che rimangono nel sugo.Il lavècc è perfetto per cucinare tutte quelle preparazioni che richiedono una lunga cottura a bassa temperatura: teneri brasati e stufati, profumati minestroni e zuppe di verdura e cereali, arrosti succulenti e pieni di gusto, trippa in umido, ragù appetitosi, golosissime castagne secche caramellate.Famose erano
Le castagne della nonna Serafina
Sono partita a suggerirvi i piatti da cuocere al lavèc da quello che ora è considerato un dessert, ma allora, accompagnato da un pezzetto di formaggio, costituiva la cena di tutta la famiglia.Noi ora preferiamo preparare per cena delle zuppe, dei minestroni oppure delle creme come questa
Crema di zucca
Nel lavèc messo sopra ad uno spargi fiamma di ghisa soffriggere nell’olio la cipolla, il sedano, la carota tritati con i dadini di pancetta, lo spicchio d’aglio e gli odori.Aggiungere la zucca a dadi e girare con un cucchiaio di legno per farla insaporire.Ricoprire il tutto con brodo vegetale salato, mettere il coperchio e far cuocere per almeno un'ora e mezza a fuoco moderato.
Passare tutto al setaccio o frullare, riversare la crema nel lavèc, diluirla se fosse troppo spessa con dell’altro brodo e portarla all’ebollizione. Poco prima di servire aggiungere la panna calda.Servire con parmigiano e crostini.Volendo si può guarnire versando un cucchiaio di panna al centro del piatto e formando una stella con uno stuzzicadenti.
A seguire posso suggerirvi questo secondo di carne in verità non tradizionale qui al Nord, ma il lavèc si presta benissimo alla realizzazione di questaCoda alla vaccinara … un po’ nordica
La colpa è del Bossi e di Alemanno, anzi no... la colpa è del mio macellaio e di Roby. Quella coda di bue era lì in bellavista dietro al vetro del bancone e Roby la guardava... e la riguardava...e mi guardava...e la guardava...e non c'è stato modo di opporsi.
Ho tentato flebilmente di dire:
- ... la mia dieta...
ma lui l'aveva già chiesta all'Enrico.
Piatto tipico romano de Roma, lo preparavo a mio papà e lui cominciava con i ricordi della sua gioventù:
- " Quanno annavo a fà er bagno a Tevere...
e noi un pochino impertinenti :
- Tel chì, el delfino del Tevere!
Allora cambiava registro:
- Quanno annavo alle Terme de Caracalla a sentì l'opera...
e intonava il suo pezzo preferito de "La fanciulla del west"
Ch’ella mi creda libero e lontano
sopra una nuova via di redenzione!…
Aspetterà ch’io torni E passeranno i giorni,
E passeranno i giorni,
ed io non tornerò
ed io non tornerò
Minnie, della mia vita mio solo fiore,
Minnie, che m’hai voluto tanto bene!…
Tanto bene!
Era anche abbastanza stonato e la voce cedeva negli acuti, ma tanta era la sua passione per il bel canto che penso non si accorgesse troppo delle sue defaillance.
Lo stesso era quando si metteva a cucinare.
- Quanno fascevo er militare alla Scecchignola...
- Ossignurrrrrr… poér numm, adéss al ne insegna anche come ‘l se fa el risott alla Cecchignola.. ( Ossignore… poveri noi, adesso ci insegna anche come si fa il risotto alla Cecchignola).
Povero papi, per i suoi sughi acidini e pesanti da digerire lo avevamo soprannominato " Conte S-Ugolino"
Per fortuna c'era la zia Giuditta, sua sorella, che era molto brava a cucinare, purtroppo la distanza era molta e non ho potuto imparare da lei direttamente, solo dai ricordi di mio papà.
Per questo spero abbiate pazienza se questa mia preparazione non rispetta tutti i canoni della cucina romano-giudia, i ricordi sono frammentari e la pentola, beh… ho usato la mia preferita.
Mi sa che è la primaCoda di bue alla Vaccinara al lavèc
1,800 kg. di coda di bue, tagliata in tronchetti 1 carota
1 cipolla, 2 foglie di alloro
600 g di cuori di sedano bianco
400 g di polpa di pomodoro passata al setaccio
100 g di pancetta magra (la ricetta originale prevede 200)
50 g di prosciutto crudo grasso
1/2 bicchiere vino bianco secco.
un pizzico di cannella e noce moscata
sale e pepe.
Preparazione:
Fare spurgare la coda di bue, tagliata in tronchetti, per 4 ore in acqua abbondante e fredda, oppure per 2 ore in acqua corrente.
Mettere al fuoco una casseruola con abbondante acqua fredda aromatizzata con una foglia d’alloro, una carota, una cipolla e una costa di sedano, quando bolle immergervi la coda e lasciar bollire per un’ora circa schiumando.
Tritare la pancetta, il prosciutto, la carota e la cipolla rimaste, mettere il trito nel lavèc, posto sulla fiamma del gas interponendo uno spandi fiamma, e appena imbiondisce aggiungervi i tronchetti di coda sgocciolati e bene asciutti; mescolare, far insaporire le carni, bagnare con un bicchiere di vino e farlo evaporare.
Un piatto da Unità d’Italia!