« Oggi, spero che sia tu a morire, venga il tuo destino oscuro, sotto la mia lancia.Tu da questa mischia non sfuggirai vivo! Sciocco, perché hai sterminato crudelmente i Troiani, dichiarandoti il più potente degli uomini?Poiché ti vanti di essere l’immortale figlio di una Nereide? »
(Commento di Memnone ad Achille Quinto Smirneo, Posthomerica, libro II, versi 516-521.)
Il Genio in questa umanità è condannato a una rapida autocombustione, in quanto il suo apocalittico incendio interiore segnerebbe la fine del mondo per come lo conosciamo.
Assumiamo come punto di riferimento Van Gogh, ma potrei nominarne altri. Un solo nome in più corpi e storie diverse.
Van Gogh è la demarcazione tra la luce e le tenebre, la dimostrazione che, pur non sussistendo una netta discrasia tra questi due valori ma anzi una caotica osmosi che consente all’uno e all’altro di sopravvivere, si può tuttavia scegliere. Ecco il genio è colui che, pur avendo scelto, non sceglie. Egli ha il compito di plasmare la Bellezza e di combattere nelle trincee assolute ed immanenti del quotidiano vivere, fosse fatte di telefoni che squillano, liti assurde su dettagli macroscopici, la fisiologia sfuggente dei corpi che si tramuta in aiuole di noia, di odio, di risentimento, ma anche di superflua felicità, di venti destinati a morire dietro il primo vicolo, strisce pedonali per zebre d’asfalto, luoghi comuni ma privatizzati dall’ansia dell’individualismo.
Ma quando diciamo che un genio è “incompreso”, ecco questo è il peggiore dei luoghi comuni. Nell’amore non c’è comprensione, ma compromesso. Non c’è lotta interiore, ma alternata sopraffazione, caccia e bottino. La preda penzola dissanguata dai denti del lupo. Non c’è bene o male in ciò, ma sofferenza. La sofferenza è il prodotto dell’incomprensione di una natura che non discerne tra bene e male, ma è autenticamente e originariamente amorale. L’amore è naturalmente amorale e qualsiasi rapporto nasce in questa amoralità.
Il Genio ha invece la pretesa di rompere questa crudezza e ricostruisce artificiosamente (dio è un artificio e il genio è un artificiere che si prepara a sminare l’anima degli uomini) la Bellezza.
Ma cos’è in fondo la Bellezza? La Bellezza non ha nulla a che vedere con le banali sfere dell’oggettività e della soggettività. Dimenticatele. Essa è καλὸς καὶ ἀγαθός (trasl. kalòs kai agathòs), cioè l’unione di “bello e buono”, non c’è estetica che non sia condizionata dall’etica. Ecco perché, citando un poeta moderno, “la guerra è bella anche se fa male”.
Ma il Genio, il depositario di questo detonatore, è condannato alla Solitudine. Egli siede su uno scranno di morti, di teschi, di ossari fradici e consumati dal tempo, e sogna la vita. Siamo qui per il sogno di qualcuno.